Ci vuole ben altro che un ritocco cosmetico per la famosa “Autorità Palestinese rivitalizzata”

Se si vuole riformare e rinnovare l’Autorità Palestinese servirà molto di più che sostituire semplicemente il primo ministro, che in ogni caso prende ordini dallo stesso presidente che comanda dal 2005

Editoriale del Jerusalem Post

Il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen (a destra) e primo ministro (ora dimissionario) Mohammad Shtayyeh, durante una riunione di governo a Ramallah

Il leader dell’Autorità Palestinese, quello che prende le decisioni – e che lo fa dal 2005 – non è altri che l’87enne presidente Abu Mazen. E’ lui che dà il tono e decide le politiche dell’Autorità Palestinese.

E’ un fatto del tutto ovvio. Perché allora è importante sottolinearlo adesso? Perché alcuni potrebbero erroneamente credere che le dimissioni del primo ministro dell’Autorità Palestinese Mohammad Shtayyeh preannuncino un processo di riforma e rigenerazione che sarebbe già in corso all’interno dell’Autorità Palestinese.

Invece è troppo presto per trarre una conclusione del genere giacché, finché Abu Mazen rimane al vertice della piramide, tutte le mosse sotto di lui sono in gran parte cosmetiche.

Alcune divergenze tra Stati Uniti e Israele riguardo all’Autorità Palestinese, e al suo possibile ruolo nella striscia di Gaza dopo la guerra, hanno cominciato a emergere pubblicamente già a metà dello scorso novembre. In un editoriale del 18 novembre sul Washington Post, il presidente americano Joe Biden scrisse: “Nel momento in cui ci adoperiamo per la pace, Gaza e la Cisgiordania dovrebbero essere riunite sotto un’unica struttura di governo, in definitiva sotto un’Autorità Palestinese rivitalizzata, giacché tutti noi lavoriamo per una soluzione a due stati”.

Fu una delle prime volte che Biden usò il termine “rivitalizzata” in riferimento all’Autorità Palestinese che, a suo avviso, dovrebbe svolgere un futuro ruolo a Gaza. Dopodiché il termine è diventato uno slogan spesso usato da Biden e altri alti funzionari statunitensi, a volte sostituito dalla parola “rinnovata”, altre volte dalla parola “riformata”.

5 dicembre 2023, Mahmoud Al-Habbash, Consigliere del presidente Abu Mazen per gli affari religiosi: “(Gli israeliani) hanno diffuso bugie, falsità e invenzioni riguardo a ciò che è accaduto il 7 ottobre” (clicca la foto per il video PMW su YouTube con sottotitoli in inglese)

Il significato dietro queste parole era semplice: l’Autorità Palestinese corrotta e inefficiente che ha il controllo delle città palestinesi in Cisgiordania da circa trent’anni non può governare Gaza, ma un’Autorità Palestinese rivitalizzata o rinnovata sarebbe certamente in grado di farlo.

Ora, pochi mesi dopo che il termine “rivitalizzata” ha preso piede, in seguito alle pressioni sui palestinesi da parte degli Stati Uniti e della comunità internazionale affinché “riformino” l’Autorità Palestinese Shtayyeh ha annunciato, lunedì, le sue dimissioni.

Il passo è stato applaudito dagli Stati Uniti e dalle Nazioni Unite, che hanno subito affermato che indica cambiamenti positivi all’interno dell’Autorità Palestinese. Secondo il portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller, Washington si è impegnata con l’Autorità Palestinese sulla necessità di “riformare e rivitalizzare il governo e li abbiamo visti iniziare a compiere passi in quella direzione, che accogliamo con favore”.

Noi, comunque, mettiamo in guardia dal dare troppo peso alle dimissioni di Shtayyeh.

Per rivitalizzare e rinnovare l’Autorità Palestinese sarà necessario molto di più che sostituire semplicemente il primo ministro, il quale – in ogni caso – gioca un ruolo di secondo piano rispetto al presidente, un uomo che governa essenzialmente per decreti.

Già tempo fa, a guerra iniziata, il primo ministro Benjamin Netanyahu è stato inequivocabile nell’affermare che non avrebbe mai accettato che all’Autorità Palestinese fosse dato il controllo su Gaza e che Israele non avrebbe né ignorato né mascherato le enormi carenze dell’Autorità Palestinese.

Da allora Netanyahu ha in qualche misura ammorbidito questa posizione, non escludendo completamente, ma nemmeno menzionando, l’Autorità Palestinese nei parametri che ha diffuso la settimana scorsa circa i suoi principi per il giorno dopo la guerra a Gaza.

Ma a novembre Netanyahu aveva parlato dell’Autorità Palestinese in termini che sono altrettanto validi oggi. “Vediamo tutte le cose negative che caratterizzano l’Autorità Palestinese e non le ignoriamo”, affermò in una conferenza stampa in cui respingeva la visione romantica dell’Autorità Palestinese che circola in Occidente come di un’entità bendisposta che aspira solo alla convivenza e alla pace.

Tra le “pessime caratteristiche” elencate da Netanyahu c’è il fatto che l’Autorità Palestinese paga vitalizi ai terroristi condannati e detenuti per aver ucciso o tentato di uccidere ebrei; che l’Autorità Palestinese indottrina i bambini e alunni palestinesi all’odio verso Israele e inculca in loro la determinazione a uccidere ebrei e causare la scomparsa di Israele; che Abu Mazen non ha mai condannato il massacro del 7 ottobre e che anzi alcuni esponenti dell’Autorità Palestinese, come Jibril Rajoub, hanno apertamente manifestato l’auspicio di veder ripetersi anche in Cisgiordania ciò che è accaduto il 7 ottobre.

Se un’Autorità Palestinese “rivitalizzata” significa un’Autorità Palestinese completamente rinnovata e ristrutturata con nuovi leader, nuove politiche, nuovi libri di testo e input pratici da paesi come gli Emirati Arabi Uniti anziché il Qatar, sarebbe una cosa.

Se invece si tratta semplicemente di versare il vino vecchio in una bottiglia nuova, allora è tutt’altra cosa. Le dimissioni di Shtayyeh rischiano di essere proprio questo. Considerare le sue dimissioni, a questo punto, come qualcosa di diverso da questo potrebbe essere poco più che una pia illusione.

(Da: Jerusalem Post, 28.2.24)