Boicottano il loro re

Abdullah di Giordania promette normalizzazione, ma i suoi giornalisti sono ostaggio di chi vuole il boicottaggio contro Israele

Da un articolo di Zvi Bar?el

image_1676“Da quando è stato demolito lo sforzo di pace giordano, impresa cui hanno preso parte la presidente della Knesset, il giornale Ha’aretz e la tv Al-Jazeera, è stato chiaro che il governo Olmert avrebbe fatto di tutto per minare gli sforzi di pace palestinesi uccidendo palestinesi senza alcun motivo”. Lo ha scritto giovedì scorso l’opinionista giordano Tarek Masarweh sul quotidiano governativo Al-Ra’i. Masarweh faceva riferimento a dichiarazioni attribuite da Ha’aretz a re Abdullah di Giordania durante il suo incontro a metà aprile con una “delegazione di pace” israeliana guidata dalla presidente della Knesset Dalia Itzik. In quell’occasione il re avrebbe descritto Hamas, Iran e Hezbollah come nemici comuni e avrebbe definito “non realistico” il ritorno dei profughi palestinesi del ‘48.
Per aver pubblicato queste dichiarazioni, Ha’aretz e i mass-media israeliani in generale sono diventati in Giordania de nemici della pace. I commentatori giordani hanno anche accusato Al-Jazeera d’aver citato il servizio di Ha’aretz senza chiedere prima ai giordani la loro risposta.
E la colpa di Ha’aretz? “La cosa assurda – ci spiega un affermato giornalista giordano – è che non possiamo accusare Ha’aretz di non aver chiesto una reazione giordana, o di non aver controllato le sue informazioni presso fonti di stampa giordane. E non possiamo neanche accusare i mass-media giordani d’aver denunciato Ha’aretz senza aver prima controllato la vicenda con i giornalisti della testata israeliana, come si è soliti fare. Non si può, perché ci troviamo in una situazione di boicottaggio totale da parte dell’Associazione della stampa giordana. Noi giornalisti giordani abbiamo il formale divieto di parlare con voi israeliani. E ufficialmente nessuno vi darà una risposta a nome della stampa giordana”.
Se l’Associazione della stampa giordana venisse a sapere il nome del collega che ci ha parlato, questi verrebbe espulso, non potrebbe più scrivere sui mass-media giordani e perderebbe parecchi diritti sociali.
Prima di venire in Giordania, ho chiesto a un mio amico giordano di parlare con suo fratello, che è giornalista, su una questione in cui si è specializzato. “Gli darò il tuo numero di telefono – mi ha promesso – Ma sai come è delicata la situazione”. Il fratello non mi ha mai chiamato.
Il fatto che lo stesso re Abdullah conceda interviste ai mass-media israeliani non conta. Il re è una cosa, l’Associazione della stampa giordana un’altra. È così sia in Giordania che in Egitto. Il re fa dei passi diplomatici, mentre la categoria dei giornalisti tiene alta la purezza del boicottaggio. Il re promette la normalizzazione con Israele e l’Associazione della stampa decide se debba essere davvero realizzata, o per lo meno in quale misura.
I buoni rapporti ufficiali fra Israele e Giordania sono fuori discussione, così come la cooperazione sul piano militare e commerciale, e la sincerità delle intenzioni del re nel promuovere l’iniziativa araba. Gli interrogativi sorgono per quanto riguarda l’enorme divario che c’è fra la volontà di promuovere quell’iniziativa e l’atteggiamento dei canali giordani che dovrebbero farlo. Dopo tutto non stiamo parlando di un sistema indipendente, senza alcuna censura, che agisca unicamente in base al proprio insindacabile giudizio. Stiamo parlando di un sistema controllato, che riceve direttive dai capi del governo. Basta leggere il testo di una legge per la libertà d’informazione approvato la scorsa settimana dal parlamento giordano, per capire sin dove arriva il controllo del governo sull’informazione. La legge autorizza il governo a bloccare l’informazione praticamente in ogni campo, anche di natura puramente commerciale o religiosa, e lo autorizza a rifiutarsi di rispondere a domande o fornire dati. Il governo deve rispondere alle richieste di informazioni entro tre mesi, ma se non lo fa entro quel periodo la richiesta viene considerata automaticamente respinta.
Durante la stessa settimana, re Abdullah annunciava il lancio di un piano in cinque anni volto ad ampliare la tecnologia informatica nelle scuole.
La misura della libertà di informazione in Giordania non è affare che riguardi i mass-media israeliani. Per la decisione della stampa giordana di essere più realista del re – cioè dei palestinesi – e di non intrattenere nessun contatto con le fonti di informazione israeliane ci si può soltanto rammaricare. Ma quando il re giordano cerca di convincere l’opinione pubblica israeliana della bontà delle misure diplomatiche che egli stesso ha contribuito a forgiare alla riunione della Lega Araba, è logico che gli israeliani suppongano che la promessa normalizzazione non rimanga nelle mani di una arcigna Associazione della stampa. È logico aspettarsi, come minimo, che se l’opinionista Tarek Masarweh vuole avere una risposta da Ha’aretz circa le dichiarazioni che questo giornale ha attribuito al re, egli possa farlo con una telefonata, senza rischiare di violare ferree regole approvate dallo stato giordano.

(Da: Ha’aretz, 29.04.07)

Nella foto in alto: da sinistra, la regina Rania, re Abdullah di Giordania, la presidente della Knesset e presidente ad interim dello stato d’Israele Dalia Itzik