Anziché scoraggiare i ministri arabi in Israele, il terrorismo a Hadera ha rafforzato la loro determinazione

Il ministro degli esteri degli Emirati Arabi Uniti: vogliamo recuperare il "tempo perso" nei 43 anni da quando l'Egitto infranse il tabù della pacificazione con Israele

Di David Horovitz

David Horovitz, autore di questo articolo

L’attacco terroristico di domenica sera a Hadera, in coincidenza con il summit di ministri degli esteri arabi e israeliano nel Negev, ha gettato un’ombra cupa su quella che doveva essere la festosa apertura di un incontro senza precedenti. Ma indipendentemente dal fatto che il mortale attentato – rivendicato dallo Stato Islamico (Isis) e celebrato dalla Jihad Islamica Palestinese come una ” eroica risposta al vertice dell’umiliazione e della vergogna nel Negev occupato” – fosse o meno progettato allo scopo di far deragliare il vertice e di scoraggiare i suoi partecipanti arabi, la cosa più evidente è che ha avuto esattamente l’effetto opposto.

Uno dopo l’altro, nelle loro dichiarazioni pubbliche alla conclusione formale dei colloqui di lunedì pomeriggio, il ministro degli esteri israeliano Yair Lapid e i suoi quattro colleghi arabi hanno fermamente condannato quest’ultimo, ennesimo caso del sanguinoso terrorismo con cui tutti i loro paesi sono alle prese, per poi rapidamente andare avanti e sottolineare la loro comune determinazione a costruire un fronte unito contro il devastante estremismo che imperversa nella regione. Anziché subire l’attentato di Hadera come una battuta d’arresto di questo sforzo comune, al contrario hanno descritto l’incontro multilaterale, il primo del genere all’interno di Israele, come la “risposta più appropriata all’attacco terroristico compiuto a Hadera” (così il ministro marocchino Nasser Bourita) e come l’inizio di un nuovo impegno volto di concerto a costruire una narrazione  e una relazione arabo-israeliana completamente diverse.

28 marzo 2022, Sde Boker, Israele. Da sinistra: il ministro degli esteri del Bahrain Abdullatif bin Rashid al-Zayani, il ministro degli esteri egiziano Sameh Shoukry, il ministro degli esteri israeliano Yair Lapid, il segretario di stato americano Antony Blinken, il ministro degli esteri del Marocco Nasser Bourita, il ministro degli esteri degli Emirati Arabi Uniti Abdullah bin Zayed Al Nahyan

Tre dei quattro ministri arabi – Abdullatif bin Rashid Al-Zayani del Bahrain, Sameh Shoukry dell’Egitto e Nasser Bourita del Marocco – hanno usato alcuni momenti dei loro brevi discorsi per sottolineare la necessità di risolvere il conflitto israelo-palestinese. Anche il ministro israeliano Yair Lapid ha menzionato i palestinesi quando ha esortato “tutti i popoli della regione, compresi i palestinesi, a rimpiazzare la via del terrorismo e della distruzione con quella verso un futuro condiviso di progresso e successo”. Il segretario di stato americano Antony Blinken è andato oltre, ribadendo che gli Accordi di Abramo, che hanno permesso lo straordinario vertice di questi ministri, non devono essere un sostituto dei progressi da fare sul fronte palestinese. Ma al di là delle varie sottolineature, il summit in se stesso, così fermo e determinato a fronte della minaccia terroristica, ha rappresentato una manifestazione fiduciosa e risoluta di normalizzazione con Israele – accettazione e legittimazione di Israele – tenuta proprio nel luogo dove riposa il fondatore e primo premier d’Israele, David Ben-Gurion.

