Cosa insegna il fallito colpo di mano costituzionale

Il consenso fra gli israeliani esiste ed è la loro forza, come si vede quando devono combattere per difendersi. Ma va perseguito e ascoltato (senza spregevoli secondi fini)

Di Amotz Asa-El

Amotz Asa-El, autore di questo articolo

Nata in una tempesta di fuoco, è morta nel gelo. La “rivoluzione” costituzionale che ci ha investiti un anno fa – quando il ministro israeliano della giustizia Yariv Levin svelò il suo pacchetto composto da 11 riforme di legge – è stata sepolta lunedì scorso, quando la Corte Suprema ha annullato l’unica riforma di legge che Levin era riuscito a far approvare.

Il defunto progetto si proponeva quattro obiettivi: limitare il potere della Corte di annullare leggi; modificare il processo di selezione dei giudici in modo che fosse controllato dai politici della coalizione di maggioranza; annullare il potere dei tribunali di impugnare decisioni dell’esecutivo in quanto “irragionevoli”; depotenziare i consulenti legali di ogni ministero, rendendo non vincolanti le loro raccomandazioni.

Separati l’uno dall’altro, alcuni degli atomi giudiziari di questa macromolecola politica meritavano d’essere presi in considerazione. Ma nel loro insieme erano concepiti non per migliorare il sistema giudiziario, bensì per sottometterlo. Se fosse stato per Levin, la magistratura avrebbe ormai perso la facoltà di controllare l’operato del governo e di controbilanciare i poteri del parlamento.

Fortunatamente non è toccato a Levin, e alla fine l’unica clausola che era riuscito a far passare è stata quella che cancellava il potere della Corte di annullare le decisioni per “irragionevolezza”. Ora anche quella scheggia di riforma è svanita, poiché la Corte l’ha annullata ponendo fine alla sventura in cui Yariv Levin ci aveva trascinati tutti.

Ma la sconfitta di Levin va più in profondità, giacché il punto principale della Corte non era tanto quell’annullamento, ma l’affermazione di principio – approvata da 12 giudici su 15 – secondo cui la Corte stessa non ha motivo di trattare una Legge Fondamentale in modo diverso da una legge normale. La ragione è semplice: affinché una legge abbia valore “costituzionale” non è sufficiente che 61 deputati su 120 la etichettino come tale. Le leggi costituzionali devono riflettere e promuovere un ampio consenso. Questo è il motivo per cui vengono approvate con maggioranze speciali e in molti casi richiedono anche referendum confermativi con maggioranze speciali.

24 luglio 2023: il ministro della giustizia Yariv Levin (al centro con la cravatta) e altri membri della coalizione festeggiano alla Knesset l’approvazione del disegno di legge sulla “ragionevolezza”

La riforma di Levin rappresentava esattamente il capovolgimento di questo concetto: ignorava il consenso, lacerava la popolazione e permetteva alla maggioranza di calpestare la minoranza. Il principio base delle leggi costituzionali sfuggiva totalmente a Levin, il cui scopo non era quello di conferire potere al popolo sovrano, come le costituzioni sono chiamate a fare, ma di privare di potere il sistema giudiziario.

Questo è quello che succedeva sul piano giuridico. Tuttavia la saga vedeva in gioco anche altri piani, che sono persino più importanti perché dovrebbero guidare il cammino di un stato d’Israele assediato di fronte ai suoi compiti nel dopoguerra.

Lo scontro con la magistratura schierava tre divisioni: i monarchici, i separatisti e gli zeloti. I “monarchici” erano i membri del Likud come Levin che volevano rendere immune “re” Benjamin Netanyahu dal controllo dei suoi giudici, collocandolo di fatto al di sopra della legge. I “separatisti” sono i politici ultra-ortodossi che vorrebbero una Corte disposta a violare il principio di uguaglianza davanti alla legge, lasciando ad esempio che i loro figli si sottraggano alla leva militare. Gli “zeloti” sono quelli che vorrebbero una Corte disposta a ignorare i diritti di proprietà degli arabi palestinesi.

