Capire il significato dell’assassinio di Sadat

L’uccisione quarant’anni fa del presidente egiziano scaturì dall’odio per la pace con Israele, ma fu anche un presagio di sviluppi molto peggiori che sarebbero avvenuti in seguito

Editoriale del Jerusalem Post

Gerusalemme, 20 novembre 1977: il presidente egiziano Anwar Sadat parla alla Knesset

Il 6 ottobre non è solo l’anniversario della guerra dello Yom Kippur del 1973. Lo stesso giorno, otto anni dopo, proprio durante una parata militare al Cairo per commemorare quella che in Egitto è ancora considerata una grande vittoria, il presidente egiziano Anwar Sadat veniva ucciso in un attentato di estremisti islamici.

Quell’evento fu un terremoto le cui scosse di assestamento stanno ancora scuotendo la regione, ma che spesso viene visto attraverso una lente troppo stretta, come se fosse “semplicemente” un riflesso dell’odio verso Israele e della feroce opposizione alla firma di un trattato di pace con Israele che Sadat aveva fatto nel 1979.

L’assassinio di Sadat rifletteva certamente quei sentimenti ferocemente anti-israeliani. Ma c’era dell’altro. Il suo assassinio fu anche una naturale estensione di ciò che era divampato in Iran due anni prima, quando l’ayatollah Khomeini aveva deposto lo scià e inaugurato la Repubblica Islamica; e del sequestro quello stesso anno della Grande Moschea della Mecca da parte di estremisti islamici, che provocò la morte di centinaia di persone; e del processo di islamizzazione che stava alterando il Pakistan.

Teheran, 18 febbraio 1979: il capo dell’Olp Yasser Arafat rende omaggio all’ayatollah Ruhollah Khomeini, che ha appena preso il potere in Iran

L’assassinio di Sadat riguardava ovviamente Israele, ma non solo Israele. Era anche una manifestazione evidente di questo islam estremista e violento che sostanzialmente rifiutava l’Occidente. Era un presagio delle cose molto peggiori che sarebbero venute in seguito.

Come ha scritto la giornalista Kim Ghattas nel suo libro del 2020 Black Wave (Onda nera) che racconta la rivalità tra Iran e Arabia Saudita “che ha devastato il Medio Oriente”, al momento dell’assassinio di Sadat c’erano in Egitto quelli che erano “soggiogati dalla rivoluzione iraniana, ipnotizzati dallo spettacolo delle masse nelle piazze e di un potere popolare che abbatteva un tiranno, un traditore del proprio popolo e della Palestina”. In altre parole, quello che era accaduto in Iran non rimase in Iran. La rivoluzione iraniana del 1979 scatenò una radicalizzazione dell’islam e mise il vento nelle vele dei violenti islamisti che hanno ucciso Sadat e che continuano a imperversare nella regione.

Il primo leader straniero a visitare Teheran dopo la rivoluzione islamista e a incontrare Khomeini nel 1979 fu il capo dell’Olp Yasser Arafat, che lo fece mentre a Camp David i rappresentanti egiziani e israeliani stavano lavorando al primo storico accordo di pace fra un paese arabo e lo stato ebraico. Arafat e Khomeini strinsero forti legami che continuano ancora oggi fra Teheran e i terroristi palestinesi.

Il Cairo, 6 ottobre 1981: il mortale attentato jihadista ad Anwar Sadat

Tra i capi della cellula a cui appartenevano gli assassini di Sadat c’era Ayman al-Zawahiri. Sadat non c’è più, ma Zawahiri è ancora qui e si ritiene che oggi sia il capo di al-Qaeda, un’organizzazione che Zawahiri ha contribuito a formare. Non c’è più il presidente egiziano che volle riorientare il suo paese via dall’Unione Sovietica e verso gli Stati Uniti e l’Occidente e che volle fare la pace con Israele, ma la persona che rifiutò tutto questo è qui e continua a fare la sua guerra quarant’anni dopo. L’assassinio di Sadat, a differenza ad esempio dell’uccisione di John F. Kennedy, non è stato un fatto a se stante, ma parte di una tendenza ben più ampia e fatale che ha avvelenato e continua ad avvelenare l’intera regione.

Questa è la cattiva notizia. La buona notizia è che c’è un altro campo nella regione, un campo a cui diede vita Sadat e che, sebbene sia sembrato stagnante per gran parte degli ultimi quattro decenni, ha recentemente ripreso vigore grazie agli Accordi di Abramo. E’ il campo che abbraccia la modernità e la pace con Israele.

Nel 40esimo anniversario dell’assassinio di Sadat, in un momento in cui c’è chi vorrebbe ancora gettare una ciambella di salvataggio a un regime iraniano tuttora modellato sull’immagine di Khomeini e riportarlo nell’accordo sul nucleare del 2015, spetta al mondo, guidato dagli Stati Uniti, meditare il lascito di Sadat: non solo ciò che fece nel forgiare la pace con Israele, ma anche come impedire che si rafforzino le forze che lo hanno ucciso e che allora, come oggi, si ispirano all’Iran khomeinista.

(Da: Jerusalem Post, 6.10.21)