Anno nuovo (ebraico), tempo di bilanci

In rapida rassegna, ecco alcune delle tante sfide con cui Israele dovrà fare i conti

Editoriale del Jerusalem Post

"Israele è una nazione di grandi potenzialità e promesse"

“Israele è una nazione di grandi potenzialità e promesse”

Siria e Iran

La Siria cattura l’attenzione di tutto il mondo, stato ebraico compreso. L’esito della guerra civile può avere cruciali conseguenze per Israele e tutta la regione. Riuscirà Bashar Assad a mantenere il controllo e, di conseguenza, a rafforzare la coalizione sciita-alawita contro i sunniti del Medio Oriente, oppure saranno le forze allineate con al-Qaeda e la Fratellanza Musulmana a prendere il sopravvento? Poi, naturalmente, c’è la minaccia incombente della corsa iraniana al nucleare. L’Iran rappresenta un pericolo per Israele più che per chiunque altro, e Israele può solo sperare che la comunità internazionale sia più determinata ed energica nell’affrontare l’Iran di quanto non lo sia con la Siria.

Legami con gli Stati Uniti

La crescente frattura tra Occidente (Europa e Stati Uniti ) e Oriente (Russia e Cina) sulla crisi siriana e su altre questioni comporta importanti implicazioni per la politica estera israeliana. Dove sta Israele, in uno scontro che evoca la guerra fredda? Il migliore, più forte e più importante alleato d’Israele sono chiaramente gli Stati Uniti. Ma lo stato ebraico è anche interessato a rafforzare le sue relazioni con la Russia e la Cina. Da un punto di vista diplomatico, l’approccio non interventista di questi due paesi sarebbe persino rincuorante rispetto alla tendenza americana ed europea a intromettersi e cercare di influenzare le politiche d’Israele, in particolare per quanto riguarda il processo di pace. Ma rapporti più calorosi con Russia e Cina possono causare tensioni tra Israele e Stati Uniti. E poi, quanto possono essere calorose le nostre relazioni con paesi che sostengono i regimi autocratici in Siria e Iran?

Il processo di pace

La maggioranza degli israeliani continua a pensare che la soluzione a due stati sia l’unica strada per garantire che Israele rimanga sia ebraico che democratico. Ma, mentre palestinesi e israeliani si incontrano questa settimana per il sesto round di colloqui da quando i negoziati sono ripresi alla fine del mese di luglio, la maggioranza risulta comunque scettica circa le concrete possibilità di successo. Particolarmente preoccupante è il pericolo di disordini, o addirittura di una terza intifada, se i colloqui dovessero fallire e il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen)dovesse additare Israele come il colpevole. Pur concentrando le energie nello sforzo di promuovere la pace con i palestinesi, il governo israeliano deve anche tenere gli occhi ben aperti sull’Egitto (e in particolare sulla travagliata penisola del Sinai) e sulla Giordania, gli unici due paesi della regione con cui Israele ha dei trattati di pace, e deve cercare di rafforzare le relazioni, soprattutto commerciali, con gli altri stati del Medio Oriente.

Pluralismo religioso

Il mantenimento del monopolio ortodosso sulla ripartizione dei fondi statali per i servizi religiosi e in materia di status personale (matrimonio, divorzio, conversione) continuerà ad essere fonte di tensioni tra Israele e Diaspora. Le riforme proposte dal presidente di Bayit Yehudi, Naftali Bennett, titolare anche del portafoglio dei servizi religiosi, non metteranno effettivamente in questione il monopolio ortodosso. Viceversa, a livello di base, la società israeliana ha prodotto diverse forme di espressione spirituale, sia ortodosse che non ortodosse. Tutto lascia intendere che questo processo sia destinato a continuare, e non c’è motivo perché tutte le correnti dell’ebraismo non debbano rispettarsi a vicenda.

Economia

Il divario tra ricchi e poveri, la carenza di concorrenza, lo spadroneggiare di potenti centrali sindacati, la corruzione e il costo troppo alto di abitazioni, beni e servizi combinato con salari troppo bassi, sono tutti temi scottanti che devono essere affrontati. Allo stesso tempo, ci si aspetta che l’economia riceva una notevole spinta dalla nascente industria del gas naturale israeliano e dal ben sviluppato settore hi-tech. La fervida speranza è che il prossimo Governatore della Banca d’Israele, il cui nome dovrebbe essere annunciato a breve, sappia iniettare nuova energia nell’economia e guidare il paese in un nuovo anno di stabilità economica.

Rosh Hashanà, il capodanno ebraico, è occasione di bilanci sia a livello personale che nazionale. Si guarda indietro per imparare dagli errori e si fanno propositi per l’anno a venire. Lo stato d’Israele deve fare i conti con sconfortanti minacce sia dall’esterno che dall’interno. Il paese ha indubbiamente commesso degli errori, nell’anno trascorso. Ma Israele è una nazione di grandi potenzialità e promesse. Il nostro curriculum è solido e i nostri successi superano i nostri insuccessi. Quello che ci auguriamo è che continui così, e che Israele sappia affrontare le sue numerose sfide con determinazione, con coraggio e con fierezza, come ha fatto in passato.

(Da: Jerusalem Post, 3.9.13)