Uno storico summit israelo-arabo presso il kibbutz di Ben-Gurion

Il Vertice del Negev mostra la nuova legittimazione di Israele e l’imperativo comune di affrontare la minaccia iraniana

Il logo dello storico Summit del Negev

Tra domenica sera e lunedì ha luogo, nel sud di Israele, uno storico vertice regionale con la partecipazione dei rappresentanti di Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Marocco, cui si aggiungerà l’Egitto. Al centro degli incontri, le minacce poste dal problema nucleare iraniano e le sue ramificazioni sulla sicurezza mediorientale.

La velocità con cui è stato organizzato il “Vertice del Negev”, il luogo scelto per l’incontro e l’elenco dei partecipanti sottolineano il notevole significato di questo summit senza precedenti fra ministri arabi in Israele. Ospitato dal ministro degli esteri Yair Lapid in un hotel presso Sde Boker, il kibbutz del Negev dove abitava e dove è sepolto il primo ministro fondatore di Israele David Ben-Gurion, l’incontro in un luogo di tale risonanza storica costituisce di per sé un’ulteriore eccezionale conferma della legittimità e dell’importanza regionale attribuita a Israele dai partner degli Accordi di Abramo: Marocco, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti. Con la loro semplice presenza, i ministri degli esteri di questi paesi portano a un livello più alto le relazioni con il paese per la cui fondazione la figura di Ben-Gurion fu così determinante.

I nuovi alleati regionali di Israele si uniscono al segretario di stato americano Antony Blinken e al ministro degli esteri del primo paese arabo che fece la pace con Israele, l’Egitto, per una serie di incontri, consultazioni e pranzi formali e meno formali. Questi colloqui arrivano appena una settimana dopo che il presidente egiziano Abdel-Fattah el-Sissi ha ospitato a Sharm el-Sheikh il primo ministro israeliano Naftali Bennett e il principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti Mohammed bin Zayed al-Nahyan, per un vertice decisamente caloroso e ben pubblicizzato.

In senso orario, dal centro in alto: il segretario di stato Usa Blinken , il ministro degli esteri israeliano Lapid, i ministri degli estri di Emirati Arabi Uniti, Marocco, Bahrain ed Egitto

“La vecchia pace con l’Egitto incontra la nuova pace degli Accordi di Abramo”, ha sintetizzato Bennett domenica mattina aprendo la riunione settimanale del governo. Durante l’incontro a Sharm el-Sheikh, i tre leader hanno discusso della stabilità dei mercati energetici, della sicurezza alimentare e degli sviluppi tecnologici. L’Egitto deve fronteggiare nuove pressioni economiche dovute alla guerra in Ucraina, e Bennett spera di cogliere l’opportunità per proporre agli egiziani un accordo che vedrebbe il gas israeliano convogliato nelle raffinerie in Egitto ed essere poi spedito in Europa.

Sono stati fatti sforzi per aggregare alla lista del “Vertice del Negev” anche il ministro degli esteri giordano. Difficile. In effetti, il summit a Sde Boker coincide con una visita programmata a Ramallah dal re di Giordania Abdullah con l’obiettivo di prevenire tensioni israelo-palestinesi nel periodo dell’imminente mese di Ramadan. Blinken sarebbe stato senza dubbio felice di vedere a Sde Boker non solo la Giordania, ma anche il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen. Tuttavia la posizione di Abu Mazen agli occhi dei palestinesi, già mal messa, difficilmente sarebbe stata rafforzata dalla sua partecipazione a un evento diplomatico che, fra l’altro, rende omaggio al premier fondatore di Israele. E in ogni caso, il leader palestinese è in gran parte irrilevante per l’agenda su cui si riuniscono i quattro ministri arabi con i loro colleghi israeliano e americano. Infatti, la rafforzata legittimazione di Israele nella regione appare centrale non solo per il luogo in cui si svolge il vertice, ma per il suo obiettivo principale: lo sforzo di mobilitare un’alleanza efficace contro la minaccia comune, l’Iran.

David Ben-Gurion net suo kibbutz di Sde Boker, nel Negev

Come per gli Accordi di Abramo, l’Arabia Saudita, uno dei pesi massimi della regione, è assente dai lavori di domenica sera e lunedì, ma è presente in spirito e rappresenta un fattore potente dietro le quinte. Gerusalemme e Riad, sebbene non formalmente alleate, stanno operando per rafforzare l’unità regionale contro Teheran: non sul piano retorico ma in pratica, attraverso la condivisione dell’intelligence, lo sviluppo di sistemi di allerta e difesa missilistici regionali e altro ancora. Sabato scorso Bennett sabato ha pronunciato una inconsueta condanna dell’ennesimo attacco Houthi contro obiettivi in Arabia Saudita. “Lo stato d’Israele – ha detto Bennett – esprime al Regno saudita il proprio dolore dopo l’orribile attacco degli Houthi sostenuti dall’Iran: l’attacco è una prova ulteriore che l’aggressione iraniana nella regione non conosce limiti, e rafforza la preoccupazione che il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane venga rimosso dall’elenco (americano) delle organizzazioni terroristiche”.

