Wakseh: il tracollo del nazionalismo palestinese

Una nuova parola è entrata nel lessico politico palestinese

Da un articolo di Ronny Shaked

image_1778Dopo la Naqba (la sconfitta nella guerra contro la nascita dello stato di Israele) e la Naksa (la disfatta del 1967), la frattura interna palestinese e la separazione della striscia di Gaza viene oggi indicata con la parola “Wakseh”. Wakseh significa umiliazione, rovina, collasso in quanto frutto di danni auto-inflitti. Il termine esprime il grande tracollo del movimento nazionale palestinese e la spaccatura dei palestinesi in due campi ideologici: il campo nazionalista e quello islamista.
La parola Wakseh viene così ad aggiungersi a una lunga serie di termini politici che si sono incisi nella coscienza e nella memoria collettiva palestinese. Nella tradizione araba, Wakseh è peggio di Naksa perché non si riferisce a un fenomeno causato da nemici esterni, bensì a un danno che ci si è auto-inflitti, assimilabile a un suicidio politico.
In termini nazionali, la Wakseh ha condotto i palestinesi a uno dei punti più bassi della loro storia, facendo regredire il movimento nazionale palestinese di almeno cinquant’anni.
Questa volta la spaccatura è ideologica. Il movimento Hamas aspira a unire Cisgiordania e striscia di Gaza sotto l’egida dell’islamismo, mentre Fatah le vorrebbe unire sotto l’egida del nazionalismo democratico. Una unificazione per la quale, a quanto pare, si dovrà attendere ancora parecchi anni.
La Wakseh lascia il palestinese della strada depresso e senza speranze. La vita pubblica è collassata e il palestinese medio è ora prevalentemente occupato a garantirsi la sopravvivenza personale.
Il movimento Fatah, che ha iniziato a disgregarsi dopo la morte di Yasser Arafat, è a sua volta collassato e ridotto in frantumi. I suoi capi sono ancora membri della “vecchia guardia di Tunisi”: Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e il suo gruppo. Il cambio della guardia fra generazioni ha scavalcato i palestinesi. La generazione di transizione è spossata e piegata. La leva più giovane non esiste ancora.
“Siamo di fronte a una situazione catastrofica”, dice Kadura Fares, che può essere definito come uno degli esponenti della generazione di transizione di Fatah. Marwan Barghouti è stato trasformato in una specie di salvatore, ma se anche venisse scarcerato non è affatto detto che sarebbe in grado di rimarginare la frattura palestinese.
Abu Mazen, che conta i giorni che mancano alla fine del suo mandato, non ha designato un successore e seguita a parlare di un accordo e di soluzioni diplomatiche come se in campo palestinese non fosse successo niente. Continua a ripetere gli stessi mantra: uno stato palestinese indipendente con Gerusalemme capitale, il diritto al ritorno, la rimozione degli insediamenti. In realtà, non è molto più che il governatore della Muqata, il palazzo presidenziale a Ramallah.
Il governo designato da Abu Mazen abbonda di ministri del turismo, dei trasporti, dell’agricoltura e altri importanti dicasteri. Ma è tutto virtuale. I palestinesi nei territori chiamano quello di Salem Fayyad “il governo degli stipendi”. In effetti il Tesoro palestinese ha abbastanza soldi per pagare gli stipendi per molti mesi a venire. Il mondo occidentale, che vede il nemico nell’estremismo islamico, segue ciecamente le dichiarazioni di Abu Mazen e continua a passare grosse somme di denaro. E Abu Mazen manda soldi a Gaza, contribuendo a stabilizzare la situazione sotto Hamas.
Muhammad, di Jabaliya, ci dice che non gli importa chi paga il suo stipendio, se Abu Mazen, Hamas, l’Iran o Israele. Per lui, l’unica cosa che conta è che i soldi arrivino e gli permettano di comprare da mangiare ai suoi figli.
Intanto il potere di Hamas a Gaza si stabilizza, in parte grazie ai soldi che Israele ha trasferito ad Abu Mazen che a sua volta versa soldi a più di 100.000 abitanti di Gaza sotto forma di stipendi mensili. Hamas si sta muovendo con accortezza. Legge e ordine tendono a imporsi, non si vedono più tutte quelle armi per le strade a parte quelle in mano alle forze “governative”, e non si vedono faide di clan. Persino le bancarelle del mercato in Piazza Palestina sono state rimosse e il traffico fluisce. L’introduzione dell’islam da parte del regime viene attuata in modo graduale, ma costante e con determinazione. Anche Hamas non manca di mezzi finanziari, e riempie le tasche dei suoi nuovi sostenitori con assistenza e aiuti.
Gli abitanti di Gaza si sono abituati a Hamas e non sentono la mancanza dei corrotti funzionari di Fatah. Più di ogni altra nazione, i palestinesi sono capaci di adattarsi rapidamente a mutate circostanze. Uno dei leader della generazione di transizione di ciò che resta di Fatah, e che preferisce restare anonimo, ci dice con grande tristezza: “La Wakseh ci ha ributtato indietro di cinquant’anni. La speranza nazionale è perduta. Questi sono giorni di lutto”.

(Da: YnetNews, 27.07.07)

Vedi anche:
La nazionalità palestinese e le dure repliche della storia

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