E se il problema fosse che nessuno vuole vincere la guerra in Siria?

Molti semplicemente adorano abusare dei deboli e depredare i più vulnerabili. E alcuni ormai uccidono per il puro gusto di farlo

Di Seth J. Frantzman

Seth J. Frantzman, autore di questo articolo

Seth J. Frantzman, autore di questo articolo

La scorsa settimana un nuovo attore è entrato pienamente in scena, nella guerra siriana, quando l’esercito turco ha fatto irruzione a Jarabulus, insieme a migliaia di combattenti siriani con i quali è alleato. Per placare i turchi, il vicepresidente Usa Joe Biden si è messo a disposizione per dire alla formazione curda YPG di ritirarsi al est dell’Eufrate. L’intervento turco, teoricamente rivolto contro lo “Stato Islamico” (ISIS), aveva anche l’obiettivo di bloccare ogni tentativo da parte delle forze curde di collegare il cantone di Afrin con le altre loro aree nel nord-est della Siria.

Molto è stato scritto sulle varie parti impegnate nella guerra civile siriana e anche su quello che potrebbe essere l’esito ideale. Jonathan Spyer si è chiesto sullo Spectator: “Chi dovrebbe governare la Siria?”, e ha concluso che non dovrebbe essere nessuno dei principali attori in campo. “Al regime di Assad non dovrebbe essere consentito di riunire la Siria sotto il suo dominio – ha scritto Spyer – Allo stesso modo, ai ribelli islamisti non deve essere consentito di istituire uno stato jihadista nel paese, e all’ISIS non dovrebbe essere consentito di continuare ad esistere”. Ma un problema più profondo, in Siria, è che nessuno vuole vincere la guerra.

L’intervento turco deriva da due interessi paralleli: sostenere i vari gruppi siriani alleati con la Turchia, come Faylaq al-Sham, e ridurre l’influenza dei curdi in Siria. La Turchia si è distinta nel dichiarare di combattere l’ISIS, per aggiungere subito dopo che combatte anche “altri terroristi” e poi attaccare i curdi come ha fatto nell’autunno del 2015. Dal punto di vista turco, le formazioni curde PKK e YPG sono i veri terroristi. Lo scopo dei turchi in Siria non è vincere, ma semplicemente creare una zona cuscinetto.

Anche lo scopo dei curdi, in Siria, non è vincere, ma creare una sorta di regione federale che colleghi le storiche aree curde di Kobane, Rojava e Afrin. Anche l’ISIS non punta, né ha mai puntato, a vincere in Siria: i suoi interessi sono per lo più concentrati a cavallo del confine con l’Iraq, nel suo “califfato” globale, e negli stupri e omicidi di massa in giro per il mondo.

Omran, 5 anni, all’interno di un’ambulanza dopo essere stato estratto dalle macerie di una casa ad Aleppo (agosto 2016)

Omran Daqneesh, 5 anni, all’interno di un’ambulanza dopo essere stato estratto dalle macerie di una casa bombardata ad Aleppo (17 agosto 2016)

Il presidente siriano Bashar Assad sostiene a parole di voler vincere, ma molto probabilmente il suo vero obiettivo è sfruttare la presenza di gruppi jihadisti per puntellare la propria legittimità come “difensore” della Siria, “oppositore dell’imperialismo” e “unico vero avversario del terrorismo”.

L’intervento russo in Siria nell’autunno del 2015 non aveva lo scopo di vincere, ma di puntellare Assad. L’intervento di Iran e Hezbollah risale ai primi anni della guerra e non mirava a vincere. Gli americani non vogliono vincere in Siria: vogliono che l’ISIS venga sconfitto. I gruppi ribelli siriani, quella molteplicità di gruppi che potrebbero animare mille diverse fazioni di cui una decina costituiscono attori o coalizioni ragguardevoli, non hanno alcuna possibilità di vincere la guerra, e nella maggior parte dei casi non è chiaro cosa vogliano. La maggior parte di loro vuole controllare qualche minuscola area di territorio.

Se si viene a sapere che c’è una guerra e che nessuno vuole vincerla davvero, allora potrebbe essere necessario rivedere il paradigma con il quale si immagina che quella “guerra” venga combattuta. Ecco come appare la guerra civile siriana vista in retrospettiva.

Nel marzo-luglio 2011 è iniziata con una serie di proteste. Per un anno e mezzo, poi, vi sono stati seri combattimenti. Nell’agosto 2013 ci furono i primi attacchi con armi chimiche e il timore di un intervento da parte degli Stati Uniti, oltre a un crescente coinvolgimento di Hezbollah. Nel 2014 si ha l’ascesa dell’ISIS e, nel maggio 2015, la sua cattura di Palmyra. Circa nello stesso periodo si registrano i successi militari dei curdi dell’YPG e, nell’autunno 2015, l’intervento russo. Vi è anche un incremento dell’intervento americano e della sua coalizione, a cominciare dai falliti tentativi di trovare gruppi ribelli “credibili” e una collaborazione con i curdi. Nell’agosto del 2016 ha avuto inizio l’intervento turco.

Ad ogni tornata di successi di un gruppo, arriva una nuova tornata di interventi. Ad ogni battuta d’arresto, un nuovo attore entra in campo. Al profilarsi allarmante di ogni indebolimento di una fazione si formano nuove collaborazioni. Le forze di Assad si sono dissanguate, in Siria, come i francesi a Verdun, per cui Hezbollah ha dovuto dissanguarsi, e poi i mercenari da Iran e Afghanistan e gli sciiti dall’Iraq. Anche le fazioni ribelli si sono stremate. E i curdi si sono spinti troppo avanti nel loro temporaneo successo a Manbij.

Esecuzioni di massa durante la Guerra dei Trent'anni (Jacques Callot, "Les Grandes Misères de la guerre", 1633)

Esecuzioni di massa durante la Guerra dei Trent’anni (Jacques Callot, “Les Grandes Misères de la guerre”, 1633)

Sotto certi aspetti, la guerra civile siriana mostra una certa somiglianza per la Guerra dei Trent’anni in Europa centrale. Non solo per il diffuso settarismo e i numerosi interventi da parte di soggetti esterni a sostegno dei rispettivi scagnozzi, ma anche per la ferocia e le distruzioni di massa.

Se si accetta il parallelo con la Guerra dei Trent’anni, con la Siria nella parte della vittima di numerose lotte fra stati e lacerata in una pletora di piccoli staterelli, allora bisogna chiedersi dove sono “la pace di Westfalia” del Medio Oriente e la ristrutturazione dell’ordine regionale a seguito del conflitto.

Dal momento che nessuno vuole vincere la guerra, nessuno può vincere la guerra e nessuno dovrebbe vincere la guerra, l’unica opzione è quella di far cessare la guerra. Ma a quanto pare dovrà essere versato ancora molto sangue prima che ciò possa accadere e le potenze in gioco, mondiali e regionali, non sembrano particolarmente preoccupate se la guerra continua. Per loro, come per la Francia e gli Asburgo, ciò che interessa è l’egemonia, le zone cuscinetto e continuare a uccidere.

In effetti, uno dei motivi per cui nessuno vuole vincere è perché – come l’ISIS che si pasce di feroci esecuzioni, o quei video della decapitazione di un palestinese adolescente da parte di un gruppo ribelle, o i soldati del regime che torturano a morte i prigionieri – molti di coloro che sono coinvolti semplicemente adorano abusare dei deboli e depredare i più vulnerabili. E alcuni di loro ormai uccidono per il puro gusto di farlo.

(Da: Jerusalem Post, 30.8.16)