Sindrome da Dottrina Ideologica Araba

Combattere Israele e occidente significa essere al di sopra di qualunque critica

Da un articolo di Barry Rubin

image_2039Una delle cose meno capite, in occidente, è il quadro – o forse dovremmo dire la camicia di forza – che esercita l’ideologia dominante nel mondo arabo sulla formulazione del pensiero, dei discorsi, delle alternative politiche. La cosa si manifesta nei minimi scambi di battute, ma – si sa – gli atomi, pur minuscoli, sono quelli che stanno alla base della grande varietà delle cose del mondo.
La si potrebbe chiamare AIDS – Sindrome da Dottrina Ideologica Araba –, una malattia che non minaccia solo il Medio Oriente e che si presenta con andamento endemico sin dagli anni ’50, con ben pochi segnali di cedimento.
Vediamo un piccolo esempio che getta luce su un quadro ben più ampio. Lo scorso 25 febbraio, il ministro libanese Marwan Hamada è stato intervistato dalla Press Tv. È consuetudine che i sostenitori del governo libanese vengano accusati d’essere degli agenti al servizio dell’occidente, un sottinteso che spesso e volentieri viene fatto proprio anche dai mass-media occidentali quando li definiscono “filo-americani”. Sostenere questa accusa a proposito di chiunque non voglia fare la guerra all’America o a Israele, o si opponga alle forze più estremiste, o non gradisca sottostare a governi arabi estremisti, nazionalisti o islamisti, è un’arma comunemente utilizzata per indebolire e screditare tutte le forze arabe non estremiste. Mentre in occidente la qualifica di “moderato” suona come un complimento (gli stati arabi “moderati”, l’Autorità Palestinese “moderata”), nel mondo arabo suona come un insulto, una vera e propria accusa di tradimento.
Infuriato per essere accusato di essere una spia dell’occidente (accusa spesso mossa da Hezbollah a tutti i suoi avversari), Hamada nell’intervista ha risposto dicendo che, se mai c’è una spia che agisce in Libano al servizio di stranieri, questi è il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che “spia per l’Iran”. “Io non sono la spia di nessuno”, ha affermato.
Di fronte alla sarcastica reazione dell’intervistatore, Hamada ha continuato: “Io difendo il mio paese. Difendo la mia indipendenza, difendo la mia democrazia, difendo la mia integrità, e non accetterò che nessuno me impedisca, anche se crede di essere un santo”.
In altri termini, Hamada dice di essere un patriota libanese. E fa ciò che fanno i buoni patrioti: si batte affinché il Libano sia indipendente dal controllo iraniano-siriano, affinché Hezbollah non imponga uno stato islamista a tutti i libanesi, affinché gli interessi del Libano non siano compromessi venendo trascinati in una guerra contro Israele inutile, controproducente e persa in partenza.
In qualunque altra parte del mondo questi sarebbero argomenti convincenti. Un uomo che si batte per gli interessi del suo paese è un patriota. Viceversa, uno uomo – come Nasrallah – che viene finanziato da uno stato straniero(l’Iran), che mira a prendere il controllo della sua patria, e che si batte per gli interessi di un altro paese straniero (la Siria), che ha già dominato e saccheggiato per decenni la sua patria, non è precisamente un eroico patriota. Nasrallah, dopo tutto, è l’agente ufficiale in Libano della suprema guida “spirituale” iraniana, mentre Hamada rappresenta una coalizione formata dalla maggioranza dei libanesi: cristiani, musulmani sunniti, drusi.
Ma non è così che funziona in Medio Oriente. Qui, uno che si comporta come un buon patriota libanese viene percepito come un traditore: dell’arabismo, dell’islam e alla fin fine del Libano stesso, esattamente come vengono considerati traditori gli iracheni che si sono rallegrati per la caduta di Saddam Hussein, e i palestinesi che sono davvero disposti a fare definitivamente la pace con Israele in cambio di uno stato indipendente a fianco dello stato ebraico. Insomma, un mondo alla rovescia.
Così, nel caso di Hamada, l’intervistatore ha ribattuto (o dovremmo dire, ha sbuffato): “Una spia dell’Iran non offrirebbe suo figlio in sacrificio e non verserebbe il proprio sangue sul suolo del Libano, in nome del Libano. Se fosse una spia per l’Iran, non combatterebbe contro Israele sin dal 1982”.
Ma, un momento: Nasrallah combatte sin dal 1982 per prendere il potere in Libano. E se è vero che combatte contro Israele, questo è perfettamente in linea con la politica e gli interessi dell’Iran. Ma l’intervistatore, come molti intellettuali, giornalisti e tanti altri che hanno voce in capitolo nel dibattito pubblico arabo, non la vede affatto così. Per loro, combattere contro Israele significa essere un santo, significa dimostrare autentico amore per il proprio paese, significa essere al di sopra di qualunque critica. Puoi perdere clamorosamente la guerra (come l’egiziano Gamal Abdel Nasser), puoi mandare in rovina il tuo stesso paese (come l’iracheno Saddam Hussein), puoi essere uno spietato dittatore (come i siriani Hafez e Bashar Assad), puoi condurre il tuo popolo alla catastrofe (come il palestinese Yasser Arafat), puoi essere straordinariamente corrotto (come questi e tutti gli altri): ma tutto ciò non avrà importanza finché combatti contro Israele e l’occidente.
Hamada e altri come lui stanno cercando di superare questo riflesso automatico, ma è una strada tutta in salita. Conclude lo stesso Hamada: “Chi, a parte colui che lui ritiene il Padreterno, ha dato a Nasrallah l’autorità per lanciare il Libano da solo in questa guerra? Io lo accuso di sacrificare il proprio figlio”. E, per stare al gioco, aggiunge il suo appello alla lotta contro Israele, purché non soltanto dal suolo libanese: “Perché non va a combattere dai veri territori arabi occupati, in Palestina e sulle alture del Golan?”
Naturalmente Hamada ha ragione. Ma questo non significa che il suo argomento possa convincere. Se la questione centrale è e resta quella dell’onore, e non i vantaggi materiali, e se combattere Israele e occidente resta la priorità assoluta, il fatto che questa politica porti alla sconfitta, alla bancarotta, alla tirannia e al disastro generale resta del tutto irrilevante.
Nonostante la presenza di coraggiosi dissidenti che respingono questa dottrina, essa domina tuttora nel mondo arabo: un dato di fatto perfettamente compreso da tutti gli arabi, ma solo da pochi in occidente. Ecco perché pace, moderazione e pragmatismo, qui, non possono ancora prevalere.

(Da: Global Research in International Affairs Center, Interdisciplinary Center, Herzliya, 1.03.08)

Nella foto in alto: Gaza, 6 marzo – Scene di tripudio palestinesi per la strage di 8 studenti israeliani a Gerusalemme
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