“Gesù palestinese” non è solo un falso storico: è un mito anti-ebraico

Cancellare storia e identità ebraica in Terra d’Israele è un indottrinamento pericoloso, con conseguenze che arrivano fino al 7 ottobre

Di Jordan Cope

Jordan Cope, autore di questo articolo

E’ Natale, e se fosse qui a sentire le campane che suonano mentre miliardi di persone si apprestano a celebrare il suo compleanno, l’ebreo Gesù avrebbe di che restare sconcertato (e forse in crisi di identità) nel sentire tanti invitati ai festeggiamenti sostenere che lui che era originario della “Palestina”, un termine che Gesù molto probabilmente non ha mai usato e nemmeno sentito in tutta la sua vita. Ma siamo in quel periodo dell’anno durante il quale, puntualmente, una serie di attivisti sedicenti filo-palestinesi ricominciano a dire e postare sui social network che Gesù, essendo nato a Betlemme, era “palestinese”.

In realtà, Gesù era un ebreo fiero e osservante, che visse nella sua patria nativa di Giudea e Galilea, dalla mangiatoia alla tomba. Il mito secondo cui Gesù era palestinese, uno stratagemma ideato per spingere i cristiani a schierarsi con il nazionalismo palestinese (che, notare bene, definisce se stesso arabo e musulmano ndr), contribuisce al deliberato tentativo di negare la storia degli ebrei, il loro essere autoctoni in terra d’Israele, il loro diritto a esercitarvi una sovranità.

Secondo le fonti cristiane, Gesù nacque ebreo e visse in un regno ebraico situato in gran parte del moderno Israele, dove gli ebrei hanno vissuto consecutivamente per 3.000 anni. Il suo discepolo Luca notò che, come tutti gli altri bambini ebrei, Gesù fu circonciso nell’ottavo giorno dopo la nascita (Luca 2:21) e in seguito frequentò la sinagoga (Luca 4:16). Secondo Marco, Gesù veniva chiamato “rabbino” (Marco 10:51). E secondo Matteo, l’ultima cena di Gesù fu un seder della Pasqua ebraica (Matteo 26:17).

È importante sottolineare che Gesù proveniva dal regno ebraico di Giudea (noto anche come Giuda). Matteo spiega scrupolosamente che Gesù “nacque a Betlemme di Giudea” (Matteo 2:1) e che predicò in tutta la Galilea e la Giudea (Matteo 19:1).

Una moneta della serie “Judea Capta” con cui i Romani celebravano la vittoria nella “guerra giudaica” (66-70 e.v.). L’ebreo Gesù non si sarebbe mai definito “palestinese” in nessuna accezione di un termine che venne imposto dai Romani solo un secolo più tardi

Sicuramente Gesù pregò come ebreo nel Tempio di Gerusalemme, che chiamò “casa di preghiera” citando Isaia, secondo Matteo 21:13.

Non sorprende che la “Palestina” non venga mai menzionata nel Nuovo Testamento. Questo perché ai tempi di Gesù la “Palestina” semplicemente non esisteva. Il termine Palestina deriva da Philistia, terra dei Filistei, popolo originario delle coste dell’Egeo (le attuali Grecia e Turchia). I Filistei scomparvero secoli prima della nascita di Gesù.

Dopo che l’Impero di Roma sconfisse la terza rivolta ebraica, le forze romane massacrarono e deportarono un gran numero di ebrei dalla Giudea e fu allora che la ribattezzarono Siria Palaestina. Ciò avveniva nel 135 e.v., più di un secolo dopo la morte di Gesù (intorno al 27-33 e.v.). Il nuovo nome serviva per ridurre il più possibile l’identificazione ebraica con quella terra e punire gli ebrei ribelli imponendo al paese il nome dei loro biblici nemici.

Sull’esempio dei Romani, la cancellazione della memoria, dell’identità e della cultura ebraica dalla terra d’Israele è diventata una strategia fondamentale adottata dagli anti-ebrei (antisemiti) nel corso dei millenni.

C’è da chiedersi cosa direbbe oggi Gesù di quegli “attivisti” palestinesi come il comico Amer Zaher, la sostenitrice del boicottaggio BDS Linda Sarsour e lo stesso presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen, che negli anni hanno ripetutamente definito Gesù come “palestinese”.

Si possono fare mille considerazioni, ma attenzione: la cancellazione della storia e dell’identità ebraica non è materia di astratte speculazioni: è qualcosa che comporta pericolosissime conseguenze.

Il 7 ottobre 2023 i terroristi di Hamas hanno invaso il sud di Israele massacrando 1.200 persone. La propaganda di Hamas mira distintamente a distorcere e negare la storia ebraica in Israele, presentando gli ebrei come colonizzatori stranieri. La Carta di Hamas del 1988 afferma: “Di fronte all’usurpazione della Palestina da parte degli ebrei, è obbligatorio issare la bandiera della jihad”. La Carta di Hamas versione 2017 recita: “La Palestina, che si estende dal fiume Giordano a est fino al Mediterraneo a ovest e da Ras Al-Naqurah a nord fino a Umm Al-Rashrash a sud, è terra araba islamica, la terra del popolo arabo palestinese. La Palestina è stata conquistata da un progetto sionista razzista, antiumano e colonialista”.

Muhammad Hussein, Mufti di Gerusalemme e Territori Palestinesi, alla tv dell’Autorità Palestinese: “Gesù è palestinese per eccellenza”

Questa cancellazione della storia ebraica è un elemento chiave anche nella Carta Nazionale dell’Olp (l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina fondata da Yasser Arafat e presieduta da Abu Mazen), che afferma: “Le rivendicazioni di legami storici o religiosi degli ebrei con la Palestina sono incompatibili con i fatti della storia”. Abu Mazen rifiuta di riconoscere il legame storico fra gli ebrei e il luogo più sacro del popolo ebraico, il Monte del Tempio. La propaganda palestinese nega che sia esistito il Tempio ebraico a Gerusalemme, quello dove pregò Gesù.

Comprendere questa negazione dell’ebraicità di Gesù è quindi cruciale per comprendere la disinformazione globale anti-israeliana e l’antisemitismo che essa alimenta. In quanto egli stesso vittima del disprezzo anti-ebraico, Gesù probabilmente si sentirebbe assai turbato, e probabilmente offeso, a sentirsi definire “palestinese”, un’identità le cui radici etimologiche furono piantate da quello stesso Impero Romano i cui soldati lo sottoposero a torture e umiliazioni prima di crocifiggerlo, schiaffeggiandolo e schernendolo con la frase “Salve, o re dei giudei” (Giovanni 19:3).

A ben vedere, essendo un ebreo che predicò anche in Giudea (una regione che comprende parti dell’odierna Cisgiordania), se fosse vivo oggi Gesù in circostanze analoghe verrebbe probabilmente condannato dagli attivisti anti-israeliani in quanto illegale “colono ebreo”. Un’altra accusa che sicuramente lo lascerebbe basito.

Ma spesso, quando la storia è politicamente scomoda, la verità perde importanza. Il mito antistorico secondo cui Gesù era “palestinese” si è radicato sempre più in una propaganda nazionalista volta a cancellare la storia e la memoria ebraica, conformandosi a un sistema plurisecolare di oppressione anti-ebraica.

In nome dell’onestà intellettuale e dell’integrità storica, e del rifiuto di narrazioni anti-ebraiche, è necessario ripristinare l’identità ebraica di Gesù e sfatare una volta per tutte la fandonia secondo cui Gesù era “palestinese”.

(Da: Jerusalem Post,24.12.23)