Dopo il 7 ottobre, è tempo di pensare nuove soluzioni per il conflitto israelo-palestinese

Qualcuno crede davvero che, una volta creato lo stato palestinese accanto a Israele, Iran e Hezbollah e jihadisti vari rinuncerebbero al proposito di annientare lo stato ebraico?

Editoriale del Jerusalem Post

Commemorazione all’Università di Tel Aviv delle vittime e dei rapiti del 7 ottobre (clicca per ingrandire). Ormai gli israeliani sanno cosa devono aspettarsi se Hamas sarà premiata anziché debellata

Mentre la guerra con Hamas si protrae, le persone in tutto il mondo sono bombardate quotidianamente da immagini delle sofferenze a Gaza per le quali viene incolpato Israele, e non Hamas. Stanno perdendo il filo.

Qual è il filo? Il 7 ottobre migliaia di soldati dell’esercito di Hamas, un’organizzazione terroristica che dal 2007 controlla il mini-stato palestinese di Gaza, hanno lanciato un feroce attacco contro Israele (rompendo il cessate il fuoco che era in vigore ndr) e hanno trucidato uomini, donne e bambini, compresi nonni e neonati, stuprando torturando, mutilando, saccheggiando, e hanno rapito 240 persone.

Questa settimana, la diffusione del tremendo video in cui si vedono i terroristi armati che, a Khan Yunis, circondano la 32enne Shira Bibas mentre stringe al petto i suoi piccolissimi bambini, e il rapporto dell’Associazione israeliana dei Centri anti-stupro sugli atroci crimini sessuali commessi da Hamas hanno ricordato agli israeliani, ancora una volta, per cosa si combatte questa guerra, chi l’ha scatenata e cosa devono aspettarsi in futuro se Hamas non sarà completamente debellata.

Questo è il filo. Come sappiamo che il mondo lo sta perdendo di vista? Per via dei crescenti appelli per una soluzione a due stati.

Anche quando sono animati dalle migliori intenzioni, questi appelli inviano il seguente chiarissimo messaggio: commetti un’aggressione disumana e sarai ricompensato. È come se, dopo gli attacchi di al-Qaeda dell’11 settembre, il mondo avesse premiato Osama bin Laden con un califfato islamico.

Non ci può essere incentivo più grande, per aumentare il terrorismo globale, che creare uno stato palestinese all’indomani del 7 ottobre (un risultato che Hamas non esiterebbe a sbandierare come una grandiosa vittoria, accrescendo enormemente il numero di sostenitori e imitatori ndr)

Tra coloro che rilanciano la spinta per una soluzione a due stati ci sono gli ex zelanti sostenitori del processo di Oslo. Sono autenticamente conviti della bontà dell’idea, nonostante le abbondanti prove che i nemici di Israele non vedranno lo stato palestinese come la fine del conflitto arabo-israeliano bensì, piuttosto, come una posizione molto più favorevole da cui rilanciare e continuare la guerra contro l’esistenza dello stato ebraico.

Qualcuno crede davvero che l’Iran rinuncerà ai suoi progetti di distruggere “l’entità sionista” se verrà creato uno stato palestinese a ridosso di Israele? O che Hezbollah cesserà di rappresentare una minaccia? O che gli estremisti islamici rinunceranno al loro sogno di distruggere lo stato ebraico?

Questo significa, quindi, che siamo condannati al conflitto e alla guerra perpetui?

Non necessariamente. Ma bisogna essere realistici, e una visione realistica riconosce che uno stato palestinese non è possibile nel prossimo futuro. Gli israeliani, compresi quelli di sinistra, non hanno nessuna voglia di prendere in considerazione l’idea così presto dopo le atrocità del 7 ottobre. E, piaccia o no al resto del mondo, ci vuole l’accordo di Israele perché nasca uno stato palestinese.

Ciò che serve, quindi, è qualche ragionamento fuori dagli schemi, una creativa alternativa alla soluzione dei due stati. Nel corso degli anni è diventato assiomatico credere che l’unica risposta al rebus israelo-palestinese fosse la soluzione a due stati o uno stato unico “binazionale”, entrambi scenari che metterebbero in serio pericolo Israele in quanto stato ebraico.

Dopo il 7 ottobre è tempo che politici, esperti di sicurezza e centri studi propongano suggerimenti nuovi e creativi, dal momento che quelli circolati finora sono falliti.

Quali potrebbero essere? L’ex capo del Consiglio di sicurezza nazionale Giora Eiland aveva presentato alcune idee già nel 2010.

Un’idea potrebbe chiamarsi Stati Uniti di Giordania, una nuova evoluzione rispetto al vecchio piano della confederazione giordano-palestinese. Secondo questa proposta, la Giordania includerebbe tre stati: Giordania, Cisgiordania e Striscia di Gaza, tutti governati da un governo federale ad Amman. La Cisgiordania e Gaza avrebbero un bilancio, istituzioni governative, leggi e forze di polizia, proprio come gli stati degli Stati Uniti, ma non avrebbero responsabilità di politica estera e difesa, che rimarrebbero nelle mani del governo federale di Amman.

Un’altra idea proposta da Eiland è una soluzione a due stati non basata sul rigido paradigma del ritorno alle linee armistiziali pre-1967. Piuttosto, implicherebbe un ampio scambio e passaggio di territori tra Egitto, Israele, Giordania, Arabia Saudita e la futura entità palestinese col risultato che amplierebbe significativamente le dimensioni della striscia di Gaza, permetterebbe a Israele di mantenere il 12% della Cisgiordania e fornirebbe all’Egitto un collegamento terrestre con la Giordania.

Non stiamo dicendo che sottoscriviamo uno di questi piani. Sono semplicemente degli esempi di come, con uno sforzo di pensiero non convenzionale, si possano introdurre altre idee per sostituire il classico miraggio dei due stati, che la maggior parte degli israeliani non considera più come una strada verso la pace.

(Da: Jerusalem Post, 22.2.24)