Il rilascio degli ostaggi significherebbe cessate il fuoco immediato

Dovrebbe essere ovvio, ma per qualche motivo tutto il mondo invoca il cessate il fuoco, aiuti umanitari, protezione dei civili, soluzione a due stati dimenticando volentieri la questione centrale che cambierebbe tutto

Da un articolo di Peter John Beyfus

Peter John Beyfus, autore del blog da cui è tratto questo articolo

Mi considero una persona ragionevole che fa del suo meglio per comprendere le argomentazioni di entrambe le parti di una controversia. Ma ci sono casi in cui le questioni diventano così impantanate nell’illogicità e nel clamore emotivo che arrivare al nocciolo del problema diventa un compito titanico. Questo è il modo in cui i mass-media mondiali hanno presentato e continuano a presentare la guerra tra Israele e Hamas.

Si parla molto di cessate il fuoco, della necessità di fornire aiuti umanitari a Gaza, di evitare vittime civili, di riconsiderare la soluzione a due stati del lungo conflitto israelo-palestinese.

Ma si parla molto poco sulla questione principale: gli ostaggi.

Chiaramente è in atto qualche meccanismo volto a complicare lo scenario in modo da ignorare ciò che è ovvio e lampante: il rilascio di tutti gli ostaggi trattenuti da Hamas e dai suoi accoliti equivarrebbe a un immediato cessate il fuoco e a una potenziale riapertura dei negoziati.

Netanyahu, un politico che ha molti difetti e certamente non è amato da molti, mette a fuoco un fatto che evidentemente altri non riescono a vedere, e cioè che cedere alle condizioni di Hamas costituirebbe una danno colossale per la futura sicurezza di Israele e dei suoi abitanti.

Netanyahu è sottoposto a un’enorme pressione da parte delle famiglie degli ostaggi, per le quali non si può che nutrire enorme comprensione per ciò che stanno attraversando, molte delle quali (anche se non tutte ndr) gli chiedono di acconsentire alle pretese di Hamas.

Un riservista israeliano passa davanti ai manifesti con i nomi e i volti degli ostaggi deportati a Gaza dai terroristi palestinesi

Israele ha sempre considerato la sicurezza dei suoi cittadini come la sua massima priorità e in passato ha fatto tutto ciò che era in suo potere per riportare a casa quelli che erano stati catturati da forze nemiche. Il soldato Gilad Shalit venne rilasciato nell’ottobre 2011, dopo essere stato trattenuto per quasi cinque anni a Gaza come ostaggio e usato come merce di ricatto. Il prezzo per la sua liberazione fu la scarcerazione di più di 1.000 terroristi palestinesi detenuti, tra i quali Yahya Sinwar, l’attuale capo di Hamas nonché architetto della carneficina del 7 ottobre.

Oggi gli ostaggi sono più di 130, per lo più civili non combattenti, e vengono usati in modo depravato da Hamas per lacerare la società israeliana e strapparle condizioni che potrà vantare come una vittoria, il tutto sfruttando i sentimenti anti-israeliani diffusi a livello globale.

Come è già stato osservato da più parti, Israele potrà forse ottenere una vittoria militare su Hamas, distruggendola o debellandola al punto da non poter scatenare un’altra guerra in futuro, ma ha già perso la battaglia per far riconoscere la legittimità e le giustizia della sua campagna militare contro un’organizzazione che si autoproclama genocida, e se ne vanta.

Con la sentenza provvisoria della Corte Internazionale di Giustizia che viene già volgarmente travisata dai nemici d’Israele come se avesse “dimostrato” l’accusa di genocidio contro i palestinesi (senza mai ricordare che la stessa Corte ha chiesto il rilascio immediato e incondizionate di tutti gli ostaggi ndr), diventa sempre più difficile per uno stato assediato e minacciato come Israele contrastare l’ondata di indignazione popolare, ampiamente espressa da manifestazioni e post sui social network.

Il fulcro del conflitto si è spostato molto rapidamente dal massacro del 7 ottobre e dal rapimento degli ostaggi alle sofferenze dei palestinesi. Così nel giro di quattro mesi le persone detenute da una serie di gruppi terroristici islamisti sono state in gran parte dimenticate dal mondo, mentre la loro esistenza viene rievocata solo dalle famiglie, dagli israeliani e da molti ebrei della diaspora, oltre che da coloro che condannano convintamente i crimini di Hamas.

Eppure gli ostaggi dovrebbero essere la principale preoccupazione della comunità mondiale, con martellanti appelli da parte di tutti i paesi che considerano un male la presa di ostaggi. L’Onu, in particolare, dovrebbe esercitare la massima pressione su Hamas, sugli altri gruppi islamici e sui paesi che hanno influenza su tali gruppi affinché vengano liberati gli innocenti che vengono trattenuti come ostaggi. Ma per qualche perversa ragione non è così, e l’unica spiegazione possibile è la presenza di un’ostilità profondamente radicata nei confronti di Israele, alimentata da una quantità di governi che non sanno nemmeno cosa sia una democrazia liberale.

La richiesta di un cessate il fuoco senza precondizioni sembra essere tutto ciò che la comunità internazionale ha da offrire, il che consentirebbe a Hamas di salvarsi, si riarmarsi e di continuare a catturare e trattenere ostaggi come “merce” negoziale: un “successo” che troverebbe ben presti molti imitatori. (…)

(Da: Times of Israel, 10.2.24)

Il poster di Eyal Gur, da una mostra a Tel Aviv della Israeli Graphic Designers Association