Una strada senza ritorno

Il mondo non permetterà mai a Israele di riprendere il controllo su un qualunque territorio da cui venisse attaccato, foss’anche nella più difensiva delle guerre

Di Barry Shaw

Barry Shaw, autore di questo articolo

Barry Shaw, autore di questo articolo

Sapete quale sarebbe uno dei più gravi problemi, se Israele dovesse incautamente accettare di cedere territorio a un nuovo, aggressivo stato palestinese? Il problema è che non vi sarebbe alcuna possibilità di tornare indietro. Il mondo non permetterà mai a Israele di riconquistare un qualunque pezzo di territorio, foss’anche nella più difensiva delle guerre.

Ma perché Israele dovrebbe cedere alle pressioni internazionali senza una chiara garanzia del suo diritto di riprendere territori, se da quei territori venisse attaccato? Mark Langfan, un esperto di sicurezza nazionale, non è riuscito a ottenere una risposta adeguata da nessuno dei maggiori esperti di sicurezza nazionale d’Israele a domande del tipo “cosa accadrà se…” relative all’accordo di pace con i palestinesi.

Ad esempio, poniamo che Israele accetti di cedere territori fino alle linee pre-’67 linee, compresi alcuni scambi minori di territorio. Cosa accadrà se la dirigenza palestinese terrà fede alla minaccia di cercare di eliminare ciò che resta del “regime sionista”? Cosa accadrà se il futuro stato arabo-islamico di Palestina cadrà sotto il controllo di forze estremiste, che poi decidono di prendere di mira Israele? Cosa accadrà se missili e razzi verranno sparati verso l’aeroporto internazionale Ben-Gurion e nessuna compagnia aerea oserà più volare in Israele? Cosa accadrà quando missili e razzi inizieranno ad abbattersi su obiettivi sensibili a Tel Aviv dalle alture della Cisgiordania che dominano la sottile pianura di quel che resterà dello stato di Israele, dove il 70% della popolazione israeliana vivrà ormai rannicchiato nella paura?

L’aeroporto internazionale Ben Gurion visto dal futuro stato palestinese (nell’ovale rosso, un aereo in decollo)

Come ha notato ai primi di gennaio il senatore Usa Lindsey Graham in una conferenza stampa a Gerusalemme dopo un incontro con il primo ministro Benjamin Netanyahu, “una volta che vi sarete ritirati, l’eventualità di tornare indietro sarà pressoché impossibile”.

Saremmo autorizzati a invadere uno stato sovrano per legittima difesa? Sì, in teoria, ma solo a precise condizioni (e figuriamoci le reazioni internazionali…). E comunque il diritto internazionale richiederebbe che ci ritirassimo entro un tempo estremamente limitato. Per cui ci ritroveremmo nella stessa situazione in cui ci troviamo ora rispetto alla striscia Gaza, dove né invadere né rispondere agli atti aggressivi ci garantisce alcuna tranquillità duratura (né alcuna comprensione internazionale). Saremo sospesi in una sorta di limbo, tra crisi di nervosa tensione mentre i nostri nemici accumuleranno arsenali di armamenti sempre più sofisticati e letali, come vediamo fare oggi da Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza, finché non si sentiranno pronti per lanciare, per l’ennesima volta, sanguinosi attacchi contro il cuore stesso del nostro stato ridotto ai minimi termini.

Interpellato da Langfan, persino Amos Yadlin, capo dell’Istituto di Studi sulla Sicurezza Nazionale, considerato uno dei principali consiglieri del governo sulla sicurezza d’Israele, non ha saputo rispondere adeguatamente al quesito su quale sarebbe la risposta politica e militare di Israele a fronte di una vita condotta sotto la continua e crescente minaccia di azioni aggressive, stragi, devastazioni di infrastrutture. Cosa sarebbe permesso e cosa proibito, a un Israele sotto attacco?

Molti esperti e opinionisti si sono cimentati nell’elencare le concessioni che Israele potrebbe o non potrebbe fare per arrivare a un accordo sul futuro stato palestinese. Ma nessuno dice quali sarebbero le legittime reazioni di Israele nel caso in cui il nuovo stato palestinese dovesse lanciare azioni belliche o terroristiche contro un Israele rimpicciolito.

L'area metropolitana di Tel Aviv vista dalle colline di Samaria (Cisgiordania)

L’area metropolitana di Tel Aviv vista dalle colline di Samaria (Cisgiordania)

La risposta di Ziad Asal, fondatore di un gruppo pro-palestinese a Washington, e che Israele non deve preoccuparsi per la sicurezza perché lo stato palestinese indipendente porrebbe fine al conflitto. Possiamo credergli, con Hamas in attesa tra le quinte e l’Iran in agguato dietro l’angolo?