In effetti, fra strette di mano e sorrisi, il segretario degli Stati Uniti potrebbe ritrovarsi un po’ come l’ospite in imbarazzo nel Vertice del Negev. Blinken aggiornerà i colleghi sui passi avanti verso un rinnovato accordo nucleare con l’Iran, il cui scopo dovrebbe essere quello di frenare il programma degli ayatollah per armi nucleari in cambio della revoca delle sanzioni e forse addirittura del ritiro del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane dalla lista delle entità terroristiche. Sabato il ministro degli esteri iraniano Hossein Amirabdollahian ha dichiarato alla TV di stato che la revoca del bando statunitense alle Guardie Rivoluzionarie è tra le principali condizioni poste dall’Iran nei colloqui per rilanciare l’accordo sul nucleare del 2015, e che l’Iran non intende rinunciare alle sue “linee rosse”.

Il ministro degli esteri israeliano Yair Lapid (a destra) riceve domenica a Sde Boker il collega degli Emirati Arabi Uniti Abdullah bin Zayed bin Sultan Al Nahyan

Gli Stati Uniti sembrano disposti a rimuovere le famigerate Guardie Rivoluzionarie dalla loro lista in cambio di un generico impegno da parte degli iraniani a “contenere” le attività dell’organizzazione. Israele e i suoi nuovi alleati regionali trovano molto difficile accettare una mossa del genere. Sia Bennett che Lapid si sono espressi in senso nettamente contrario. Ma non si tratta solo delle Guardie Rivoluzionarie. Israele e gli altri partecipanti al Vertice del Negev, così come i sauditi che lo seguono da casa, condividono la profonda preoccupazione per il fatto che l’Iran venga rafforzato, incoraggiato arricchito dall’accordo sul nucleare che sta prendendo forma, e dalla consapevolezza che gli Stati Uniti hanno fin troppe altre sfide globali da affrontare.

Ovviamente nessuno dimentica che sono stati proprio gli Stati Uniti, e in particolare l’amministrazione Trump, a raccogliere Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Marocco e Israele sotto l’egida degli Accordi di Abramo, un processo che ha contribuito a conferire a Israele un riconoscimento maggiore di quello che aveva mai avuto in Medio Oriente. Il Vertice del Negev, nota David Horovitz su Times of Israel, indica che ora questi nuovi partner stanno collaborando giacché non potrebbero fare diversamente, anche perché sanno che gli Stati Uniti hanno oggi ben altre preoccupazioni e priorità e si teme che sottovalutino il pericolo posto dall’Iran.

(Da: Times of Israel, YnetNews, Jerusalem Post, 27.3.22)

I rappresentanti delle Forze Nazionali e Islamiche, un’alleanza di diversi gruppi estremisti palestinesi nella striscia di Gaza, condannano il Vertice del Negev come una “pugnalata alle spalle del popolo palestinese e della sua causa”, sottolineando che il “vertice della vergogna” viene ospitato dal “ministro degli esteri del governo di occupazione di estrema destra” (in realtà l’attuale governo israeliano comprende partiti di destra, di centro e di sinistra, oltre a un partito arabo islamico). I gruppi palestinesi sostengono inoltre che Israele e gli Stati Uniti stanno “ingannando” i paesi arabi facendogli credere che l’obiettivo del vertice sia tutelare la loro sicurezza da una minaccia che non esiste. “La vera minaccia per la nazione araba è solo la minaccia israeliana – affermano le Forze Nazionali e Islamiche di Gaza – Qualsiasi altra minaccia è confezionata da Stati Uniti e Israele e mira solo a giustificare la creazione di un’alleanza arabo-israeliana come estensione della NATO, che ha fallito al suo primo test in Ucraina”.

Daoud Shehab, alto esponente della Jihad Islamica Palestinese, ha affermato che il Vertice del Negev “riflette la perdita dell’identità araba in tutti coloro che hanno accettato di far parte del progetto di normalizzazione con il nemico”. Shehab ha aggiunto: “È diritto di tutti gli arabi chiedere: ma i ministri degli esteri arabi sono così ignoranti della realtà e della natura del conflitto nel Negev occupato [sic] e minacciato di giudaizzazione?”.

