Sogni e incubi

Se Israele non potrà essere lo stato del popolo ebraico, allora non sarà né pluralista né democratico

Da un articolo di Amnon Rubinstein

image_1922Se Israele non è lo stato del popolo ebraico, allora non può chiamarsi Israele perché popolo d’Israele è sinonimo di popolo ebraico.
Se Israele non è lo stato del popolo ebraico, allora la sua Dichiarazione di Indipendenza deve essere annullata, perché parla della fondazione di uno stato per il popolo ebraico chiamato Israele.
Se Israele non è lo stato del popolo ebraico, allora deve essere revocata la risoluzione Onu del 29 novembre 1947 che prevedeva la spartizione del Mandato Britannico in due stati, uno arabo e l’altro ebraico.
Se Israele non è lo stato del popolo ebraico, allora deve essere abrogata non solo la Legge del Ritorno, ma anche la Legge Fondamentale su “Libertà e Dignità Umana” secondo la quale i valori di Israele si fondano sul fatto di essere uno stato “ebraico e democratico”.
Se Israele non è lo stato del popolo ebraico, allora bisogna trovare un altro inno nazionale al posto della Hatikva.
Se Israele non è uno stato ebraico, non sarà né uno stato cattolico né uno stato buddista: diventerà uno stato arabo-islamico, anche se questo risultato verrà conseguito attraverso la formula dello stato bi-nazionale. Se Israele non è lo stato del popolo ebraico, allora non vi saranno mai due stati per due popoli. Se Israele diventerà uno stato arabo-islamico, molto probabilmente non sarà uno stato democratico.
Se Israele diventerà tutto questo, i suoi intellettuali e i suoi giornalisti anti-sionisti e post-sionisti saranno i primi a scappare. Quelli che resteranno indietro saranno gli ebrei originari dei paesi del Medio Oriente. Tempo fa fuggirono da un regime arabo per andare a vivere in uno stato ebraico, ma quello stesso regime che li aveva umiliati e oppressi ora li avrà agguantati di nuovo, questa volta senza via di scampo.
Uno scenario da incubo, destinato a non avverarsi. Ma è fondamentale capire sin d’ora perché è così importante la rivendicazione che Israele venga definito e accettato come uno stato ebraico e democratico. E invece ci viene detto e ripetuto che la presenza di una cospicua minoranza di arabi all’interno di Israele significa che Israele non può essere definito in questo modo, perché definire un paese senza tener conto della minoranza sin dalla sua definizione non sarebbe democratico.
Ma quando le Nazioni Unite decretarono la creazione di uno stato ebraico, gli arabi costituivano una minoranza doppia di quella attuale, eppure l’Assemblea Generale dell’Onu non vide alcuna contraddizione tra questa realtà di fatto e la definizione di Israele come stato ebraico e democratico.
Gli antisionisti dicono che le cose sono cambiate, che il mondo è entrato in una fase di post-nazionalismo. Ma anche in questa epoca la maggior parte dei paesi d’Europa, anche quelli con cospicue minoranze nazionali al loro interno, rimangono quello che sono: stati-nazione.
La verità naturalmente è che non c’è nessun buon motivo per non riconoscere Israele come lo stato democratico del popolo ebraico. La Corte Sprema israeliana ha ripetutamente indicato quali sono le principali caratteristiche ebraiche dello stato: che l’ebraico è la sua lingua ufficiale principale (anche se non l’unica), che i giorni di festa corrispondono a quelli della tradizione ebraica (sebbene anche quelli delle altre tradizioni vengano rispettati), che la popolazione dello stato è a maggioranza ebraica (sebbene anche le minoranze godano di diritti politici, civili e religiosi).
Ci viene detto che definire Israele come stato ebraico suscita il sospetto che possa trasformarsi in una teocrazia (…). Ma non era certo una teocrazia quella che aveva in mente l’Assemblea Generale dell’Onu quando votò che Israele sarebbe stato ebraico e democratico, né aveva in mente una teocrazia David Ben Gurion quando scrisse la Dichiarazione di Indipendenza, né l’aveva in mente l’ex presidente della Corte Suprema israeliana Aharon Barak quando definì “ebraica” l’essenza di questo stato.
Che vantaggio si avrebbe a cambiare il nome di Israele? Forse che gli arabi palestinesi accetterebbero uno stato degli ebrei con un altro nome?
Israele non ha bisogno di essere ebraico in senso strettamente religioso. È almeno dai tempi dell’emancipazione ebraica, due secoli fa, che gli ebrei costituiscono un popolo: un singolo popolo dotato di importanti elementi di identità religiosa e che, come tanti altri popoli, è fortemente legato al suo passato religioso, quel passato che fu il trampolino da cui è decollata la sua moderna identità nazionale.
Israele è lo stato del popolo ebraico in tutte le sue parti, così come deve essere lo stato di tutti i suoi cittadini, anche non ebrei, compresa la cospicua minoranza di musulmani i cui leader si piccano di negare di appartenere allo stato.
Lo stato non può identificarsi in una parte soltanto del popolo ebraico. Deve essere la casa comune di tutti i suoi cittadini – ebrei e non ebrei, ortodossi, tradizionalisti e laici – senza discriminare nessuna delle componenti che lo costituiscono.
È vero, ci sono ancora gravi carenze nel sistema di governo di Israele, tra le quali spicca la mancanza di matrimonio civile. La subordinazione dei cittadini ai tribunali delle rispettive religioni per quanto concerne lo status personale cozza con l’essenza di Israele in quanto stato democratico. Ma questo non è un buon motivo perché la leadership araba e palestinese si opponga alla definizione di Israele come stato ebraico quando, anzi, sono proprio loro quelli che vorrebbero creare una loro teocrazia faziosa e antidemocratica al posto di Israele.
Si oppongono all’esistenza di uno stato ebraico e democratico in qualunque pezzo di questa parte del mondo. E il loro sogno è il nostro incubo.

(Da: Jerusalem Post, 28.11.07)