Il Segretario di Stato Usa John Kerry garantisce l’impegno dell’America per la sicurezza di Israele. Ma dove sarà quando i missili a corto e medio raggio cominceranno a cadere su Gerusalemme, Tel Aviv, Netanya e Haifa? Che faranno esattamente l’America e l’Occidente davanti a un tale scenario? Quello che hanno fatto finora davanti ai razzi dalla striscia di Gaza e dal sud del Libano?

 La minaccia di razzi a corto raggio dalla Cisgiordania sui centri abitati israeliani

La minaccia dei razzi a corto raggio dalla Cisgiordania sui centri abitati israeliani (clicca l’immagine per ingrandire)

La realtà è che all’opinione pubblica israeliana non viene data nessuna risposta soddisfacente rispetto a questo plausibilissimo scenario: né dai politici israeliani, né dai generali, né certamente dai vari esperti di sicurezza nazionali e internazionali. La verità è che nessuno può dare una risposta. L’unica cosa che ci sentiamo dire dai nostri politici è che lo stato palestinese sarà smilitarizzato (cosa che peraltro i palestinesi rifiutano). Davvero un po’ poco, specie se si considera che in Medio Oriente non ci sono solo i palestinesi.

Gli israeliani hanno diritto a risposte assolutamente chiare su questo punto estremamente importante, prima che gli venga chiesto di assumersi rischi e pericoli vitali in nome della pace. Questa in fondo è la preoccupazione principale che impedisce a tanti israeliani di accettare serenamente l’idea di una soluzione “a due stati”. Tutti quelli con cui ho parlato che sono favorevoli a cedere “terra in cambio di pace” non sembrano aver considerato attentamente il potenziale rovescio della medaglia di un tale accordo. Delegano allegramente il rompicapo a chi è al potere: un atteggiamento ingenuo e auto-illusorio.

Il mondo accetterebbe la reazione d’Israele a un qualsiasi atto aggressivo dal nuovo vicino? E in che misura? In base al solenne impegno del nuovo stato palestinese di non praticare né permettere violenze, potrebbe Israele dichiarare il proprio diritto di riprendere il controllo su territori in cui fosse violato tale impegno? La comunità internazionale accetterebbe e sosterrebbe tale posizione? E’ altamente improbabile, alla luce dei precedenti.

Se il futuro Stato palestinese finisse sotto il controllo di Hamas o qualcosa di peggio, per via violenta o per via democratica fa poca differenza, e cominciasse a lanciare azioni violente contro Israele, in base al diritto internazionale sarebbe legittimato lo stato ebraico a invadere il vicino e rimuovere la dirigenza nemica? Quasi certamente no.

Nella migliore delle ipotesi il Consiglio di Sicurezza si precipiterebbe a chiedere “la cessazione immediata di ogni violenza”, “il ritiro di tutte le forze” (cioè di Israele) ecc. Eventuali truppe straniere di peace keeping, siano esse dell’Onu o della Nato, si terrebbero in disparte, come è sempre successo in passato: dal Sinai, al Libano, al corridoio fra Gaza ed Egitto. Non servirebbero per proteggere nessuna delle parti, né Israele né lo stato palestinese. Manca totalmente un preciso impegno o una chiara garanzia da parte della comunità internazionale su come intenda proteggere gli israeliani e la sovranità israeliana nel caso la nuova Palestina, che fanno di tutto per imporre a Israele, dovesse diventare uno stato canaglia e fuorilegge o uno stato“fallito” (in preda all’anarchia).

Quali clausole prevedrà l’accordo di pace, nel caso in cui lo stato palestinese dovesse continuare con la tattica del terrorismo che mette a repentaglio l’esistenza dello stato ebraico e dei suoi abitanti? La soluzione “a due stati” è essenziale per qualsiasi leader palestinese che voglia dare avvio all’autodeterminazione dei palestinesi, ma dov’è l’elemento essenziale dell’autodifesa d’Israele qualora un regime palestinese dovesse portare avanti il piano per l’eliminazione d’Israele per tappe successive?

Da qualunque parti la si guardi, la stragrande maggioranza della popolazione d’Israele è chiaramente destinata a un futuro di terrore, dopo la nascita di uno stato palestinese sulle alture che sovrastano la parte più popolosa ed esposta dello stato ebraico.

(Jerusalem Post, 19.2.14)

Si veda anche: Ma quanto vale la firma su un pezzo di carta? e Linee del ’67: a un tiro di schioppo

Per il testo del “Piano a fasi” dell’Olp (1974) e un suo inquadramento, si veda: IL PIANO A FASI PER LA DISTRUZIONE DI ISRAELE, in: Tutto Israele è “Palestina” per il movimento guidato da Abu Mazen