In Siria, repressione e diserzioni

L’insurrezione si profila sempre più come un centro di potere rivale.

Di Jonathan Spyer

image_3468La defezione questa settimana verso la Turchia di un generale siriano con cinque ufficiali e 33 soldati rappresenta l’ultimo scacco del regime di Bashar Assad assediato a Damasco. Sale così a 13 il numero degli alti ufficiali che hanno disertato la causa di Assad e che vanno ad aggiungersi alle migliaia di soldati e ufficiali di basso rango che l’hanno già fatto. Inoltre, almeno tre piloti da caccia siriani hanno disertato domenica verso la Giordania.
Queste ultime perdite, naturalmente, non sono decisive in se stesse per il dittatore siriano. Ma vanno ad aggiungersi al quadro generale di un regime che, sebbene ancora sprezzante, è visibilmente a corto di idee. L’unica strategia di cui dispone è rilanciare, aumentando il grado e l’efferatezza dei suoi sforzi volti a schiacciare la ribellione con la forza bruta. Una strategia che riesce a produrre un conteggio sempre più drammatico di morti, ma che non mostra alcun segno di riuscire a fermare la rivolta. Il che a sua volta porta a una crescente disillusione fra le forze ancora fedeli al regime.
Secondo stime attendibili, oggi i ribelli siriani possono contare su circa 40.000 combattenti. Si tratta di una forza significativa, anche se ancora molto concentrata in alcune particolari aree del paese. Per fare un confronto, la rivolta dei Fratelli Musulmani che Assad padre schiacciò a Hama nel 1982 non aveva mai potuto contare su più di 4.000 insorti (anche se le vittime civili della repressione furono molte di più). Ufficialmente Assad controlla oggi un esercito di poco più di 200.000 uomini. Ma soltanto in parte sono abbastanza affidabili da poter essere impegnati contro la ribellione.
L’insurrezione siriana, iniziata come una sollevazione contro le autorità costituite, si profila sempre più come un centro di potere rivale. Le ultime diserzioni sono la dimostrazione che questo sviluppo appare sempre più evidente anche agli occhi di un numero crescente di uomini di Assad.
Diversi aspetti concorrono a creare questa impressione. Innanzitutto i ribelli detengono di fatto il controllo di una porzione crescente del territorio siriano, nonostante la sanguinosa controffensiva scatenata a marzo dal regime nel tentativo di riconquistare le aree sotto il controllo dell’opposizione. Il regime di Assad ha ancora la capacità di conquistare e controllare qualunque punto specifico del paese, ma non dispone di forze leali sufficienti per occupare e controllare simultaneamente tutte le aree che sostengono l’insurrezione. Assad controlla le città e le principali strade del paese, ma in una grande parte del nord le sue truppe non si avventurano più nelle campagne. La regione fra le città di Aleppo e Idlib è oggi di fatto sotto il controllo dei ribelli. Una seconda “zona sicura” nelle mani dell’insurrezione si estende dal confine turco giù fino alle porte di Hama. Zone minori controllate dei ribelli sono state ritagliate nel governatorato di Deraa, a nord e a sud della città di Homs e nell’area di Zabadani vicino al Libano.
In secondo luogo i ribelli sono in grado di reperire armamenti più sofisticati che passano attraverso il confine con la Turchia, finanziati da Arabia Saudita e Qatar in coordinamento con la Turchia e forse con l’aiuto degli Stati Uniti. Queste crescenti capacità stanno facendo la differenza. Ordigni esplosivi improvvisati vengono usati per non dare tregua alle forze si Assad, mentre prove fotografiche attestano la distruzione di carri armati nel nord del paese. E intanto cresce il bilancio delle vittime fra le forze lealiste, per cui Assad preferisce usare artiglieria ed elicotteri anziché fanteria e corazzati. Il che indica un declino delle sue forze umane e forse anche una ridotta fiducia da parte del regime nei propri fanti.
In terzo luogo, l’abbattimento da parte del regime di Assad del caccia F-4 turco la scorsa settimana minaccia di innescare una ritorsione. I turchi hanno chiesto una riunione dei paesi della Nato, in programma per martedì, in base all’articolo 4 del Trattato (che recita: “Le parti si consulteranno quando, secondo il giudizio di una di esse, ritengano che l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una di esse siano minacciate”). Il regime di Assad aspetterà di vedere se l’abbattimento dell’aereo si dimostrerà un fattore tale da accelerare una reazione internazionale contro di lui più esplicita e determinata. Tuttavia la Turchia si è mostrata restia ad agire da sola, per cui questo sviluppo dipenderà dal parere degli altri stati membri della Nato, che a loro volta si sono fin qui dimostrati nettamente refrattari a misure più drastiche. Ad ogni modo, anche solo la paura di questa eventualità contribuisce a spiegare il clima di crescente nervosismo che serpeggia in una parte sempre più importante degli uomini e delle truppe di Assad. È anche per via di questi dubbi che questa settimana trentanove di loro, compreso un generale, si sono avviati con le famiglie dalla provincia settentrionale siriana di Hatay verso la Turchia. Probabilmente altri li seguiranno.

(Da: Jerusalem Post, 26.6.12)

Nella foto in alto: Jonathan Spyer, autore di questo articolo