Arafat sotto indagine dellFBI per omicidio

WorldNet Daily riferisce che è sospettato daver ordinato a sangue freddo luccisione di due diplomatici Usa a Khartoum nel 1973

image_365Riferisce WorldNet Daily che l’FBI ha aperto un’inchiesta sul coinvolgimento del leader dell’Olp Yasser Arafat nell’assassinio di due diplomatici statunitensi in Sudan nel 1973.
Secondo il servizio, agenti dell’FBI stanno raccogliendo nuove prove sulle responsabilità di Arafat nell’attacco dell’1 marzo 1973 con il quale membri dell’organizzazione terroristica palestinese Settembre Nero, affiliata al movimento Fatah presieduto da Arafat, occupò l’ambasciata saudita a Khartoum (Sudan), a quanto pare su ordine dello stesso Arafat, prendendo in ostaggio l’ambasciatore americano Cleo Noel, l’incaricato d’affari George Curtis Moore e altre persone. Il giorno successivo Noel, Moore e il diplomatico belga Guy Eid vennero assassinati a freddo dai sequestratori.
Bill McDermott e Kathleen Reed, due agenti del dell’FBI di Washington, sono recentemente volati a Portland per intervistare James J. Welsh, analista dell’Agenzia di Sicurezza Nazionale al tempo dei fatti.
Welsh ha raccontato d’aver intercettato a suo tempo una comunicazione trasmessa da Arafat riguardante un’imminente operazione a Khartoum, e sostiene che la l’Agenzia di Sicurezza Nazionale aveva i nastri in cui Arafat ordinava l’esecuzione. La vicenda è stata riferita per la prima volta da WorldNet Daily nel 2001.
“Mi hanno chiamato dicendo che stavano riaprendo una vecchia indagine per omicidio – racconta Welsh – Ho incontrato gli agenti per diverse ore, ho fornito loro un dettagliato resoconto di tutto ciò che è successo e ho consegnato loro copie originali di un sacco di materiale e di corrispondenza che ho accumulato nel corso degli anni. Dovevano restituirmi il tutto, ma sto ancora aspettando”.
Welsh dice d’aver dettagliatamente riferito agli agenti la comunicazione che egli intercettò da parte di Yasser Arafat, e come, nel giro di pochi minuti, il direttore dell’Agenzia di Sicurezza Nazionale venne informato e di come venne presa la decisione di mandare un eccezionale messaggio “FLASH” – massima priorità – all’ambasciata Usa a Khartoum attraverso il Dipartimento di stato, avvertendo di un possibile attentato. Ma, ricorda Welsh, il messaggio non giunse in tempo all’ambasciata. Qualcuno, in qualche punto tra Agenzia di Sicurezza Nazionale e il Dipartimento di stato, decise che l’avvertimento era troppo vago e il grado d’urgenza dell’allarme venne abbassato. Il giorno successivo ebbe luogo l’attacco di Settembre Nero. Dopo 26 ore di intensi negoziati (i terroristi pretendevano la liberazione dalle carceri giordane di molti palestinesi, fra i quali Abu Daoud, un leader di Settembre Nero; il rilascio di Sirhan Sirhan, l’assassinio di Robert Kennedy, dal suo carcere californiano; e la liberazione di “donne palestinesi dalle prigioni israeliane”) i due diplomatici americani vennero assassinati.
Da molte parti è stato sostenuto che Arafat avesse personalmente mandato ai terroristi via radio l’ordine di eseguire l’esecuzione: “Perché state aspettando? Il sangue della gente nel Cold River chiede vendetta”. Cold River sarebbe stata la parola in codice per l’uccisione dei sequestrati.
Le registrazioni di quella chiamata fatte dall’Agenzia di Sicurezza Nazionale sarebbero sparite.
A quanto risulta, Arafat avrebbe poi ordinato agli otto uomini del commando di arrendersi senza opporre resistenza alle autorità sudanesi. Due di loro vennero rilasciati subito per “mancanza di prove”. Più tardi, nel giugno 1973, gli altri sei vennero dichiarati colpevoli di assassinio di diplomatici, condannati all’ergastolo ma rilasciati 24 ore dopo e riconsegnati all’Olp.
Durante il processo, il loro capo Salim Rizak, noto anche come Abu Ghassan, dichiarò alla corte: “Abbiamo compiuto questa operazione su ordine dell’Olp e possiamo essere giudicati solo dall’Olp”.
Dopo aver interrogato i sei detenuti, l’allora vice presidente sudanese Mohammed Bakir disse: “Si sono attenuti a messaggi radio provenienti dal quartier generale di Fatah a Beirut, sia per l’ordine di uccidere i tre diplomatici, sia per arrendersi domenica mattina”.
Nel corso degli anni successivi è stato detto che anche gli israeliani avevano registrato gli ordini d’uccisione di Arafat e che ne avessero fornito copia all’allora presidente Usa Nixon. Secondo quanto riferisce WorldNet Daily, fonti dell’ufficio del primo ministro israeliano Ariel Sharon avrebbero confermato che nel marzo 1973 i servizi israeliani avevano fornito al Dipartimento di stato e alla Casa Bianca le prove della responsabilità di Arafat nel triplice omicidio.
Nel 1985 e nel 1986 il Congresso chiese all’allora procuratore generale Ed Meese di indagare Arafat per complicità nell’assassinio dei diplomatici. Il 2 febbraio 1986, 47 senatori americani, tra i quali Al Gore, chiesero formalmente a Ed Meese di “assegnare massima priorità al completamento di questo esame ed incriminare Arafat se richiesto dalle prove”.
Ma la prova cruciale per l’incriminazione, i nastri registrati, non venne esibita né dall’Agenzia di Sicurezza Nazionale, né dalla CIA, né dal Dipartimento di stato.
Bill Carter, portavoce dell’Fbi a Washington, non conferma né smentisce che il caso sia stato riaperto. Comunque un alto funzionario dell’FBI ha detto che un’indagine è stata effettivamente avviata su richiesta di un’agenzia esterna. Ma si è rifiutato di specificare di quale agenzia si tratti.
Se Arafat venisse incriminato per il duplice omicidio dei diplomatici, verrebbe emesso un mandato di arresto nei suoi confronti e diventerebbe un latitante per la giustizia statunitense.
Secondo Ra’anan Gissin, capo portavoce di Sharon, questi sviluppi non sono affatto sorprendenti. “Intercettammo le chiamate e gli Stati Uniti ottennero a loro volta conferme – dice Gissin – Gli omicidi di Khartoum sono un caso schiacciante perché si tratta di un caso in cui Arafat venne personalmente colto con le mani nel sacco, mentre in generale è molto bravo a nascondere il suo diretto coinvolgimento nel terrorismo”. Gissin aggiunge che Israele non è coinvolto nella riapertura del caso e descrive lo sviluppo attuale come “un affare totalmente americano”.
Il vice di Arafat, Saeeb Erakat, smentisce invece il coinvolgimento del presidente palestinese dicendo che “Arafat è stato a Washington ben 24 volte dopo i fatti di Khartoum, dunque queste accuse non sono altro che parte di una campagna politica per screditarlo”.
Welsh accusa gli Stati Uniti di aver sempre saputo della responsabilità di Arafat. Secondo lui, la decisione americana e israeliana di considerare Arafat il legittimo presidente dei palestinesi, con cui Israele dovrebbe alla fine negoziare, ha costretto gli Stati Uniti a insabbiare il caso.
Welsh contattò una prima volta l’FBI nel 2001: “Quando Arafat, festeggiato dal presidente Clinton, respinse l’offerte fatta dagli israeliani a Camp David di uno stato palestinese in Cisgiordania, striscia di Gaza e Gerusalemme orientale, lanciando per tutta risposta una campagna di terrorismo assassino contro Israele e sputando in faccia agli Stati Uniti, ho capito che gli Stati Uniti avrebbe dovuto smascherare Arafat per quello che è veramente”.
In un’intervista esclusiva per WorldNet Daily del 2001, Welsh parlò per la prima volta di ciò che era accaduto quando lavorava all’Agenzia di Sicurezza Nazionale, ma l’FBI allora non gli diede ascolto. “Nessuno voleva toccare questa vicenda – raccontò Welsh – E’ una patata bollente. Nessuno ha voglia di passare per quello che affossa il processo di pace in Medio Oriente”.
Daniel Pipes, direttore del Middle East Forum, plaude ai nuovi sviluppi. “Che il governo degli Stati Uniti sembri ora prendere sul serio l’accusa di complicità di Arafat nell’assassinio di due diplomatici americani è un’ottima notizia. Ciò testimonia che il presidente Bush ha capito che la minaccia del terrorismo deve essere combattuta ad ogni livello. Ma i tre decenni di ritardo nell’accertare le responsabilità di Arafat mostrano anche quanto è alto il prezzo che si paga ad accettare di trattare con i terroristi”.
Sebbene Sharon e Bush da tre anni abbiamo isolato Arafat nel suo quartier generale a Ramallah e la maggior parte dei paesi oggi si rifiuti di incontrarlo, il leader dell’Olp mantiene ancora uno stretto controllo sulle forze armate palestinesi e Israele sostiene che Arafat tiene ancora le redini di varie organizzazioni terroristiche, compresa Fatah e le sue diramazioni.
Gissin dice che il caso all’esame dell’FBI contribuirà a isolare ulteriormente Arafat. “Il coinvolgimenti di Arafat in quegli omicidi è un fatto – dice – e il caso potrebbe fare di Arafat un latitante. Dunque Arafat non solo è un corrotto ma, come abbiamo sempre saputo, è anche un assassino a sangue freddo”.

(Da: Ma’ariv, 20.09.04)

Nella foto in alto: 1.01.1979, Arafat riceve da Khoneini l’edificio dell’ambasciata d’Israele a Teheran come sede per la rappresentanza Olp.