Israele sta entrando nell’era del dopo Netanyahu?

Ci vorrà tempo per abituarsi a non vedere Netanyahu al timone, ma Israele è più di qualunque suo leader, indipendentemente da quanto possa essere stata dominante la sua figura

Di Herb Keinon

Herb Keinon, autore di questo aryicolo

Con il teatrale annuncio di domenica sera della decisione di Naftali Bennett (Yamina) di formare una coalizione di governo con Yair Lapid (Yesh Atid) e di alternarsi con lui nella carica di primo ministro, Israele ha fatto un passo verso la fine dell’era Netanyahu.

Dodici anni e 55 giorni dopo che Benjamin Netanyahu è diventato primo ministro per la seconda volta, e dopo un totale di 15 anni e 73 giorni in cui ha ricoperto la carica, il giorno che tutti sapevano che prima o poi sarebbe arrivato, in un modo o nell’altro, ma che molti si chiedevano se lo avrebbero mai visto davvero, sembra ormai dietro l’angolo: Israele senza Netanyahu al timone.

Netanyahu ha fatto parte del panorama politico di questo paese così a lungo ed è stato il primo ministro così a lungo che ci vorrà del tempo prima che le persone si abituino all’idea stessa che non sia più lui a determinare la politica, con i suoi discorsi e la sua inconfondibile voce baritonale. Ci vorrà del tempo perché alcuni si adattino a un Israele senza Netanyahu come primo ministro.

Ma si adatteranno e Israele andrà avanti, e l’aforisma secondo cui nessuno è insostituibile si dimostrerà ancora una volta vero. Perché? Perché Israele è più del suo leader, indipendentemente da quanto dominante possa essere la figura di un leader o quanto profonde le impronte che lascerà dietro di sé. E perché non è che esiste una sola persona in grado di guidare questo paese.

Herb Keinon: “Israele è più di qualunque suo leader, indipendentemente da quanto possa essere dominante la sua figura”

Come mai Bennett sta facendo questa scelta, si chiedono in molti, specie dopo una campagna elettorale in cui aveva promesso di non fare esattamente quello che sta facendo: consentire a Lapid di formare un governo, entrare in un governo con Lapid come primo ministro e fare lui stesso il primo ministro anche se arriva al governo con solo sei parlamentari. Il fatto è che Bennett sta mantenendo fede alla prima delle sue promesse: garantire che non si sarebbe andati ad una quinta tornata di elezioni ravvicinate.

Ma quali sono le sue motivazioni? Sta facendo questo passo perché crede che sia nell’interesse del paese? Oppure, come ha accusato Netanyahu domenica sera, lo fa per cieca ambizione personale, vale a dire per diventare primo ministro (carica che, se dipendesse dal numero di voti che ha raccolto in una qualsiasi delle elezioni precedenti, sarebbe lontana dalla sua portata)? La risposta a questa domanda non è univoca e non dovrebbe essere formulata come un aut-aut. Bennett lo fa sia perché crede sinceramente che è per il bene del paese e che una quinta chiamata alla urne, a cui potrebbero poi seguirne una sesta e persino una settima, sarebbe un disastro; sia perché in questo modo potrà diventare primo ministro. Le due ragioni non si escludono a vicenda e spesso le persone non sono guidate da una sola motivazione.

Ma se davvero la mossa di Bennett avrà successo e se non sorgerà qualche intoppo imprevisto a impedire il varo della coalizione anti-Netanyahu, allora l’uomo che potrà attribuirsene il merito è innanzitutto Yair Lapid. Durante la campagna elettorale e dopo, quando Netanyahu ricevette il mandato di formare il governo e quando lo ricevette lo stesso Lapid, quando sembrava che Lapid stesse per formare un governo e quando la crisi a Gaza fece deragliare il piano, per tutto il tempo Lapid ha continuato a lavorare in silenzio, senza infervorarsi, senza rilasciare dichiarazioni roboanti.

Da sinistra: il leader di Yamina, Naftali Bennett, e il leader di Yesh Atid, Yair Lapid

Ha anche dimostrato una magnanimità politica rara da queste parti quando, subito dopo le elezioni di marzo, ha offerto a Bennett il primo turno da primo ministro in un accordo di rotazione nonostante la non brillante performance di quest’ultimo alle urne. Con quel gesto Lapid ha dimostrato che l’obiettivo che si era prefissato – inaugurare il dopo-Netanyahu – aveva la meglio sulle sue ambizioni personali e che era disposto a sacrificare le ambizioni personali per quello che considerava il bene collettivo. Non era la prima volta che si comportava in questo modo. Già nel marzo 2019 aveva ceduto la precedenza a Benny Gantz e gli aveva affidato la guida del partito Blu e Bianco.

Per anni, il governo israeliano è ruotato attorno a una persona: Netanyahu. Se questo nuovo governo nascerà, le persone saranno almeno tre: Lapid, Bennett e il leader di Nuova Speranza Gideon Sa’ar. Ci vorrà un po’ di tempo perché il pubblico si abitui, e per far funzionare un tale governo ci vorrà anche molta di quella magnanimità dimostrata da Lapid negli ultimi mesi.

(Da: Jerusalem Post, 31.5.21)