Benjamin Richler

Recensione del libro "Quest'anno a Gerusalemme"

Richler & Richler

Richler, Benjamin, Guide to Hebrew Manuscripts Collections, The Israel Academy of Sciences and Humanities, Israel 1994.

Hebrew Manuscripts in the Biblioteca Palatina in Parma, Catalogue Edited by Benjamin Richler, Palaeographical and Codicological Descriptions by Malachi Beit-Arié, Jerusalem 2001.

Richler, Mordecai, Quest’anno a Gerusalemme, trad. di M. Birattari, Adelphi, Milano 2002.

La maggior parte di coloro che si occupano di studi ebraici si trova a passare un periodo nella Biblioteca Nazionale di Gerusalemme, a Giv’at Ram. È un edificio che tutti amano, per quello che rappresenta e per tutti i progetti che ha: una Biblioteca che raccoglie, oltre ai libri pubblicati in Israele, anche manoscritti, edizioni rare, il fondo di Gershom Scholem, una biblioteca islamica, un centro di studi di musica ebraica e altri ancora. Tra questi, spicca quella che è la raccolta microfilmata di quasi tutti i manoscritti ebraici esistenti al mondo, un vero e proprio tesoro per migliaia di studiosi che, invece di essere costretti a viaggiare tra Oxford e New York, tra Parigi e Pietroburgo, possono comodamente sedere nella sala di lettura dei microfilm, freddissima anche in piena estate, e da lì consultare ciò che desiderano. I bibliotecari sono qui di una competenza straordinaria, e più passa il tempo e più si giunge ad apprezzare il direttore dell’Istituto, Benjamin Richler. Uomo timidissimo, di poche parole, schivo all’inverosimile, per tutti coloro che si occupano di codicologia ebraica è un grande maestro, che farà di tutto per risolvere un problema e sfuggirà ai ringraziamenti e a maggior ragione ai giustificati elogi.

Il suo volume, Guide to Hebrew Manuscripts Collections (The Israel Academy of Sciences and Humanities, Israele 1994) è ormai uno strumento classico di consultazione. Accanto a questo, è stata recentemente pubblicata un’opera che è uno strumento preziosissimo per tutti gli studiosi: la ricatalogazione di tutto il fondo di De’ Rossi della Biblioteca Palatina di Parma: Hebrew Manuscripts in the Biblioteca Palatina in Parma, Catalogue Edited by Benjamin Richler, Palaeographical and Codicological Descriptions by Malachi Beit-Arié (Gerusalemme 2001). La collezione di Giovanni Bernardo De’ Rossi (1742-1831), professore di Studi Orientali all’Università di Parma, conteneva quasi 1400 manoscritti ebraici. Nel 1816 fu acquistata da Maria Luisa d’Austria per la Biblioteca Palatina, dove da allora è conservata e si è arricchita di altri manoscritti, fino ad arrivare alle attuali dimensioni di circa 1600 opere.

L’estate scorsa mi trovavo alla mensa del campus, e l’ho visto avanzare con il vassoio del self-service in mano verso un tavolo vuoto. Era da solo e io, con un po’ di khutspe, gli ho chiesto se potevo sedermi al suo tavolo. Lui ha acconsentito. Subito, presa dall’imbarazzo, ho cercato un argomento di conversazione, e mi è venuto in mente che, facendo due conti, dato che mi sembrava di avere sentito dire che fosse canadese, avrebbe anche potuto essere un parente, magari alla lontana, di Mordecai Richler, lo scrittore. Così, molto delicatamente, cercando di non sembrare invadente, gli ho chiesto: «Scusi, ho pensato, forse lei è parente di Mordecai Richler, lo scrittore canadese?» Un sorriso entusiasta è apparso sul volto di Richler. Ero stupitissima: non lo avevo mai visto così. Mi disse: «Certo! È mio cugino!» Era davvero emozionato. «Eravamo in contatto. Era stato anche in Israele. E anzi, era venuto a trovarmi e in un suo libro racconta del nostro incontro.» Senza perdere la sua consueta delicatezza, con una voce sottilissima, ha proseguito raccontandomi di suo nonno, rabbino e scrittore yiddish, e di altri particolari della sua famiglia. Non ricordo tutto quello che mi ha detto, bensì solo il mio proposito di cercare il libro al quale aveva accennato e di leggerlo il prima possibile.

