Famigliari di ostaggi raccontano il loro strazio, i giornalisti li interrogano sui detenuti palestinesi

Non c’è verso: il mondo non vuole capire

Le 19 donne israeliane tenute in ostaggio a Gaza da cinque mesi, nel poster diffuso in occasione della Giornata dell’Otto Marzo (clicca per ingrandire)

Dopo che avevano raccontato le strazianti esperienze del 7 ottobre, dei loro cari assassinati o rapiti e deportati a Gaza dove tuttora sono tenuti imprigionati in condizioni disumane, tutto quello i famigliari di alcuni ostaggi israeliani si sono sentiti chiedere dai giornalisti è cosa pensano dei detenuti palestinesi e se fossero favorevoli a un cessate il fuoco.

Solo alla fine della conferenza stampa, organizzata giovedì scorso presso l’ambasciata israeliana a Londra, è arrivata una domanda in qualche modo relativa alla loro personale drammatica esperienza.

Orit, la madre di Almog Meir, uno degli ostaggi rapiti al festival musicale Nova, ha raccontato fra le lacrime la storia di suo figlio, che fino al giorno prima si era preso cura del nonno invalido aiutandolo anche a farsi ogni giorno la doccia. “La nostra vita si è come fermata” ha detto Orit, e ha chiesto aiuto al mondo occidentale per riportare a casa suo figlio. Ha anche ringraziato le Forze di Difesa israeliane che “fanno tutto il possibile per far tornare gli ostaggi”.

Il padre di un altro ostaggio ha detto che suo figlio di 19 anni è stato sequestrato dai terroristi mentre, da soldato di leva, pattugliava il confine. “E’ stato rapito insieme alla sua squadra mentre cercava di difendere il confine – ha detto il padre – Cercava di fermare l’invasione di Hamas, di evitare l’assassinio, l’uccisione, il massacro e lo stupro di civili israeliani. Mio figlio ha 19 anni, è solo un ragazzo normale come tutti gli altri ragazzi”.

Dopo diverse testimonianze di questo tenore, si è dato spazio alle domande. Il primo giornalista della BBC ha chiesto se le famiglie degli ostaggi sono disposte a sostenere il cessate il fuoco alle condizione poste da Hamas. Un famigliare ha risposto che loro desiderano solo il ritorno dei loro cari in ostaggio. Il parente di un ostaggio rilasciato a fine novembre ha detto che Hamas vuole il cessate il fuoco permanente solo per restare al potere e che invece Hamas dovrebbe liberare gli ostaggi nel quadro di un accordo umanitario, cosa che dipende da Hamas.

Un altro giornalista ha chiesto se i famigliari sostengono l’operazione in corso a Gaza sottolineando con enfasi le sofferenze dei palestinesi. I famigliari degli ostaggi hanno continuato a ribadire che vogliono solo che venga intrapresa qualsiasi azione volta a riportare a casa i loro cari. Un famigliare ha rimarcato che Hamas è responsabile delle sofferenze umanitarie a Gaza poiché usa sistematicamente la popolazione come scudi umani e prolunga la guerra rifiutandosi di deporre le armi e rilasciare gli ostaggi.

Il padre del soldato 19enne ha tentato di lanciare un appello ai giornalisti occidentali, affermando che si tratta di un problema internazionale e che Israele è solo la prima frontiera. Ha detto che il mondo occidentale sarà il prossimo a subire questi crimini se i terroristi non verranno fermati, ricordando gli attentati terroristici già avvenuti in passato per via della jihad (guerra santa) islamica.

A quel punto un altro giornalista ha chiesto: “Cosa dite alle famiglie delle migliaia di prigionieri palestinesi che stanno aspettando il loro ritorno?”.

Uno dei famigliari ha definito la domanda semplicemente “grottesca”. Altri hanno chiesto allibiti come si possano mettere sullo stesso piano i loro familiari innocenti tenuti in ostaggio nei tunnel con dei criminali, assassini e terroristi regolarmente detenuti nelle carceri israeliane. Un famigliare ha detto: “Avete menzionato Marwan Barghuthi, che sconta l’ergastolo in Israele. Avete controllato cosa ha fatto Barghuthi? Ha assassinato decine di israeliani. Come potete paragonarlo agli ostaggi? Come potete anche solo pensare di paragonarlo ai bambini Bibas, di uno e 4 anni?”.

Solo alla fine è arrivata una domanda circa il silenzio delle Nazioni Unite e altre organizzazioni per i diritti delle donne a fronte delle crescenti prove di stupri e abusi perpetrati da Hamas e delle testimonianze di ostaggi rilasciati. I famigliari hanno definito “ipocrite” quelle organizzazioni. Il padre di un ostaggio ha detto: “Ciò dimostra un’enorme ipocrisia. Siamo tutti esseri umani, e il male deve essere debellato”.

I familiari hanno ricordato che la Croce Rossa non ha mai visto gli ostaggi tenuti a Gaza nonostante avesse promesso di farlo, e hanno chiesto di fare pressione sulla Croce Rossa affinché faccia di tutto per visitare gli ostaggi. Una dei famigliari ha concluso: “Per favore, provate a immaginare che siano membri della vostra famiglia. Non sono solo dei volti sui manifestini”.

(Da: Jerusalem Post, 11.3.24)

Si veda anche: Non saremo complici, non taceremo. Tra Israele e il resto del mondo, un divario che sembra incolmabile

La lettera di Franco Debenedetti al Corriere della Sera

Caro Direttore, il 9 marzo sul palcoscenico della Scala in tutta la sua larghezza appariva uno striscione su cui era scritto a lettere cubitali «Cessate il fuoco». Sarebbe auspicabile che alla prima occasione, sul palcoscenico del nostro Teatro, apparisse uno striscione uguale a quello del 9 Marzo, ma con una scritta diversa: «Liberate gli ostaggi». Infatti prendere ostaggi è, nel diritto internazionale, un crimine contro l’umanità. Non è invece considerato criminale che un Paese combatta un’organizzazione terroristica che da anni bombarda di missili le sue città; che lo ha recentemente invaso, commettendo inenarrabili orrori. Il Sindaco di Milano è d‘ufficio Presidente della Fondazione del Teatro alla Scala. In quanto tale mi rivolgo a lui: si adoperi affinché dal nostro Teatro arrivi un messaggio più coerente e, quindi, più utile. Mi permetto anche di fargli arrivare una copia di «Sabato nero», il libro di Giulio Meotti in cui quelle nequizie sono enumerate.
(Da: Corriere della Sera, 13 marzo 2024)