Nonostante i tentativi in extremis, la terza tornata elettorale in Israele sembra inevitabile

Secondo i sondaggi, il risultato di un voto a marzo non sarebbe molto diverso da quello delle due elezioni del 2019

La Knesset (il parlamento israeliano) a Gerusalemme

Sta per scadere il tempo utile per trovare una soluzione allo stallo politico che paralizza Israele e una terza tornata elettorale nell’arco di dodici mesi sembra ormai quasi inevitabile anche se i sondaggi più recenti mostrano che è assai improbabile che essa produca risultati molto diversi dalle due precedenti elezioni politiche anticipate del 9 aprile e del 17 settembre.

Dal momento che sia il primo ministro uscente Benjamin Netanyahu sia il leader del partito sfidante Blu&Bianco, Benny Gantz, non sono riusciti a formare una coalizione di almeno 61 parlamentari, la Knesset ha tempo fino alla mezzanotte di mercoledì per candidare uno dei propri membri per la formazione del nuovo esecutivo: in questo caso, il nuovo incaricato (proposto da almeno 61 parlamentari) avrebbe due settimane di tempo per realizzare il compito. Se invece entro la scadenza di mercoledì non verrà proposto nessun nome, la 22esima Knesset sarà sciolta automaticamente, mandando Israele in ginepraio politico senza precedenti.

Il consulente legale della Knesset, Eyal Yinon, ha stabilito la scorsa settimana che, se gli israeliani dovessero tornare alle urne per la terza volta, lo dovrebbero fare il 3 marzo 2020. In Israele le elezioni si svolgono tradizionalmente di martedì. Ma il prossimo 3 marzo ricorre il giorno in cui si commemorano i soldati dispersi in guerra, e il successivo martedì 10 marzo cade la festa di Purim, per cui i rappresentanti dei due maggiori partiti stanno valutando se tenere le elezioni di lunedì: il 2 o il 16 marzo.

In un recente video-messaggio, Netanyahu ha esortato la Knesset a prendere in considerazione la possibilità di approvare a spron battuto un emendamento alla legge elettorale che permetta l’elezione diretta del primo ministro, allo scopo di risparmiare al paese un altro lungo stallo politico. Ma si tratta di una proposta assai problematica. “Non è troppo tardi – ha detto Netanyahu – Se Blu&Bianco non accetta di formare un governo di unità nazionale, c’è ancora una cosa che può essere fatta per prevenire elezioni non necessarie: introdurre un’elezione diretta per il primo ministro tra Benny Gantz e me. Quelli di Blu&Bianco dicono di sapere cosa vuole la gente. Ebbene, sono favorevole a far decidere la gente e nessun altro”.

Israele: verso la terza tornata elettorale in meno di dodici mesi?

Dal canto suo, Blu&Bianco ha affermato in una nota d’essere “impegnato a prevenire elezioni costose e inutili, non a garantire inutili trovate mediatiche volte a ripristinare un sistema elettorale che ha già gravemente compromesso la governabilità ed è fallito miseramente”. La nota si riferisce ai primi anni ’90 quando venne varato in Israele il sistema di voto detto a “due schede” che vide gli elettori votare separatamente per un partito e per il primo ministro. Netanyahu, Ehud Barak e Ariel Sharon vennero eletti primi ministri con questo sistema (rispettivamente nel 1996, 1999 e nel 2001). Ma il nuovo sistema venne abrogato nel 2003 perché si era dimostrato non funzionale, dal momento che non garantiva al primo ministro eletto la relativa maggioranza nel parlamento.

In effetti, la proposta di Netanyahu ha suscitato più obiezioni che approvazioni. Parlando alla radio pubblica Kan, il suo principale sfidante interno Gideon Sa’ar ha ricordato che “Likud si è sempre opposto all’idea dell’elezione diretta, che ha causato gravi danni ed è stata giustamente cancellata dopo alcuni anni. Non si deve cambiare in fretta e furia il sistema di governo – ha aggiunto Sa’ar – per cercare di risolvere un situazione politica momentanea”. Secondo Raoul Wootliff, di Times of Israel, “la proposta dovrebbe probabilmente affrontare una formidabile sfida legale davanti alla Corte Suprema in quanto comporterebbe una grossa riforma ad opera di un governo d’ordinaria amministrazione in campagna elettorale”. Inoltre, continua Wootliff, “anche se l’elezione diretta del primo ministro determinerebbe automaticamente la persona chiamata a formare il governo, in ogni caso non cambierebbe l’aritmetica della coalizione e il vincitore dovrebbe comunque formare una coalizione con gli stessi partiti eletti a settembre”.

Secondo un recente sondaggio di Canale 12 News, se si tenessero elezioni in questo momento i risultati non sarebbero molto diversi dalle due tornate precedenti. Stando al sondaggio, Blu&Bianco vincerebbe di stretta misura ottenendo 34 seggi (oggi ne ha 33) contro i 33 del Likud (che oggi ne ha 32). Seguirebbero la Lista (Araba) Congiunta, che confermerebbe i suoi 13 seggi, ed Israel Beytenu, Shas ed Ebraismo Unito della Torà con 8 seggi ciascuno, la Nuova Destra con 6 seggi e infine Laburisti-Gesher e Unione Democratica con 5 seggi ciascuno. Secondo questo sondaggio, tutti gli altri partiti non supererebbero la soglia elettorale del 3,25%. In uno scenario di questo tipo, il blocco destra-religiosi potrebbe contare su 55 parlamentari e il blocco di sinistra più Lista (Araba) Congiunta su 57 parlamentari. Il leader di Israel Beytenu, Avigdor Lieberman, rimarrebbe come oggi l’ago della bilancia.

Alla domanda su chi ritengano più adatto al ruolo di primo ministro, il 39% degli intervistati ha indicato Netanyahu, contro il 37% che ha indicato Gantz. Tuttavia, il 52% degli intervistati ha detto di non credere che Netanyahu, incriminato per corruzione, possa rimanere primo ministro, contro il 38% che pensa che può rimanere in carica.

(Da: Israel HaYom, Times of Israel, israele.net, 8.12.19)