Efferata ferocia contro ebrei innocenti: chi conosce la storia ha riconosciuto subito la mano

Bisogna avere il coraggio di guardare in faccia le atrocità subìte dagli ebrei in Terra d’Israele: lo dobbiamo alle vittime ed è necessario per capire il sionismo

Di Uri Pilichowski

Uri Pilichowski, autore di questo articolo

Quasi tutti quelli a cui ho chiesto del reportage del New York Times sui particolari del massacro del 7 ottobre (“Screams without Words“, 28.12.23) mi hanno detto che era troppo doloroso leggerlo fino in fondo. Anch’io ho avuto difficoltà a leggere l’articolo per intero. Mi è montata la rabbia, poi mi è venuta la nausea, poi m’è venuto da svenire. Ma sentivo che lo dovevo alle vittime, sapere cosa era accaduto loro. Che diritto ho, mi dicevo, di chiudere gli occhi per non soffrire?

Dal 7 ottobre in poi, Israele e la sua gente sono stati sottoposti a livelli di manipolazione senza precedenti. Dalla negazione tout court che il massacro sia mai avvenuto, alle pressioni perché Israele cessi di combattere e si ritiri prima d’aver avuto la possibilità di proteggersi da ulteriori attacchi e di fare giustizia punendo i colpevoli.

Un altro messaggio che gli israeliani si sono sentiti ripetere a iosa è che il massacro del 7 ottobre è stata un’assoluta aberrazione, per nulla rappresentativa del popolo palestinese e della sua storia.

Se si vuole capire Israele e il sionismo bisogna conoscere molto meglio la storia della regione e del popolo ebraico. Ad esempio, bisogna andare a leggere le cronache di tempi passati.

Quelli che seguono sono tre brani basati su testimonianze oculari. Sono resoconti dolorosi di omicidi, torture e stupri. Il lettore non dovrebbe chiudere gli occhi, le vittime meritano di essere ascoltate.

Il memoriale sorto spontaneamente nel luogo della strage al festival musicale di Re’im

1. “La mattina successiva, il sabato ebraico, si assistette ad atrocità come non se ne erano mai viste. Un farmacista disabile e sua moglie vennero assassinati, la loro figlia di 13 anni venne violentata in gruppo e poi anche lei uccisa. Un’altra coppia è sopravvissuta giacendo immobile avvolta nel sangue degli altri. Vennero strappati arti, testicoli e occhi a persone vive, fra cui anziani e bambini. Solo una persona morì per un proiettile. Gli altri subirono metodi di esecuzione più artigianali. In un solo giorno furono uccise 67 persone e più di 50 ferite”.

2. “Tre gruppi di uomini armati camminavano a sud verso la città sulla strada lungo il lago. Un fischio diede il segnale: due gruppi entrarono in città e il terzo si diresse al vicino kibbutz. Trecento combattenti armati di tutto punto bloccarono le strade di accesso alla città, tagliarono le linee di comunicazione ed entrarono da tre direzioni. Dopo il saluto alla bandiera araba nera, verde e rossa che veniva issata durante la Grande Rivolta, seguì un assalto con i proiettili dei guerrieri che traforavano le finestre delle case ebraiche. Dopo aver sgomberato gli abitanti, diedero alle fiamme la pretura e l’edificio governativo, così come i negozi degli ebrei e le case commerciali sioniste. Furono uccisi circa 70 ebrei. Le loro morti furono più private e crudeli. Rachel Mizrahi e i suoi cinque figli vennero accoltellati ripetutamente e la loro casa incendiata. Yehoshua Ben-Arieh, sua moglie e i loro due figli furono uccisi, così come lo furono le tre figlie Leimer che all’epoca si trovavano a casa loro. Lo stesso per Menachem “Max” Kotin di New York – la prima vittima americana – e sua moglie Masha. La sinagoga fu data alle fiamme con il custode ancora dentro. Dei 17 ebrei uccisi nelle loro case, solo quattro furono fucilati. Gli altri furono bruciati o pugnalati a morte. Dieci erano bambini. L’assalto è durato circa 40 minuti. Secondo alcuni testimoni, dopo il massacro gli aggressori fecero irruzione in un ristorante dove si servirono un pasto. Altri hanno detto che ballarono per strada un’improvvisata dabke (danza di gioia). Ciò che era indiscutibile era la sistematica pianificazione ed esecuzione dell’operazione e la quasi totale assenza di qualsiasi resistenza ebraica”.

Il 18 gennaio compie un anno Kfir Bibas, il più piccolo ostaggio nelle mani del terroristi palestinesi a Gaza

3. “Un paramedico di un’unità di commando ha detto al giornale d’aver trovato i corpi di due ragazze, due sorelle di 13 e 16 anni, in una stanza del kibbutz Be’eri con i vestiti strappati. Una era sdraiata su un fianco con lividi all’inguine, l’altra era distesa sul pavimento a faccia in giù, i pantaloni del pigiama abbassati fino alle ginocchia, il sedere scoperto e la schiena imbrattata di sperma”.

I tre brani non riguardano tutti la carneficina del 7 ottobre. I primi due sono tratti dal recente libro di Oren Kessler Palestine 1936. Il primo si riferisce ai feroci tumulti a Hebron nel 1929. Il secondo, i tumulti a Tiberiade nel 1938. Solo il terzo riguarda l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.

Tutti e tre questi eventi hanno visto stupri e uccisioni perpetrati in modo selvaggio su civili ebrei ad opera di aggressori arabi palestinesi. I sionisti che conoscono la propria storia hanno subito riconosciuto la mano del massacro del 7 ottobre.

Mentre la maggior parte del mondo, scioccata dalla crudeltà esercitata su ebrei innocenti, si convinceva che si fosse trattato di un unicum nella storia degli arabi palestinesi, i sionisti l’hanno trovata fin troppo familiare.

Il sionismo è un movimento nato per mettere in sicurezza il popolo ebraico dai suoi nemici giurati. Non è difficile trarre insegnamenti sionisti dai tanti successi di Israele. Ma una lezione sionista altrettanto importante è ricordare che lo stato d’Israele è stato fondato per proteggere il popolo ebraico da nemici barbari e spietati che mirano ad annientare gli ebrei nei modi più crudeli. La storia si ripete, e questo è particolarmente vero quando si tratta di ebrei, sionisti e della terra d’Israele.

E’ una lezione che i sionisti non possono dimenticare.

(Da: Jerusalem Post, 7.1.24)