Un solo colpo su un asilo è già un colpo di troppo

I prevedibili appelli alla moderazione israeliana non aiutano la calma e la pace

Editoriale del Jerusalem Post

Il campo sportivo di Netivot colpito da un razzo palestinese sparato da Gaza martedì notte

L’escalation di attacchi dalla striscia di Gaza di questa settimana costituisce un preoccupante promemoria del fatto che la calma è sempre fragile, in questa regione. Martedì, decine e decine di razzi e colpi di mortaio hanno colpito le comunità israeliane, centrando fra l’altro un asilo d’infanzia fortunatamente poco prima che vi arrivassero i bambini. Il giorno precedente, diverse case di Sderot erano state bersagliate da raffiche di mitragliatrice esplose da Gaza.

Nessuno si è veramente sorpreso per questa escalation. Hamas ha cercato in tutti i modi di imporre di nuovo la striscia di Gaza all’ordine del giorno della comunità mondiale. Ci ha provato con la “Grande marcia del ritorno”, ma con un successo relativamente  limitato. Fomentare una guerra con Israele potrebbe fare al caso. Le notizie più attendibili attribuiscono l’ultima ondata di attacchi alla Jihad Islamica, un’organizzazione terroristica che opera con il diretto sostegno iraniano e il cui stesso nome dice tutto. E’ chiaro, tuttavia, che Hamas può sempre decidere se alimentare le fiamme oppure frenare le attività terroristiche.

Esiste una tendenza a considerare i colpi di mortaio e di mitragliatrice come pericoli “meno gravi”. E’ un grave errore. In passato i proiettili di mortai da Gaza hanno ucciso degli abitanti dei kibbutz nel sud di Israele. A differenza del lancio di un razzo, per il quale di solito restano alcuni secondi di preavviso per cercare di mettersi al riparo, i proiettili di mortai colpiscono senza che possa scattare in tempo la sirena d’allarme. Le bombe di mortaio saranno anche considerate “primitive”, specie in confronto a razzi e missili a più lunga gittata, ma dobbiamo chiederci: forse che la vita di un abitante di Sderot o di un kibbutz come Nir Am ha meno valore della vita di un abitante di Ashkelon o Tel Aviv?

Nel caso in cui un colpo di mortaio mutilasse o uccidesse qualcuno, la reazione d’Israele sarebbe per forze di cosa molto più seria e la situazione potrebbe rapidamente degenerare: uno sviluppo particolarmente problematico a fronte di un nemico come Hamas e Jihad Islamica che usa sistematicamente la propria popolazione come scudi umani. Queste organizzazioni terroristiche fondate sul culto del martirio vogliono il sangue, che sia palestinese o israeliano. Sono felicissime se civili o militari israeliani vengono uccisi (ogni volta che accade celebrano la cosa con aperte scene di tripudio), ma considerano una vittoria anche una reazione israeliana che causi vittime fra i palestinesi di Gaza (non importa se membri delle organizzazioni terroristiche o innocenti colpiti per errore), giacché rappresenta la possibilità di riportare la “questione palestinesi” sotto i riflettori di tutto il mondo, dipingere Israele come il cattivo e invocare ulteriori finanziamenti internazionali.

Una casa israeliana colpita da un razzo palestinese sparato da Gaza mercoledì mattina

La tensione di questi giorni può evolvere in entrambe le direzioni: verso un’ulteriore escalation o verso un altro tacito e nervoso cessate il fuoco. Hamas non si sta attribuendo apertamente questi attacchi, ma siccome sin dal 2007 ha il pieno controllo sulla striscia di Gaza, non può che essere considerata responsabile. Detto questo, sono parecchi i soggetti internazionali che tirano le fila a Gaza, tra cui l’Iran, la Turchia e il Qatar. Analogamente, qualsiasi tentativo di calmare la situazione deve includere l’Egitto, che confina con la parte sud della striscia di Gaza, e l’Autorità Palestinese, che è controllata da Fatah: il nemico giurato di Hamas, in larga misura responsabile delle pesanti condizioni di vita con cui devono fare i conti gli abitanti di Gaza. Esiste una crescente pressione su Israele perché faccia concessioni a Hamas per alleviare la situazione nella striscia. Israele svolge indubbiamente un ruolo, ma non è quello principale. Israele si è ritirato completamente da Gaza nel 2005, sgomberando circa 8.000 residenti ebrei. Oggi ci sono solo due soldati israeliani a Gaza, Hadar Goldin e Oron Shaul: entrambi uccisi nel 2014 durante l’operazione anti-terrorismo di quell’estate. I loro corpi sono stati sequestrati attraverso un tunnel terroristico e da allora sono trattenuti come “merce di scambio”. Vi sono anche due civili israeliani, due persone con problemi mentali che sono entrate nella striscia di Gaza di loro volontà, ma che da allora vi sono trattenute a forza da Hamas come ostaggi. Nessuna soluzione per Gaza sarà possibile senza il loro ritorno in Israele e la restituzione dei corpi alle famiglie Goldin e Shaul.

Quello che non si può chiedere a Israele, e che Israele non può permettersi, è di rinunciare alla sua deterrenza. Il mondo ha fatto spallucce quando i palestinesi hanno iniziato a lanciare da Gaza decine e decine di aquiloni incendiari che hanno appiccato vasti incendi, che causano danni economici e ambientali enormi e mettono a rischio beni e vite dei civili israeliani in tutta l’area. Questa settimana, dalla parte sud della striscia di Gaza è stato lanciato un drone carico di esplosivi. Martedì, i residenti hanno dovuto subire una pioggia di razzi e colpi di mortaio. Il mondo sarà anche distratto da altro, ma Israele semplicemente non può permettere che questo stato di cose continui.

Israele non vuole la guerra, ma senza deterrenza la guerra prima o poi scoppia inevitabile. Ovviamente si sentiranno appelli alla moderazione israeliana. Ma la domanda da porsi non è quanto sia appropriata o “proporzionata” la reazione israeliana. La domanda è come possa il mondo ritenere tollerabile che anche un solo colpo di mortaio o un solo razzo vengano sparati su un asilo d’infanzia. Anche dopo la reazione di Israele, il mondo dovrebbe mostrarsi compatto contro l’aggressione di Hamas. Questo sì che significherebbe schierarsi a favore della calma e della pace.

(Da: Jerusalem Post, 30.5.18)