Intrappolati nel pantano siriano

Le due super-potenze mondiali Stati Uniti e Russia e le due potenze islamiche regionali Turchia e Iran sono incastrate in uno scontro letale senza alcun esito politico in vista

Di Zvi Mazel

Zvi Mazel, autore di questo articolo

Sono così tante e diverse le parti in guerra, nella crisi siriana, che è difficile intravedere come possa emergere un consenso generale su una soluzione politica che metta fine ai combattimenti. Paesi come la Russia, l’Iran e la Turchia hanno tutta l’intenzione di strappare vantaggi strategici a lungo termine dal caos siriano. Per ora, tuttavia, si dibattono nel pantano e si domandano se e quando verranno trascinati in un nuovo round di spargimenti di sangue.

È solo dallo scorso novembre che i leader di Russia, Iran e Siria hanno dichiarato la vittoria sull’ISIS, lasciando intendere che il problema più pressante in Siria fosse risolto. E anche se Bashar Assad, aiutato da Hezbollah, Russia, Iran e succursali iraniane varie, è riuscito a ristabilire la sua autorità su gran parte del paese, vi sono ancor conflitti in corso all’interno della Siria.

Washington ha da poco annunciato che aiuterà i curdi a organizzare 30.000 uomini come “forze di sicurezza al confine siriano” per impedire una risorgenza dell’ISIS e controllare il confine tra Turchia e Iraq. Il nuovo esercito curdo attingerà alle Forze Democratiche Siriane, una milizia composta principalmente da combattenti curdi. Con l’assistenza militare degli Stati Uniti, le Forze Democratiche Siriane sono quelle che sono riuscite ad espugnare la città di Kobane e, in seguito, Raqqa, la capitale dello Stato Islamico in Siria. Poi si sono lanciate a ovest oltre il fiume Eufrate, lungo il confine turco (30.000 kmq, pari a un terzo del territorio siriano) fino a raggiungere il confine iracheno.

La mossa dell’America sembra volta a sostenere una zona autonoma curda ed è un nuovo passo verso la divisione della Siria. La decisione non è giunta inaspettata giacché gli Stati Uniti avevano già pesantemente investito nelle Forze Democratiche Siriane. Washington non rinuncerà facilmente ai guadagni politici e militari raggiunti, lasciando che quel territorio cada nelle mani del  regime di Assad sostenuto dall’Iran. L’unica domanda in realtà è perché ci sia voluto così tanto tempo.

20 gennaio 2018. Bersagli colpiti dalle forze turche ad Afrin, in Siria

Il ritardo dell’investimento militare statunitense nelle forze di sicurezza alla frontiera siriana è probabilmente dovuto al fatto che nel frattempo vi sono stati vari tentativi di arrivare a un accordo con la Russia su Ucraina e Corea del Nord, che non hanno portato da nessuna parte. Inoltre, è probabile che Israele abbia fatto pressione per una decisione che impedisca all’Iran di stabilire una presenza fissa nel nord della Siria.

Lo scorso 17 gennaio, il Segretario di stato Usa Rex Tillerson ha delineato la politica del suo paese nei confronti della Siria: “Gli Stati Uniti – ha detto – manterranno la loro presenza militare in Siria, concentrandosi sul garantire che l’ISIS non possa riemergere. La lotta contro l’ISIS non è finita. Dobbiamo perseverare, in Siria, per contrastare al-Qaeda nel nord-ovest del paese”. Dicendo al-Qaeda, Tillerson si riferiva a Fatah al-Sham che ha una forte presenza nella zona di Idlib. Ha inoltre sottolineato che non meno importante è impedire all’Iran di estendere la propria influenza negativa. In breve, l’America sta adottando una nuova politica e si sta preparando per una lunga permanenza in Siria. Immediata è stata la reazione da parte di Turchia, Russia, Iran e del regime di Assad che hanno protestato contro la creazione di un nuovo esercito curdo, sebbene in seguito sia stato chiarito che gli Stati Uniti stavano semplicemente rafforzando le già esistenti Forze Democratiche Siriane per metterle in condizione di assolvere il compito di controllare i confini.

Chi si oppone all’appoggio degli Stati Uniti all’esercito curdo sostiene che la mossa è contraria al diritto internazionale e costituisce un’ingerenza ingiustificata negli affari interni siriani. Anche la delegazione di ribelli siriani ai colloqui di Astana si è opposta alla decisione. Erdogan si è spinto oltre e ha dichiarato che le sue forze armate avrebbero schiacciato il nuovo esercito sul nascere. Al che Assad ha immediatamente minacciato di far abbattere gli aerei turchi che fossero penetrati nello spazio aereo siriano. Ciò nonostante, le forze turche sono avanzate verso l’enclave curda di Afrin, che si trova nel nord-ovest della Siria e confina con la Turchia, aprendo anche il fuoco d’artiglieria. Vi sono notizie contrastanti sulla portata dell’attacco. Di fatto, comunque, Ankara è entrata in uno scontro frontale con gli Stati Uniti, suoi alleati nella Nato.

