Gioventù bruciata (dalla disinformazione): come l’antisemitismo dilaga nelle banlieue

Generazioni in balìa di una propaganda capillare perpetrata dai social, da agitatori di professione, predicatori non controllati né allontanati, dall’ambiente familiare che riceve quotidianamente informazioni di parte

di Massimo Nava

Massimo Nava, autore di questo articolo

Il massacro di Hamas del 7 ottobre non è mai avvenuto. E se è avvenuto è stata un’azione giustificata, persino ripetibile. Quanto agli ebrei, è gravissimo che attacchino i civili e massacrino i bambini palestinesi. Queste e altre affermazioni non sono «soltanto» manifestazioni di un antisemitismo di ritorno sull’onda della crisi in Medio Oriente né argomentazioni politiche condizionate dalla sproporzionata reazione di Israele a Gaza. È qualche cosa di più allarmante, se leggiamo in profondità una ricerca dell’Ipsos (l’istituto demoscopico francese) e un’inchiesta del settimanale Le Point sugli atteggiamenti dei giovani nelle periferie parigine e belghe: origini straniere, per lo più africane e magrebine, ma a tutti gli effetti cittadini francesi o belgi nati in Francia o in Belgio.

Ciò che colpisce non è tanto e non solo il peso delle parole, quanto il livello di disinformazione e d’intossicazione del linguaggio attraverso i social network, in particolare Tik Tok, o reti televisive straniere con alto livello di ascolto nelle periferie, tanto da diffondere uno slang di comunicazione che ha poco a che vedere con la lingua francese e l’insegnamento scolastico. Si tratta di processi formativi che spiegano i gradi di separazione e i ricorrenti squilli di rivolta delle periferie, ma invitano anche a riflettere più in generale sul modo in cui le giovani generazioni europee vengono informate o intossicate. Questo non giustifica ovviamente il linguaggio antisemita, ma sarebbe sbrigativo attribuirlo soltanto a una deriva etnica o a una dimensione sociale di esclusione. C’è un evidente contrasto fra la condanna ufficiale e spesso unanime del mondo politico, degli adulti, dell’establishment, dei mezzi d’informazione tradizionali e l’atteggiamento di molti giovani in balìa di un’informazione acritica e intossicata.

Caroline Boidé, scrittrice, ha intervistato per Le Point molti giovani delle periferie di Parigi, Anderlecht e Bruxelles. «Gli attacchi del 7 ottobre! Quali attacchi?» si chiedono ad esempio Amina e le sue compagne quindicenni, così come decine di adolescenti del tutto ignari di che cosa sia avvenuto, oppure convinti che sia successa «soltanto» un’altra cosa, ovvero la repressione dei soldati israeliani a Gaza. Malik, 17 anni, del quartiere Izards di Tolosa, dice: «Ho visto morire i palestinesi, è grave attaccare i civili». E Ouni, 13 anni: «Sto con i palestinesi: gli israeliani hanno bombardato un ospedale». Per Bilal, 16 anni, «non è stato un attacco terroristico, ma “anticoloniale”». «Israele è l’Occidente che si insedia in Medio Oriente», ha detto Andres, 19 anni, di Forest, Belgio. «Quando si subisce un martirio per anni, capisco perché la gente impazzisce». Lina, di Aubervilliers: «Sarei pronta ad andare in Palestina, a prendere le armi, a uccidere». A Molenbeek, il quartiere di Bruxelles da dove partirono i terroristi dell’attacco al Bataclan, Ali dice di essere «felice del massacro, è stato il primo vero attacco che ha cambiato la storia». E un altro : «Quando tutti i Paesi musulmani si saranno alleati contro Israele, l’Islam regnerà sovrano».

“Attacchi del 7 ottobre? Quali attacchi?”, chiedono le quindicenni intervistate da Le Point

Ma che cosa porta questi giovani europei a identificarsi con il «martire» palestinese? L’origine etnica e il comunitarismo non spiegano tutto. Queste generazioni sono in balìa di una propaganda capillare, perpetrata dai social (quasi sempre le sole «fonti» di notizie), da agitatori di professione, da predicatori non sufficientemente controllati o allontanati, dall’ambiente familiare che riceve quotidianamente informazioni di parte. Basta osservare la selva di parabole satellitari sui balconi dei palazzi e constatare su quali canali siano puntate. C’è anche il canale di Hamas, accessibile con una VPN. I media più diffusi in questo ambito sono TikTok, Instagram, X, Snapchat e Telegram, con messaggistica criptata che permette agli utenti di vedere video cruenti. Qui si moltiplicano odio, minacce di morte contro gli israeliani, ma anche islamofobia. «Dobbiamo dare la caccia agli ebrei, non possiamo lasciare le cose come stanno. Questo è quello che ci dicono sulle reti. Dobbiamo attaccarli, vendicarci». L’account di Eye on Palestine, che conta 9,9 milioni di abbonati, parla di «decine di combattenti della resistenza» che hanno attaccato «insediamenti israeliani e lanciato migliaia di razzi dalla Striscia di Gaza», senza ulteriori dettagli e con un’immagine di Gaza in rovina.