Si è trattato dunque di un atto di aperta sfida dei partecipanti arabi contro il perdurante rifiuto di relazioni dirette, schiette e costruttive con Israele: non solo da parte di gruppi terroristici palestinesi, ma anche dall’Autorità Palestinese. Invece di dividerli, è stato proprio il terrorismo – in particolare il terrorismo di stato, come quello promosso dagli ayatollah iraniani – a riunire questi leader nel kibbutz di Sde Boker nel Negev. E Blinken, che sembrava recitare un copione piuttosto stonato, con i suoi abituali commenti sul conflitto palestinese, è anche sembrato il partecipante un po’ sfasato quando si è trattato di affrontare l’Iran. Domenica a Gerusalemme, Blinken ha ribadito la posizione dell’amministrazione secondo cui l’Iran “non acquisirà mai un’arma nucleare”. Ma finora il suo presidente Joe Biden ha evitato di proferire anche solo la generica disponibilità dichiarata a suo tempo da Barack Obama di ricorrere, se necessario, a un’opzione militare pur di fermare i funesti piani del regime di Teheran.

Yezen Falah, arabo druso, e Shirel Abukarat, ebrea di origine francese, entrambi 19enni: i due agenti della polizia di frontiera uccisi nell’attentato Isis a Hadera, in un selfie che si erano fatti poche ore prima di essere uccisi la sera di domenica 27 marzo 2022

Il Vertice del Negev, e il nuovo dichiarato allineamento di questi quattro paesi arabi con Israele, è principalmente pensato per favorire una migliore cooperazione – una cooperazione pratica, per salvare vite umane – capace di fronteggiare la minaccia iraniana. Una cooperazione in parte catalizzata dalla preoccupazione che gli Stati Uniti, avvicinandosi il vecchio/nuovo accordo sul nucleare con Teheran, potrebbero rivelarsi non abbastanza determinati a fronteggiare l’Iran quanto necessario. Proprio in riferimento al focus sull’Iran, Lapid nel suo discorso ha affermato che il vertice stava costruendo “una nuova architettura regionale basata su progresso, tecnologia, tolleranza religiosa, sicurezza e cooperazione di intelligence. Questa nuova architettura e le capacità condivise che stiamo costruendo – ha continuato il ministro israeliano –intimoriscono e scoraggiano i nostri comuni nemici, in primo luogo il regime iraniano e i suoi gregari”. A tal fine, ha annunciato Lapid, la partnership stabilita nel Negev diventerà “un forum permanente”.

L’espressione forse più sorprendente della nuova apertura e del piacere per l’inedita esperienza di trovarsi in Israele e di riconoscere Israele come partner contro le forze estremiste della regione, è arrivata nel breve discorso del ministro degli esteri degli Emirati Arabi Uniti, Abdullah bin Zayed al Nahyan, che è sembrato parlare a braccio anziché su appunti preparati. Non ha parlato dell’Iran, né dei palestinesi. Ha invece espresso con schiettezza  il piacere di poter collaborare con Israele e del semplice fatto di vistare Israele, sottolineando che per lui e i suoi colleghi dal Marocco e dal Bahrein “questa è la prima volta”. “Siamo curiosi – ha detto sorridendo – Vogliamo apprendere, recuperare, costruire una relazione più forte. Questo è il modo in cui possiamo contrastare la narrativa dell’odio, dell’istigazione, del terrore”. “Prevarremo – ha concluso – Senza dubbio ci costerà, ma è importante”.

E mentre Lapid diceva che questo vertice “sta facendo la storia”, Al Nahyan ha parlato di ri-orientare la storia. Infatti, verso la fine delle sue osservazioni, ha ringraziato Shoukry e l’Egitto “per aver mostrato leadership 43 anni fa” nel legittimare Israele, nel fare la pace con Israele: un Israele, ha sottolineato con un ampio riferimento storico, che “fa parte di questa regione da molto tempo”. “Abbiamo perso quei 43 anni” da quando l’Egitto fece il coraggioso passo di fare la pace con Israele, ha affermato senza mezzi termini il ministro degli esteri degli Emirati Arabi Uniti. Ora, ha aggiunto rivolgendosi al collega egiziano, “stiamo solo cercando di seguire le vostre orme”.

(Da: Times of Israel, 28.3.22)

Il discorso (in inglese) del ministro degli esteri degli Emirati Arabi Uniti, Abdullah bin Zayed al Nahyan alla conferenza stampa conclusiva del Vertice del Negev: