Ore decisive per Israele tra leva militare degli ultraortodossi, Hamas che non è ancora sconfitta, e gli ostaggi che il mondo preferisce dimenticare

"Italia Israele Today" intervista Sergio Della Pergola

di Giuseppe Crimaldi

Sergio Della Pergola, intervistato in questo articolo

“Israele sta vivendo ore drammatiche, ma anche decisive per il proprio futuro. Lo dico non soltanto pensando alla guerra contro Hamas, ai civili ostaggi e alla risoluzione dell’Onu sul cessate il fuoco, ma anche alle evoluzioni interne della politica nazionale. La Corte Suprema è chiamata in queste ore a sciogliere un nodo gordiano: quello sull’obbligo del servizio militare anche per gli haredim, gli ultraortodossi che fino a oggi sono stati esentati dal servire per l’esercito nella difesa della nazione. Nelle prossime ore ne sapremo di più, ma il paese è stanco di questo privilegio riservato loro”.

Sergio Della Pergola è professore emerito di Demografia all’Università Ebraica di Gerusalemme, ma è anche uno dei più acuti analisti politici israeliani. Nato a Trieste in una famiglia ebraica, Sergio è figlio del giornalista Massimo Della Pergola, noto anche per aver inventato la schedina del Totocalcio. Nel dicembre del 1943 sfuggì ai rastrellamenti dei nazifascisti, dopo la guerra è cresciuto a Milano e si è trasferito a Gerusalemme nel 1966.

In questa intervista a Italia Israele Today affronta la situazione che vivono oggi gli israeliani tra amarezze, delusioni e speranze, dopo il 7 ottobre.

– Brucia ancora la decisione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu di lunedì sera, quando al Palazzo di Vetro è passata la risoluzione sul cessate il fuoco, con l’astensione degli Stati Uniti. Adesso che succede?

“La mozione del Consiglio di Sicurezza va letta con attenzione: dice che si deve arrivare al cessate il fuoco nella Striscia e che tutti gli ostaggi israeliani vanno liberati. Io avrei invertito la formula, premettendo la liberazione dei prigionieri nelle mani di Hamas al cessate il fuoco, ma il fatto che per la prima volta si chieda il rilascio di tutti gli ostaggi è un fatto nuovo, e molto importante. La trattativa che zoppica in Qatar finora si era fermata a rilasci parziali, l’ultima bozza parlava di 40 ostaggi da liberare. Oggi invece c’è quello che per me è un passo avanti formalmente molto importante. Quanto all’atteggiamento assunto dagli Stati Uniti, siamo di fronte a una decisione politica: l’astensione degli Usa è condizionata dalla campagna elettorale americana, nella quale Joe Biden cerca consensi a sinistra e nell’elettorato musulmano che in alcuni Stati – penso al Michigan – risultano poi decisivi nella conta finale dei voti”.

Gli ostaggi ricordati dalla gente in piazza Dizengoff, a Tel Aviv. Per qualche motivo il rilascio degli ostaggi, quando viene chiesto, viene sempre messo in secondo piano rispetto al cessate il fuoco. Sergio Della Pergola: “L’ordine dei fattori in questo caso conta”

– C’è il rischio che dopo la decisione americana Israele resti isolata?

“La decisione è anche un messaggio al premier Benjamin Netanyahu, per dirgli: ‘Attento Bibi, il manico del coltello ce l’abbiamo noi e non tu’. Ma questo è uno schiaffo a Netanyahu, non a Israele. Non sarei catastrofista, e non penso che l’America lascerà Israele da sola”.

– E Netanyahu? Quale sarà il suo futuro, a guerra terminata?

“Netanyahu è arrivato di fronte a un muro. Forse in Italia se ne parla poco, ma qui in Israele in queste ore il tema politico è quello legato all’arruolamento nell’esercito dei giovani haredim. I quali, finora, hanno goduto di uno status privilegiato che ha sempre consentito agli ultraortodossi di essere esonerati dal servizio militare, anche se tale esenzione non è più una legge dal 2018, quando la Corte Suprema ha scelto di annullarla. È su tale questione che gli haredim rischiano di spaccare il governo”.

– Perché?

“La Corte Suprema israeliana ha dato al governo 24 ore di tempo per chiarire se intenda modificare questo privilegio, fornendo le linee programmatiche in grado di chiarire su come procedere in futuro di fronte a questa palese discriminazione; oppure chiarire i motivi della stessa sperequazione ai danni di migliaia di giovani israeliani chiamati a difendere il paese”.

– E’ una questione sentita in Israele?

“Molto, e nelle prossime ore vedremo cosa succederà. La gente qui è stanca di giustificare questa esenzione, questo odioso privilegio. Circa 600 ragazzi israeliani sono morti, tra quelli assassinati il 7 ottobre mentre difendevano i confini e quelli caduti in guerra. E ci sono, tra i giovani di Tzahal, più di 3.000 feriti gravi, i quali vivranno con amputazioni degli arti o gravissime invalidità. Perché, si chiedono gli israeliani, questi eroi devono essersi immolati anche per difendere il diritto all’esistenza degli ultraortodossi? La grande maggioranza degli israeliani è indignata: cosa fate voi haredim, mentre i nostri figli difendono con la vita anche voi?”