Tutte e tre queste motivazioni sono spregevoli già di per sé. Ma quand’anche ciò non avesse importanza agli occhi dell’architetto della manovra, egli avrebbe comunque potuto prendere le misure delle dimensioni e della forza dei suoi avversari prima di provocarne lo sdegno e l’ira. Invece, Levin ha pensato che con i suoi 64 seggi alla Knesset avrebbe potuto fare quello che voleva, col risultato di vedere masse di israeliani comuni scuotere il paese nel profondo e costringere Netanyahu a mettere il progetto nel congelatore. Dove ora è morto.

I colloqui costituzionali avviati dal presidente Isaac Herzog in risposta al caos scatenato nel paese erano ciò che si sarebbe dovuto fare fin dall’inizio. Ma il problema con quei colloqui era che non avrebbero potuto dare corso a nessuno degli scippi che motivavano Levin prima d’ogni altra cosa.

Pausa di preghiera per due soldati israeliani, uno ebreo e uno musulmano. Amotz Asa-El: “Come in passato, israeliani di ogni estrazione e convinzione stanno combattendo fianco a fianco questa guerra per la difesa del paese”

Rendendosi conto che la sua rivoluzione era deragliata, un Levin frustrato presentò quell’unica clausola anche quando poteva vedere dalle finestre le moltitudini che si radunavano nelle strade, con alla testa gran parte delle élite industriali, economiche, accademiche, culturali e dell’establishment della difesa. Era impossibile sfuggire all’impressione che il consenso nazionale non stesse affatto dalla parte di Levin e i suoi compari di nessun valore: una bella seccatura nella migliore delle ipotesi, più probabilmente una vera catastrofe.

Poi scoppiò la guerra scatenata il 7 ottobre da Hamas, e fornì la più imprevedibile dimostrazione dell’esistenza, dell’ampiezza e del valore del consenso nazionale in Israele.

Come il sottoscritto ha sostenuto su queste colonne sin dal giorno dell’assassinio di Yitzhak Rabin, la società israeliana è caratterizzata da un ampio consenso. Parte significativa di tale consenso è la determinazione a difendere Israele dai suoi nemici e la disponibilità a sacrificarsi per questo.

Da allora è trascorsa una generazione e i combattimenti attuali dimostrano che ciò che era vero allora rimane vero anche oggi. Le accuse dello scorso anno secondo cui i difensori della magistratura erano anti-patrioti si sono rivelate pure calunnie. Come i loro genitori nel 1967 e nel 1973, e i loro nonni nel 1948, oggi israeliani di ogni estrazione e convinzione stanno combattendo fianco a fianco questa guerra per la difesa del paese.

Non solo il consenso israeliano esiste, ma è la ragione per cui abbiamo vinto le guerre del passato e vinceremo anche quella attuale.

Ciò significa che gli architetti della riforma avrebbero dovuto riconoscere almeno l’utilità del consenso nazionale, se non il suo valore. Non si può fare nulla di grande in Israele senza un ampio consenso. È così che sono state vinte le nostre grandi guerre, è così che è stata raggiunta la pace con l’Egitto, ed è così che venne approvata la più grande riforma mai vista qui, il piano di stabilizzazione economica del 1985. Al contrario, sono falliti tutti i tentativi israeliani di fare grandi cose senza costruire un ampio consenso: i più tragici furono l’invasione del Libano nel 1982 e gli Accordi di Oslo del 1993.

Poco importa cosa avrebbe dovuto significare questa massima nel recente passato, e cioè che la riforma costituzionale avrebbe dovuto aver luogo, sì, ma lungo la strada più difficile, attraverso la faticosa ricerca fra avversari dei valori condivisi, per incardinarli nelle leggi. Ciò che conta adesso è il suo significato per il futuro.

Quando questa guerra finirà, Israele dovrà affrontare enormi compiti di ricostruzione fisica, sociale e psicologica. Spetterà a noi la scelta: se li affronteremo alla maniera di Yariv Levin, come una federazione di tribù e sette antagoniste, finiremo nella stessa pattumiera dove è appena finita la sua “rivoluzione”. Al contrario, se ci ricostruiremo nel modo in cui le nostre truppe stanno combattendo a Gaza, ispirati dal senso di fraternità, non ci sarà limite che non potremo superare.

(Da: Jerusalem Post, 5.1.24)