Un dilemma al Monte del Tempio

Tra esaltati ebrei “terzo-templari” e musulmani negatori di diritti ebraici

Editoriale del Jerusalem Post

image_2645È un dilemma per l’israeliano medio: come non capitolare di fronte alle violenze arabe sul Monte del Tempio – istigate dal timore irrazionale di complotti sionisti contro la sovrastante spianata delle Moschee – e nel contempo non incoraggiare gli insignificanti gruppi ebraici che febbrilmente aspirano a rendere reali i peggiori incubi degli arabi?
I “templari” israeliani del terzo tempio non sembrano curarsi più di tanto delle conseguenze dell’attizzare una apocalittica guerra religiosa con la civiltà islamica: 56 paesi, un miliardi e mezzo di fedeli che adesso per lo più stanno ai margini del conflitto arabo-israeliano.
Per la tradizione ebraica il Monte, sede del Tempio di Salomone (e dell’Arca dell’Alleanza) e successivamente del secondo Tempio costruito dagli ebrei al ritorno dall’esilio babilonese, serba un’intrinseca sacralità. Risalgono a secoli addietro le divergenze fra varie autorità della Torah circa se e quali porzioni della spianata del Tempio possano essere percorse senza calpestare il sacro suolo del Santo dei Santi. Ancora oggi la maggior parte degli ebrei ultra-ortodossi evita del tutto la zona. In ogni caso, per tutti coloro che si considerano parte della collettività ebraica indipendentemente dalle varie convinzioni confessionali o politiche, il Monte incarna il cuore della civiltà del passato condiviso.
Nel 638 gli invasori arabi sconfissero i cristiani bizantini (eredi dell’impero romano), assumendo il controllo del paese. Nell’arco di cinquant’anni costruirono la Cupola della Roccia per custodire la sacra pietra che per i musulmani coincide con il luogo dove Abramo preparò il sacrificio di Ismaele (non di Isacco). In seguito venne costruita la moschea di al-Aqsa, all’estremità meridionale della spianata.
Dopo che Israele conquistò l’area alla Giordania nel 1967, Moshè Dayan decise d’essere magnanimo nella vittoria confermando l’amministrazione del sito da parte della Custodia religiosa musulmana (Waqf). Agli ebrei, cui in precedenza era stato proibito l’accesso ai loro luoghi sacri, venne permesso di salire al Monte negli orari di visita. In osservanza della tradizione ebraica e nella consapevolezza della sensibilità musulmana, venne comunque vietato agli ebrei di condurre servizi religiosi nell’area.
Sembrava il compromesso perfetto, che permetteva ai musulmani di pregare nei due santuari, come loro abitudine, e agli ebrei (così come ai turisti di ogni altra fede) di visitare il luogo in silenziosa meditazione e ispirazione. All’epoca l’establishment ortodosso, in tutta la gamma dall’ultraortodossia al sionismo, si dichiarò contrario a che gli ebrei salissero sul Monte.
Oggi, però, un composito insieme composto da coloni rabbini per lo più post-sionisti, seguaci messianici del defunto rabbino Lubavitcher e devoti “terzo-templari” – spalleggiato da un’infarinatura di parlamentari ultra-ortodossi – si è raggruppato nel cercare di “forzare la mano del Signore”. All’apparenza chiedono alle masse ebraiche di salire al Monte per affermarvi il diritto a una presenza ebraica; noi sospettiamo che molti di loro vogliono in realtà “far sparire” i santuari musulmani, innalzare un “tempio ebraico” e riprendere la pratica dei sacrifici animali.
Di qui il dilemma: ripiegare dal Monte del Tempio lasciando che si imponga l’intimidazione e sopraffazione araba, oppure affermare i diritti degli ebrei rischiando di incoraggiare la brigata di estremisti ebrei ebbri di una tossica pozione di devozione e politica?
Certo, che persino un palestinese “moderato” come Mahmoud Abbas (Abu Mazen) rifiuti il dato di fatto che il Monte del Tempio è santo per gli ebrei non fa che complicare ulteriormente il pasticcio.
Un approccio possibile sarebbe che il governo israeliano ricordasse esplicitamente al Waqf che il suo ruolo amministrativo sul Monte deriva dall’autorità conferitagli dallo stato ebraico. Purtroppo successivi governi israeliani hanno abdicato alla loro responsabilità trascurando di monitorare da vicino il trattamento riservato dal Waqf ai visitatori ebrei e, cosa ancora più preoccupante, chiudendo gli occhi quando i musulmani hanno condotto sul Monte imponenti lavori di scavo non autorizzati. Parallelamente vorremmo sentir denunciare chiaramente dal primo ministro Benjamin Netanyahu come pura follia le gesta di quelli che si agitano per la costruzione del Terzo Tempio sulle ceneri dei santuari musulmani. Netanyahu dovrebbe togliere ogni dubbio a chiunque creda che le buffonate di questi “terzo-templari” godano del minimo sostegno da parte della destra israeliana sana di mente.
Data l’endemica intransigenza palestinese e la prontezza con cui ricorrono alla violenza – anche, va sottolineato, attraverso la malevola escalation delle tensioni sul Monte del Tempio – è facile cadere nella tentazione di sottovalutare tutte le loro rimostranze su Gerusalemme. A volte, invece, è necessario esercitare una misura in più di sensibilità. I palestinesi non hanno tutti i torti quando lamentano che le autorità municipali avanzano richieste non sempre ragionevoli nel momento in cui devono rilasciargli licenze edilizie, mentre d’altro canto permettono la costruzione di abitazioni ebraiche disseminate all’interno di quartieri arabi densamente popolati (e senza alcun significato per la sicurezza).
In ultima analisi, il miglior modo in cui si può manifestare la sovranità israeliana sulla città è garantendo un eguale livello di servizi municipali a tutti gli abitanti di Gerusalemme che pagano le tasse, pretendono nel contempo un eguale rispetto della legge da parte di tutti.

(Da: Jerusalem Post, 27.10.09)