E che cosa succederà di fronte all’aut-aut della Corte Suprema?

“Le ipotesi sono due: o in un prossimo futuro anche gli haredim dovranno indossare la divisa di Tzahal; oppure gli scenari diventano imprevedibili: Bibi dovrà procrastinare la sua decisione fra mille contorsioni e forse riuscirà ad avere una proroga dalla Corte ancora per alcuni mesi. Ma la resa dei conti a questo punto sarà inevitabile”.

– In che senso?

“Su questo punto nevralgico potrebbe anche cadere il governo. All’interno della maggioranza c’è chi non ne può più dei privilegi riservati agli ultraortodossi. Anche nel Likud ci sono almeno quattro ‘franchi tiratori’ pronti a impallinare Bibi, se non cambierà la legge. E non è un caso che a capitanare questa pattuglia ci sia proprio Yoav Gallant, il ministro della difesa, che è un ex generale. E c’è anche il potente presidente della Commissione Esteri a sostenere la sua linea. Certo, Bibi ci ha abituati a sempre nuovi giochi di prestigio: ma credo che stavolta gli sarà difficile tirare il coniglio dal cappello”.

Professore, le università italiane, oggi, sono un territorio di battaglia ideologica anti-israeliana, e non più luoghi del sapere e della conoscenza. Irruzioni nei Senati Accademici, blocchi, occupazioni, aggressioni ai rettori. A comandare sono i “collettivi studenteschi” e giovani fortemente schierati e politicizzati, che peraltro ignorano la storia. La preoccupa questa situazione, che peraltro non è affatto soltanto italiana?

“E’ in atto un processo degenerativo. Le università italiane assomigliano oggi molto più a un dopolavoro studentesco, a circoli politici spudoratamente schierati sulla trincea dell’antisionismo, che poi è spesso e volentieri antisemitismo. Tutto avviene in nome di una presunta ‘libertà di dibattito’ che tale non è: penso a quello che è accaduto all’ateneo statale di Milano, dove il ‘dibattito’ è stato affidato ad un incontro nel quale in cattedra sono saliti due relatori come Moni Ovadia e Francesca Albanese. Dov’era l’interlocuzione, il confronto, con due soggetti simili?

Torniamo a Israele. Qual è il futuro politico di Netanyahu e del suo governo? Servirebbero nuove elezioni politiche?

“Penso siano essenziali, ma è molto difficile organizzarle in mezzo a una situazione di guerra. Netanyahu deve andarsene quanto prima perché causa danni irreversibili a Israele, e per questo sono necessarie nuove elezioni che però sono difficili da organizzare in piena guerra”.

Di recente un sondaggio curato dal ‘Palestinian Center for policy and survey research’ del professor Khalil Shikaki – palestinese di Ramallah – ha evidenziato che Hamas gode ancora purtroppo di grande sostegno da parte della popolazione palestinese: e, ancor più che degli abitanti della striscia di Gaza, da parte dei palestinesi della Cisgiordania. E’ attendibile questo sondaggio?

“Resto scettico all’idea che tra i palestinesi sia in atto uno scollamento da Hamas. C’è qualche debole segnale, è vero, soprattutto a Gaza, tra la gente stremata da mesi di guerra: ma credo sia molto difficile rispondere – almeno in questo momento – alla domanda. Il sondaggio di Shikaki ha sicuramente una base attendibile laddove dice che nella Striscia il 52% vuole ancora Hamas, mentre in Cisgiordania la percentuale sale al 62. Questo significa purtroppo che Hamas non è stata affatto sconfitta”.

(Da Italia Israele Today (www.italiaisraele.org), 26-27.3.24)

Interpellato per i podcast di Riflessi Menorah sul documento pubblicato da “Sinistra per Israele”, Sergio Della Pergola ha risposto: “Ho letto attentamente il documento ‘Dal 7 ottobre alla pace’, il manifesto di Sinistra per Israele: è debolissimo, non inserisce quelle che devono essere le vere esigenze di una trattativa e di un sostegno per Israele. Do solamente un esempio: il documento comincia raccomandando il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi. Io lo riscriverei dicendo: bisogna liberare gli ostaggi e poi fare il cessate il fuoco. Cioè, l’ordine dei fattori in questo caso conta. Andando avanti, l’unico uomo politico di cui si parla è Netanyahu. Ora, Netanyahu chiaramente è un grosso problema, un grosso peso che sta arrecando un enorme danno allo stato d’Israele. Ma non è l’unico politico del Medio Oriente. Una parola su Sinwar, una parola su Abu Mazen ci starebbero. Ossia, il fatto di fare una critica a Israele è più che giustificato. Però non si può farla senza anche acuire una critica alla controparte. L’origine di tutto il male è a Tehran, questa cosa va detta. Questi movimenti fanatici, antisemiti vanno condannati in maniera esplicita, quando ci si preoccupa giustamente per l’immane perdita di vite umane innocenti. E quindi io raccomando una formulazione più incisiva e più convincente, che permetta a molte persone come me di firmare questo appello, che apprezzo molto perché l’intenzione è molto buona. Ma va riformulato.
(Da: I podcast di Riflessi, 18.3.24)

Qui, intervista di Radio Popolare a Luciano Belli Paci su “Sinistra per Israele” (23.3.24) ca. 11 minuti)