Anche Hamas ha condannato i ministri arabi per aver accettato l’invito a incontrare “funzionari sionisti nella terra occupata [sic] di Palestina”. In una nota, Hamas afferma che il Vertice del Negev si tiene “in un momento in cui la terra palestinese è soggetta alle peggiori forme di insediamento e giudaizzazione”. Hamas ribadisce il suo rifiuto di ogni forma di normalizzazione con Israele e afferma che tali incontri “servono solo al nemico per perpetuare la sua continua aggressione contro la nostra terra, il nostro popolo e i nostri luoghi santi”.

Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, che fa parte dell’Olp capeggiata da Abu Mazen, afferma che il vertice riflette “il declino in corso dei regimi arabi” aggiungendo che tali incontri vanno visti nel contesto dei tentativi di liquidare la questione palestinese e negare ai palestinesi i loro diritti. Anche il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina mette in guardia contro la formazione di una “alleanza NATO-arabo-israeliana che porterebbe i paesi arabi allo scontro con paesi e forze che si oppongono agli schemi ostili verso i popoli della regione e i loro interessi”, con riferimento all’Iran e ai suoi gregari come Hamas, Jihad Islamica Palestinese, l’Hezbollah libanese e la milizia Houthi nello Yemen.

Anche l’Autorità Palestinese ha denunciato il Vertice del Negev, astenendosi tuttavia dal criticare direttamente i quattro paesi arabi partecipanti (Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Marocco ed Egitto). Israele, afferma in una nota il Ministero degli esteri dell’Autorità Palestinese, “fa finta di concentrarsi nella sua politica estera sul dossier nucleare iraniano, mentre il suo vero obiettivo è liquidare la causa palestinese nel tentativo di sottrarla all’attenzione del mondo”. Secondo il Ministero palestinese, Israele, con il pieno appoggio degli Stati Uniti, “approfitta dell’ansia e della paura araba per formare una nuova alleanza di sicurezza che aggiri la causa palestinese” e “nascondere ciò che sta facendo sul terreno”.

(Da: Jerusalem Post, 27.3.22)

Herb Keinon

Scrive Herb Keinon sul Jerusalem Post: Quando il mese scorso Amnesty International ha dichiarato Israele uno stato di apartheid, il suo intento era chiaro: trasformare lo stato ebraico in un paria, un paese ostracizzato dalla comunità internazionale. Appare quindi piuttosto ironico che solo un paio di settimane dopo, Israele, rappresentato dal primo ministro Naftali Bennett, si presentasse come uno dei principali attori sulla scena internazionale per la mediazione tra Ucraina e Russia in una delle più gravi crisi globali dai tempi seconda guerra mondiale. Alla faccia del paria.

E ora questo summit: quattro ministri degli esteri arabi riuniti in Israele domenica sera e lunedì, insieme al segretario di stato americano Antony Blinken e al ministro degli esteri israeliano Yair Lapid, per un vertice senza precedenti. Che il vertice si svolga in Israele e non, tanto per dire, a Sharm e-Sheikh, la tradizionale sede di questo tipo di incontri, è già notevole. Ma che si svolga a Sde Boker, la residenza altamente simbolica di David Ben-Gurion, il padre fondatore di Israele, uno che potrebbe a ragione essere definito il Signor Sionismo, è un messaggio sbalorditivo e potente. Proprio mentre Amnesty e organizzazioni del suo genere stanno strenuamente cercando di rendere illegittimo il sionismo e trasformarlo in una parolaccia, gran parte del mondo arabo ci fa i conti seriamente. Non per un improvvisa infatuazione, ma perché riconoscono che in una regione piena di odio e di soggetti scellerati animati da ideologie medievali, Israele è un attore sostanzialmente positivo. Rispetto all’Iran, poi, è decisamente amichevole. Ed è con questo attore ben disposto, e forte, che questi paesi arabi si rendono conto che è nel loro interesse cooperare.

… L’Autorità Palestinese, come sempre, è troppo debole e accecata dalla sua stessa narrativa vittimista per rendersi conto che questa alleanza presenterebbe anche per lei enormi opportunità. Quindi il presidente Abu Mazen resterà a cuocere nella sua acrimonia, nella sua rabbia e frustrazione, accontentandosi di una visita di Blinken e del re di Giordania Abdullah, che stanno solo cercando di garantire che non riesploda la violenza in Cisgiordania come accade quasi sempre di Ramadan. Nel frattempo, la proverbiale carovana va avanti.
(Da: Jerusalem Postr, 27.3.22)