La protesta iraniana abbandonata (perché è al fianco di Israele)

Gli enormi cortei a Londra e Parigi che chiedono una «Palestina dal fiume al mare», cioè la cancellazione di Israele dalla faccia della terra, si sono dimenticati dei 279 giovani impiccati in Iran solo perché avevano osato manifestare in piazza

Di Carlo Panella

Carlo Panella, autore di questo articolo

Impressionante la sedia vuota di Narges Mohammadi – ancora detenuta nel carcere Evin di Teheran, in pessime condizioni di vita – durante la cerimonia di assegnazione del Nobel per la Pace 2023. Così come impressionanti sono le due sedie vuote dei genitori di Masha Amini, la cui uccisione feroce fece esplodere il movimento “Donna, Vita, Libertà” durante la cerimonia di assegnazione del premio Sacharov del Parlamento Europeo. All’ultimo momento, in aeroporto i Pasdaran gli hanno impedito di partire. Uno sgarro odioso.

Ancora più impressionante, però, nel momento in cui almeno le istituzioni si ricordano di rendere il giusto merito e omaggio al movimento iraniano, è il silenzio, la mancanza di solidarietà verso l’onda di protesta iraniana da parte dei movimenti femministi e progressisti in Occidente. Il totale disinteresse nei confronti delle donne e degli uomini iraniani ribelli da parte degli enormi cortei di Londra e a Parigi che hanno chiesto una «Palestina dal fiume al mare», cioè la cancellazione di Israele dalla faccia della terra, e si sono volutamente dimenticati dei duecentosettantanove giovani impiccati in Iran solo perché avevano manifestato nelle piazze.

La ragione dell’oblio della insanguinata piazza iraniana nelle vocianti manifestazioni pro-Palestina in Occidente è scabrosa: ieri come oggi i giovani iraniani del movimento stanno con tutto il cuore al fianco di Israele e contro Hamas.

«Margbar al Falastin», a morte la Palestina, così gridavano nel 2019 nelle piazze i giovani iraniani in rivolta contro il regime degli ayatollah e dei Pasdaran. Dopo il pogrom del 7 ottobre, nelle poche occasioni in cui sono riusciti a penetrare tra le maglie della durissima repressione hanno gridato: «Pasdaran, Bassiji, Hamas, siete voi il nostro Isis», «Non per Gaza, non per Hezbollah, la mia vita è solo per l’Iran». Shirin Ebadi, oppositrice ferma del regime, in esilio, Premio Nobel per la pace ha detto: «L’Iran arma Hamas, ma gli iraniani non lo tollerano».

Manifestazione anti-Israele il 9 ottobre a Londra (prima che iniziasse la reazione militare israeliana nella striscia di Gaza). Sul cartello di destra si denuncia un fantomatico “genocidio” dei palestinesi. Sul cartello di sinistra, si inneggia all’annientamento dello stato ebraico “dal fiume al mare” (propugnato e concretamente intrapreso da Hamas il 7 ottobre)

La ragione di questa posizione è ovvia, il regime iraniano che li opprime e reprime ha due obbiettivi strategici indissolubili: esportare ovunque la rivoluzione islamica e «cancellare Israele dalla faccia della terra», facendo della Palestina un presidio dello Stato islamico. Per perseguirli, impone al popolo iraniano i legami intollerabili della più rigida sharia – oppressione della donna e delle libertà in testa – e indica a ogni piè sospinto nel sionismo il suo più acerrimo nemico. Quindi, Israele viene percepito come alleato di fatto di chi contro il regime si ribella. Inoltre, elemento non secondario, il movimento di opposizione protesta contro i miliardi di dollari che il regime sottrae alle necessità vitali della popolazione iraniana per finanziare invece le operazioni militari estere dei Pasdaran e per finanziare Hamas e Hezbollah.

Da qui, la riscoperta da parte del movimento iraniano della plurimillenaria tradizione persiana di amicizia e intesa con gli ebrei iniziata dal re Ciro II il Grande che sconfisse gli assiri e mise fine alla cattività babilonese permettendo al popolo ebraico di ritornare libero in Israele e ricostruire il Tempio.

Così, oggi, i giovani e i non giovani iraniani del movimento “Donna, Vita, Libertà” sono al fianco di Israele e contro Hamas e lo urlano, quando possono infrangere una repressione feroce. La ragione è ovvia: sanno, sulla loro pelle, che c’è un legame intrinseco, fortissimo tra l’islam fondamentalista e quello jihadista, tra il regime che li reprime e li soffoca e l’alleato Hamas.

Le anime belle che in Occidente manifestano contro Israele non vogliono vedere che in realtà è l’unico stato non solo di democrazia matura, ma anche totalmente gay-friendly, nel quale le donne sono totalmente libere. Questo lo ha invece perfettamente compreso la piazza iraniana che conosce troppo bene l’omofobia e la misoginia parossistica che accomuna l’islam degli ayatollah e quello di Hamas.

Ed è indicativo che contro la feroce repressione del movimento “Donna, Vita, Libertà”, quando la solidarietà era indispensabile e utile, siano scesi nelle piazze in Occidente cento volte meno manifestanti di quelli che scendono oggi a difendere le ragioni di Hamas, “forza della resistenza”, incuranti, insensibili al pogrom degli ebrei. Ed è ancora più indicativo e terribile che in nessuna piazza dei Paesi arabi e islamici vi sia stata mai una manifestazione al fianco degli iraniani massacrati nelle piazze e sulle forche.