Il libro di Modercai Richler si intitola This Year in Jerusalem, è del 1994 ed è appena apparso in traduzione italiana. La figura dell’«inflessibile e collerico» nonno Shmaryahu Rosenberg, il Golem di Praga di uno dei suoi racconti tradotto dallo yiddish, e soprattutto il nostro Benjamin Richler sono alcuni dei personaggi di questo interessantissimo rendiconto di viaggio, a metà strada tra giornalismo e autobiografia, ma forse più vicino alla seconda che al primo. Nella prima parte sembra al lettore di ritrovarsi nelle atmosfere create da Woody Allen in Radio Days, con i bambini che girano con le scatolette del Keren Kayemet per raccogliere i fondi per acquistare terre in Palestina, l’idealismo giovanile alternato all’euforia degli anni ’40, all’emozione per la musica, alle prime avventure amorose, alle prime sbronze con gli amici. In entrambi, in Woody Allen come in Richler, seppure con metodi differenti, l’ironia costantemente domina e riesce a dare un tocco di leggerezza. Alla “pesantezza” della parola Gerusalemme, con tutte le sue implicazioni religiose e politiche, il caratteristico humour ebraico fa da contrappeso, trasformando il libro di Richler in un testo che si legge con vero piacere.

Quest’anno a Gerusalemme è un libro all’apparenza frammentario, apparentemente autobiografico, ma che non segue alcun ordine cronologico. L’ordine è, per così dire, di carattere associativo, ma non sempre. L’impressione che se ne può trarre è che questo sia l’unico modo di descrivere una situazione, quella di Israele nei suoi rapporti con l’ebraismo della Diaspora, quella di Israele nei suoi problemi quotidiani – convivenza con gli arabi, contrasti interni tra religiosi e laici, tra ashkenaziti e sefarditi, tra giovani sabra e “vecchi” ebrei del ghetto – che non può essere raccontata in altro modo. Qualsiasi generalizzazione, qualsiasi semplificazione, lo vediamo spesso, porta alla falsificazione e ad allontanarsi da una realtà che non si lascia ritrarre in bianco e nero. Certamente vedere tutto in bianco e in nero, i cattivi da una parte e i buoni dall’altra, può essere molto romantico, ma non poteva essere questo l’intento di un vecchio ebreo canadese che non sa rinunciare alla propria ironia dissacratoria. Richler, in modo pienamente consapevole, si concede una lunga galleria di ritratti, di persone reali raccontate dal “loro” punto di vista, ascoltate prima che giudicate, mettendo a nudo dubbi e contraddizioni, sensi di colpa e insofferenze e manipolazioni, errori e ingenuità, dolori e inganni, propri e altrui.

Tra i libri che sono stati recentemente pubblicati sul Medio Oriente, questo è uno dei più onesti, e, soprattutto, quello che regalerei a chi non avesse alcuna smania di verificare quello che già pensa sulla situazione di Israele, a chi non volesse necessariamente farsi “un’opinione” e preferisse invece lasciarsi portare dal presente al passato e ancora al presente, dal Canada a Israele ai campi profughi e ancora a Hebron e a Haifa e di nuovo a Montreal, cambiando di continuo il proprio punto di osservazione, per scoprire poi che è tutto molto più complicato di come sembra, e che se c’è qualcosa che può mettere una sorta di ordine in questa anarchia è solo l’ironia. La quale ci aiuterà a sopportare questa vitale complessità senza risolverla. È per questo che si potrebbe concludere citando dal libro di David Grossman, Vedi alla voce: amore: «Lo humour non è solo un modo di concepire le cose o una caratteristica, ma è l’unica vera religione […]. Lo humour, diceva Zalmanson, è l’unico modo adatto per capire Iddio e la Sua Creazione con tutte le loro stranezze e le loro contraddizioni, e di continuare a adorarli con gioia».