Un governo che risponde alle attese dell’elettorato

Qualcosa di importante è accaduto in Israele.

Due commenti dalla stampa israeliana

image_3688L’INSEGNAMENTO DI BENJAMIN FRANKLIN
Di Sherwin Pomerantz
Ci sono occasioni, come oggi, in cui sento la mancanza del processo politico del mio paese natale, gli Stati Uniti d’America.
Ieri si è insediato il 33esimo governo israeliano, un governo che a me pare riflettere bene ciò che gli elettori hanno detto chiaro e forte il giorno delle elezioni, lo scorso gennaio, e cioè:
– oggi non c’è persona più adatta di Benjamin Netanyahu a ricoprire la carica di primo ministro;
– ma c’è anche delusione per certi aspetti della sua gestione del paese, per cui spuntiamogli un po’ le ali e non diamogli un mandato tanto forte quanto quello che aveva avuto alle elezioni precedenti;
– è tempo che vi siano alla Knesset volti nuovi, per cui su 120 parlamentari eleggiamone 43 che non sono mai stati eletti prima e non sono affiliati a qualche grosso papavero politico, e vediamo come se la cavano;
– siamo preoccupati per come affrontare nel modo migliore il fatto che Israele, fra tutti i paesi Ocse, è quello con la più alta percentuale di persone che non lavorano pur avendo i requisiti per far parte della forza-lavoro, un nodo da sciogliere se si vuole mantenere un’economia stabile;
– forse è giunta l’ora per una coalizione di governo che non includa i partiti religiosi ultra-ortodossi e che inizi ad affrontare la questione di una più chiara separazione fra stato e religione.
Questa naturalmente è la mia personale interpretazione, anche se il posizionamento di due partiti nuovi di zecca al secondo (Yesh Atid) e al terzo posto (HaBayit HaYehudi) e la riduzione dei seggi subita dal primo classificato (Likud-Beitenu) sembrano corroborare questa mia lettura.
Dopo settimane spese a mettere insieme la coalizione, oggi i giornali riportano i particolari di un governo fortunatamente ridotto nel numero di ministri rispetto a quello precedente (il che farà risparmiare milioni di dollari a quelli di noi che pagano le tasse). Ci si aspetterebbe che stampa e opinione pubblica facciano al nuovo governo i migliori auguri. Eh, ma siamo in Israele e la tradizione, qui, è opposta a quella degli Stati Uniti. Negli Stati Uniti la gente, dopo un’elezione, si mette insieme per il bene della comunità allo scopo di far progredire il settore pubblico. Purtroppo in Israele vige l’approccio esattamente contrario, per cui quelli che hanno perso le elezioni si adoperano al massimo per dimostrare a quelli che le hanno vinte che hanno commesso un tragico errore. Venerdì scorso, ad esempio, i giornali della comunità ultra-ortodossa titolavano a tutta pagina: “Un cattivo governo”, dopo che era stato annunciato che i partiti religiosi sarebbero rimasti all’opposizione. Stamattina il quotidiano Ha’aretz, esaminando i nuovi ministri, definiva maliziosamente il rabbino Shai Peron, membro di Yesh Atid e nuovo ministro dell’istruzione, come “uno che finora ha gestito solo una yeshivà e che d’ora in poi avrà la responsabilità sull’intero sistema educativo”, come se dovesse risultare chiaro a tutti che fallirà nella sua missione. Ovviamente si tratta dello stesso quotidiano che quattro anni fa celebrava la nomina di Yuval Steinitz a ministro delle finanze, anche se l’interessato non aveva nessuna esperienza nel ramo. Insomma, quasi tutti i mass-media stanno già pronosticando che il nuovo governo sarà ingovernabile e che avrà vita breve.
Che tristezza. E che peccato che questo paese, diventato l’invidia del mondo (persino dei suoi nemici) quando si tratta di successi nell’innovazione tecnologica, non riesca a maturare nella sfera politica al punto in cui, in nome dell’interesse nazionale, si applaude, si sostiene e si incoraggia l’avvio di un nuovo governo indipendentemente dalla propria eventuale delusione personale.
Benjamin Franklin una volta ha detto: “Qualsiasi sciocco è capace di criticare, condannare e lamentarsi, e la maggior parte degli sciocchi lo fanno”. È un insegnamento che il nostro elettorato dovrebbe introiettare per il bene ultimo dello stato di Israele, compimento della promessa fatta dal Signore a coloro che fece uscire dall’Egitto tanti anni fa.
(Da: Times of Israel, 19.3.13)

È TORNATA LA VOCE DELLA RAGIONE
Di Merav Betito
Nello stato ebraico la gente non è mai soddisfatta: è una vecchia abitudine legata alla sorte di aspettative sempre sproporzionate, il vecchio residuo di una storia politica antica e nuova. Sarà sempre più facile, per noi, discettare di delusioni, aspettative frustrate, promesse disattese, speranze infrante, dal momento che è sempre meglio mettere in conto il peggio. Ma se le cose stanno così, a che serve? Perché partecipiamo alle elezioni e ci facciamo trasportare dalla prospettiva di un futuro migliore se poi, quando ne otteniamo un po’, torniamo subito a infilarci le nostre vecchie pantofole e a lagnarci “noi volevamo di più”, seduti nella nostra consunta poltrona?
Qualcosa di importante è accaduto in Israele, e per la prima volta da molti anni sembra che nella politica sia tornata la voce della ragione. Gli esempi non mancano. Il ministro dell’istruzione è una persona di cultura, il ministro per gli affari sociali è un residente della periferia, il ministro delle finanze è la persona che si è impegnata a rendere la vita più facile al ceto medio che sopporta il peso delle tasse, il ministro degli interni è un laico della nostra generazione preparato sui diritti civili, il ministro dell’economia conosce un paio di cosette in fatto di libero mercato, il ministro dei pensionati è una persona che crede nel principio “onora il padre e la madre”, il ministro per le comunicazioni è una persona profondamente consapevole della reale importanza di una stampa libera, il ministro della giustizia, quello dei trasporti, quello della cultura e dello sport sono persone che conoscono bene i rispettivi ministeri per avervi già prestato servizio in precedenza.
Di più. Ancor prima della legge di bilancio, entro quarantacinque giorni dalla nascita del nuovo governo dovrebbe essere approvata una legge sull’equa ripartizione degli oneri nazionali, che aprirà le porte all’ingresso vero e proprio della popolazione ultra-ortodossa nella società israeliana.
Si possono sollevare riserve su ciascuno di questi risultati. Si può aggrottare la fronte per ciascuna di queste innovazioni e lamentarsi che le cose potevano essere migliori. La realtà è una cosa complicata, come impara ogni ragazzino che prende un 8 quando si aspettava un 10. Ci sarà tutto il tempo per restare delusi, ma adesso possiamo tutti guardare al nuovo governo con soddisfazione, sebbene con riserva, e dire a noi stessi: in effetti, il bicchiere è solo mezzo pieno, ma certamente siamo riusciti a chiudere un bel po’ dei buchi.
(Da: YnetNews, 19.3.13)

Nelle foto in alto: Sherwin Pomerantz e Merav Betito, autori di questi articoli