Il dopo-Hamas secondo Netanyahu

Gaza smilitarizzata e de-radicalizzata, governata da amministratori locali con un saldo controllo israeliano sulla sicurezza, in attesa dei futuri negoziati diretti per una sistemazione definitiva senza diktat internazionali

Riservisti israeliani reduci dalle operazioni anti-Hamas nella striscia di Gaza

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha presentato giovedì al governo (e ai media venerdì mattina) i suoi principi per il “dopo Hamas” a Gaza. Secondo l’ufficio del primo ministro, si tratta di un “documento di principi che riflette un ampio consenso pubblico sugli obiettivi della guerra e l’alternativa civile al governo [attuale] dell’organizzazione terroristica nella striscia di Gaza”.

Il breve documento, che secondo l’ufficio del primo ministro “è stato distribuito ai membri del gabinetto di sicurezza come base per la discussione sull’argomento”, senza entrare in molti dettagli divide la prospettiva futura in tre periodi: l’immediato dopoguerra, il medio termine e il lungo termine.

A breve termine, il piano ribadisce la posizione di principio di Netanyahu secondo cui Israele resta determinato a continuare la guerra, scatenata da Hamas il 7 ottobre, fino a quando non avrà debellato il gruppo terroristico che controlla con la forza la striscia di Gaza sin dal 2007: “Le Forze di Difesa israeliane continueranno la guerra finché non saranno raggiunti gli obiettivi: distruzione delle capacità militari e delle infrastrutture governative di Hamas e della Jihad Islamica, ritorno degli ostaggi e prevenzione di qualsiasi minaccia proveniente dalla striscia di Gaza”.

Uno dei punti di contesa tra Israele e Hamas nelle trattative in corso a Parigi per la liberazione dei restanti 134 ostaggi è l’insistenza del gruppo terrorista per un cessate il fuoco permanente e il completo ritiro delle forze israeliane da Gaza. Nell’indicare gli obiettivi a breve e medio termine, Netanyahu ha messo in chiaro che ciò non accadrà.

Circa i piani a medio termine, il documento affronta due aspetti: militare e civile. Sul piano della sicurezza militare, “Israele manterrà la libertà operativa in tutta la striscia di Gaza, senza fissare limiti di tempo, per prevenire la recrudescenza del terrorismo e contrastare le minacce provenienti da Gaza”, e manterrà “il controllo di sicurezza sull’intera area a ovest del fiume Giordano per prevenire che si consolidino elementi terroristici nell’Autorità Palestinese [in Cisgiordania] e nella striscia di Gaza e contrastare le minacce contro Israele” provenienti da quelle aree.

Il piano prevede che “la striscia di Gaza sia completamente smilitarizzata” con la presenza di una forza di sicurezza interna, tipo polizia, per il mantenimento di legge e ordine. Si tratterebbe del modello attualmente in vigore in Cisgiordania dove ci sono forze di polizia palestinesi mentre le Forze di Difesa israeliane mantengono il controllo generale sulla sicurezza. Secondo il piano, le uniche armi consentite a Gaza saranno “quelle necessarie per il mantenimento dell’ordine pubblico”. A Israele spetterebbe la “responsabilità di realizzare questo obiettivo e supervisionare il suo mantenimento nel prossimo futuro”.

Anche “la zona di sicurezza [un cuscinetto anti-infiltrazioni] istituita nella striscia di Gaza nell’area al confine con Israele persisterà finché ve ne sarà la necessità per la sicurezza”.

Circa l’area di confine fra la striscia di Gaza e l’Egitto, nota come “corridoio Filadelfia”, attraverso la quale Hamas nel corso degli anni ha introdotto clandestinamente grandi quantità di armi, il piano parla di un sistema di “chiusura” per impedire ulteriori traffici dei gruppi terroristi, che funzionerà “per quanto possibile in collaborazione con l’Egitto e con l’assistenza degli Stati Uniti”. Secondo il piano, tale sistema di chiusura sarà “basato sulle misure necessarie per prevenire il contrabbando dall’Egitto sia sottoterra che in superficie, compreso il valico di Rafah” tra Gaza ed Egitto.

Circa la dimensione civile del periodo intermedio, il governo di Gaza, finora totalmente nelle mani di Hamas, sarà affidato a funzionari palestinesi locali dotati di esperienza amministrativa, che non si identifichino con alcun paese o entità che sostiene il terrorismo o versa finanziamenti a terroristi. E’ un profilo che esclude l’Autorità Palestinese nella sua forma attuale, dato che da anni Ramallah versa stipendi mensili ai terroristi palestinesi detenuti in Israele e alle loro famiglie. Potrebbe escludere anche paesi arabi che hanno forti legami con Hamas, come il Qatar.

Nel suo piano, Netanyahu parla di promuovere “un programma di de-radicalizzazione globale di tutte le istituzioni religiose, educative e assistenziali nella striscia di Gaza”. Ciò sarà fatto “per quanto possibile con il coinvolgimento e l’assistenza dei paesi arabi che hanno esperienza nel promuovere la de-radicalizzazione nei loro territori”.

Il documento afferma inoltre che “Israele si adopererà per far chiudere l’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione [dei “profughi” palestinese], i cui operatori sono stati coinvolti nel massacro del 7 ottobre e le cui scuole insegnano il terrorismo e la distruzione di Israele”. Israele intende “sostituire le attività dell’Unrwa nella striscia di Gaza con agenzie umanitarie internazionali responsabili”, che il documento tuttavia non indica in dettaglio.

“La restaurazione della striscia di Gaza – afferma il piano – sarà possibile solo dopo il completamento della smilitarizzazione e l’inizio del processo di de-radicalizzazione”. Tale processo verrebbe “finanziato e guidato da paesi accettabili per Israele”.

Il piano non entra in dettagli circa la prospettiva a lungo termine. In sostanza, afferma che il futuro di Gaza potrà essere determinato solo attraverso negoziati, senza tuttavia specificare con chi Israele potrebbe negoziare. Come principi a lungo termine, il documento ribadisce quanto già approvato dal governo e dalla Knesset, e cioè che “Israele rifiuta categoricamente diktat internazionali riguardanti una soluzione permanente con i palestinesi, che un accordo sarà raggiunto solo attraverso trattative dirette tra le parti senza precondizioni e che Israele continuerà a opporsi al riconoscimento unilaterale di uno stato palestinese giacché tale riconoscimento dopo il massacro del 7 ottobre costituirebbe una ricompensa enorme e senza precedenti per il terrorismo e impedirebbe qualsiasi futuro accordo di pace”.

(Da; Jerusalem Post, Israel HaYom, 23.2.24)