Le aree a popolazione curda nel nord della Siria

Poi Erdogan ha avuto colloqui con l’Iran e la Russia per tentare una qualche forma di azione comune. L’azione comune non sarà facile, dato che Mosca gode di buoni rapporti con i curdi e ha truppe di stanza ad Afrin, come anche gli americani. La Turchia deve fare molta attenzione a non colpire queste truppe.

Tecnicamente Russia e Iran sono intervenuti nella crisi siriana su richiesta di Assad, il quale tuttavia ha perso ogni legittimità già da molto tempo. Il suo regime è sopravvissuto solo ricorrendo a tattiche spietate contro la sua stessa popolazione e col pesante sostegno di forze straniere. Le truppe turche sono entrate in Siria due anni fa per combattere la nascente autonomia di fatto dei curdi, e questo intervento era sicuramente contrario al diritto internazionale. Washington, dal canto suo, agisce in forza della decisione della coalizione di 60 paesi che combattono le organizzazioni terroristiche in Siria.

Finora, i due binari inaugurati per la ricerca di una soluzione politica sono falliti. Da una parte c’è il processo di Ginevra, istituito dall’Onu in base alla risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza del dicembre 2014, votata all’unanimità su proposta russa. Prevedeva un percorso e una tabella di marcia per una soluzione pacifica: formazione di un governo di transizione che comprendesse rappresentanti del regime e dell’opposizione, ed elezioni presidenziali entro due anni sotto supervisione internazionale. Finora vi sono stati sette incontri, ma senza risultati. L’opposizione chiede l’immediata estromissione di Assad, mentre questi rifiuta i colloqui diretti con l’opposizione. La Russia insiste fermamente sul fatto che Assad rimanga al potere fino alle elezioni.

Quindi Mosca ha avviato un secondo binario per aggirare Ginevra. Sostenuto da Turchia e Iran, il secondo binario ha visto la convocazione di sette incontri nella capitale del Kazakistan, Astana, per cercare di arrivare a un accordo preliminare tra regime e opposizione su una soluzione politica che asserisca l’egemonia russa, iraniana e turca sulla formulazione della futura mappa della Siria. Sono state stabilite quattro zone di de-escalation che prevedono la cessazione delle ostilità contro i ribelli, pur non dando alcuna definizione di chi siano i ribelli in questione. Sarebbero previste delle no-fly zones, i civili dovrebbero trovarsi al sicuro e i profughi dovrebbero poter tornare. Ma i confini di queste zone non sono mai stati delineati e le forze di Assad, con l’aiuto dei russi, non hanno smesso di combattere i gruppi moderati dell’opposizione sunnita, insistendo sul fatto che sono ribelli.

Bandiere siriana e Hezbollah su un veicolo militare a Qalamoun, nella Siria occidentale

Nell’ultimo incontro di Astana, a dicembre, la Russia ha tuttavia proclamato che il processo aveva fatto il suo corso e ha convocato una riunione speciale a Sochi per il 29-30 gennaio, con 1.600 delegati di tutte le forze politiche siriane. Le organizzazioni sunnite hanno detto che probabilmente non parteciperanno, dal momento che la Russia insiste sul fatto che Assad rimanga al potere e continua i suoi raid aerei nonostante gli accordi di de-escalation, ferendo e uccidendo civili indiscriminatamente.

Se Sochi dovesse fallire, Putin non sarebbe in grado di ritirare la maggior parte delle sue truppe dalla Siria, come aveva annunciato di voler fare. I combattimenti continueranno e le truppe russe saranno prese di mira dalle forze ribelli, come è già successo di recente con un attacco di droni su due basi russe, trascinando la Russia ancora più a fondo nel pantano siriano mentre deve ancora fare i conti con Turchia e Iran e i loro interessi contrastanti.

Una massiccia operazione turca al confine con i curdi potrebbe incendiare di nuovo la regione. Come si comporterebbe la Russia? L’intento dell’Iran di consolidarsi sempre più in Siria e di crearvi fabbriche missilistiche d’avanguardia minaccia direttamente Israele e potrebbe innescare una guerra con Hezbollah, la milizia sciita, e persino con il Libano. Putin è ben consapevole di questi rischi, ma quali sono le sue risposte? Ha considerato tutti i rischi prima di entrare in Siria?

Nel frattempo i combattimenti continuano e non è in vista nessun cessate il fuoco. Assad, con i suoi alleati russi e iraniani, sta facendo uno sforzo totale per strappare sempre più territori ai ribelli: a volte gettando di nuovo barili di cloro sui civili, mentre l’Occidente sta a guardare.

Le due super-potenze mondiali, Stati Uniti e Russia, e le due potenze islamiche regionali, Turchia e Iran, sono incastrate in uno scontro letale senza alcun esito politico in vista. Intano l’Iran avanza furtivamente verso il suo obiettivo di istituire una “mezzaluna sciita” in Medio Oriente. E il mondo rischia di avviarsi verso una nuova conflagrazione globale.

(Da: Jerusalem Post, 22.1.18)