Una calunnia del sangue dell’era digitale

Come nel medioevo, c’è chi non esita a diffondere le accuse più infamanti sul conto degli ebrei israeliani

Di Jack Mendel

Jack Mendel, autore di questo articolo

Si pensa che la calunnia del sangue, che accusa gli ebrei di macchiarsi regolarmente dell’assassinio di bambini non-ebrei, sia una paranoia storicamente confinata al cristianesimo medievale. Ma nel nostro mondo digitale un semplice tweet può avere lo stesso devastante impatto.

Sabato scorso, l’ex parlamentare britannico George Galloway è andato su Twitter e ha detto ai suoi 342.000 seguaci che gli israeliani avevano ucciso un bambino, nonostante fossero già disponibili ampie prove che si trattava di un tragico incidente. L’istigatore politico Galloway ha twittato (con tanto di foto): “Questo bambino, di 7 anni, è stato appena ripescato morto da un pozzo a Gerusalemme, assassinato da coloni israeliani illegali. Qualcuno al potere piangerà oggi con sua madre e suo padre? Qualcuno frenerà questa furia malvagia contro il popolo di Palestina? Qualcuno?”. E ha aggiunto: “Vi consiglio vivamente di bloccare i troll (provocatori su internet, ndr) israeliani: molti di loro sono pagati per agganciarvi e confondervi”.

Finora il suo tweet iniziale ha ottenuto più di 5.700 retweet in meno di 24 ore. E Galloway ha fissato il suo tweet in cima al suo feed. Lo ha fatto nonostante la nota esponete palestinese Hanan Ashrawi, membro del Comitato esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, che aveva condiviso un messaggio analogo, abbia onestamente dichiarato: “Mi scuso per aver ritwittato qualcosa che non è stato interamente verificato. A quanto sembra, la notizia del rapimento [del bambino] non è certa”.

Il tweet di George Galloway

Ma prima di queste scuse, Rashida Tlaib, una deputata americana anti-israeliana con una grande influenza negli Stati Uniti e quasi 900.000 followers, aveva già ritwittato il primo messaggio della Ashrawi (la parlamentare Usa Tlaib ha poi cancellato il suo tweet senza spiegazioni né scuse, ndr).

Ha’aretz ha riferito che il ragazzino, Qusai Abd Abu Ramileh, è morto dopo essere accidentalmente caduto in serbatoio pieno d’acqua, ed ha aggiunto che i famigliari, che inizialmente avevano sostenuto che il bambino era stato rapito mostrando il video di una telecamere di sicurezza dove sembrava salire su un’auto con un uomo non identificato, hanno poi smentito. Lo stesso padre di Abu Ramileh ha detto alla polizia israeliana che il ragazzino che compare nel filmato non è suo figlio.

Quindi George Galloway dovrebbe cancellare il suo tweet e scusarsi, come ha fatto Ashrawi. Ma non lo fa. Anzi, non ha nemmeno tolto il tweet calunnioso dalla testa del suo feed, che sarà visto da migliaia di svitati. Così la falsa e infamante notizia non viene solo condivisa. Le viene anche data ulteriore visibilità e può diffondersi e incardinarsi come se fosse un dato di fatto. Quante delle persone che la vedranno, vedranno anche le smentite, le ritrattazioni e le scuse postate poco dopo? E anche se le vedessero, che probabilità ci sono che le prendano sul serio se sbugiardano clamorosamente George Galloway?

È esattamente così che prendono piede le calunnie antisemite su presunti crimini e complotti degli ebrei. Siamo di fronte a una calunnia del sangue dell’era digitale, e senza dubbio qualche povero di spirito, che ha letto di malvagi ebrei che uccidono per pura cattiveria un bambino palestinese, penserà di vendicarlo.

Chiunque abbia un minimo di influenza pubblica ha il dovere di assumersi la responsabilità dei materiali che condivide e rilancia in internet, e quelli che diffondono deliberatamente voci calunniose dovrebbero essere chiamati a risponderne.

(Da: Times of Israel, 26.1.20)

Si veda anche (in inglese):
Israel is always guilty – even of natural disasters – libel in official PA daily
Israele è sempre colpevole, anche delle calamità naturali. Lo scorso 19 gennaio il quotidiano ufficiale dell’Autorità Palestinese Al-Hayat Al-Jadida ha accusato “le forze di occupazione” d’aver “aperto le dighe per la raccolta dell’acqua piovana in direzione delle terre civili nella parte orientale della città di Gaza”, causando estesi allagamenti di aree agricole. Il quotidiano palestinese citava persino “un testimone oculare” che affermava d’aver visto che Israele “apriva deliberatamente le dighe” per causare l’inondazione. “Un testimone oculare dalla vista straordinaria – commenta Palestinian Media Watch – dal momento che nel sud di Israele semplicemente non esistono dighe che possano essere aperte”. (Da: palwatch.org, 20.2.20)