La marea di video pro-palestinesi sui social network è unita alla mancanza di conoscenza storica degli avvenimenti. «È normale che in Francia ci siano atti antisemiti. Capisco perché la gente non li sopporta», dice Yliès, della Cité des Izards. Il numero di segnalazioni legate agli attentati del 7 ottobre per incitamento all’odio, minaccia o apologia del terrorismo online ha raggiunto livelli record, «in particolare nella categoria legata al terrorismo», secondo il ministero degli Interni. «Nell’ultimo trimestre del 2023, ci sono state circa 12.350 segnalazioni su Pharos (un sito istituito nel 2009 dal governo per segnalare contenuti e comportamenti illegali online) nella categoria “Discriminazione” e 11.750 nella categoria “Terrorismo”, che rappresentano aumenti rispettivamente del 252,8% e del 710,3% rispetto allo stesso periodo del 2022».

Chi sono gli autori? «Una percentuale significativa» è costituita da «adolescenti e giovani adulti nati dopo il 2000». Nonostante gli impegni presi dai responsabili dei social network, i contenuti violenti restano facilmente accessibili. I canali pro-Hamas invitano alla violenza contro gli ebrei, come evidenziato da uno studio condotto dal Digital Forensic Research Lab (un laboratorio di ricerca collegato all’Atlantic Council, un think tank americano specializzato in relazioni internazionali). Hamas e la Jihad Islamica palestinese hanno fatto di Telegram il loro principale mezzo di comunicazione. In alcuni casi c’è anche lo zampino della propaganda russa, che perseguirebbe una strategia di destabilizzazione delle società europee. Spiega Paul Charon, direttore del dipartimento Intelligence, Anticipation and Influence Strategies dell’Istituto di ricerca strategica dell’École Militaire: «Stanno producendo una narrazione anti-occidentale intorno a Gaza. L’uso di simboli religiosi o politici per creare sovversione fa parte del repertorio di misure del Kgb che i russi utilizzano ancora. Con un effetto moltiplicatore sui social network. Diffondere critiche al neocolonialismo europeo fa parte della strategia per indebolire l’Occidente».

Secondo il DFRLab, gli hacker, tra cui alcuni affiliati alla Russia e all’Iran, stanno conducendo attacchi informatici contro Israele. «Il collettivo di hacker russi Killnet, responsabile di almeno nove attacchi contro Paesi europei, ha annunciato pubblicamente la creazione di una filiale palestinese. Un altro gruppo filorusso, Anonymous Sudan, sta usando Telegram per promuovere attacchi informatici contro Israele».

La ricerca dell’Ipsos rivela un preoccupante aumento dei pregiudizi antisemiti tra i giovani. Yonathan Arfi, presidente di Crif (il Consiglio di rappresentanza delle associazioni ebraiche di Francia) spiega: «Il pregiudizio antisemita è più alto tra le giovani generazioni che tra quelle più anziane. È un segno che il sistema ha fallito. Ci eravamo convinti che l’antisemitismo si sarebbe estinto col tempo, ma il tempo lavora contro di noi. L’antisemitismo sta assumendo nuove forme che i nostri strumenti tradizionali non sono più in grado di affrontare. Il sistema educativo lavora molto sulla memoria della Shoah ma ha difficoltà ad affrontare il volto contemporaneo dell’antisemitismo».

Secondo la ricerca, soltanto il 15% dei francesi ha una persona ebrea nella sua cerchia ristretta. Ciò significa che l’85% non ce l’ha. Possiamo supporre che questo produca molti pregiudizi nel rapporto con gli ebrei. «Solo il 20-30% dei francesi sa rispondere a domande di base sul mondo ebraico. Non sono molti, ma è abbastanza coerente con il loro livello di conoscenza della storia delle principali religioni. Solo il 29% dei francesi sa classificare la comparsa delle tre grandi religioni monoteiste nel corretto ordine cronologico».

(Da: Rassegna Stampa del Corriere della Sera edizione digitale, 20.2.24)