C’è del metodo, nel sottrarsi dei palestinesi ai negoziati

L’ambasciatore d’Israele all’Onu: cosa penseranno i contribuenti europei quando sapranno che i loro soldi finiscono nelle mani di Hamas?

L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Ron Prosor

L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Ron Prosor

“Quando penso ai negoziati tra Israele e palestinesi, vedo ripetersi da parte dei palestinesi uno schema assolutamente prevedibile: pretendere, tirarla per le lunghe e poi andarsene”. Lo ha detto martedì sera l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Ron Prosor, parlando al Consiglio di Sicurezza nel giorno in cui scadeva il periodo di nove mesi, stabilito con la mediazione americana, per quest’ultimo round di negoziati di pace.

I negoziati si erano di fatto interrotti già alla fine di marzo quando Israele, di fronte alla pretesa palestinese che rilasciasse anche dei terroristi arabo-israeliani senza espellerli (cioè tenendoseli in casa a piede libero), ha congelato la scarcerazione del quarto gruppo di terroristi detenuti.

Mentre i mediatori americani cercavano di risolvere l’impasse, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) inoltrava domanda di adesione come “stato palestinese” a quindici enti e trattati internazionali, cosa che si era impegnato a non fare finché erano in corso i negoziati. Infine, sei giorni prima della scadenza dei nove mesi, i rappresentanti dell’Olp di Abu Mazen hanno firmato a Gaza un accordo di riconciliazione con Hamas, l’organizzazione islamista considerata terrorista da Unione Europea, Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia ed Egitto, oltre che da Israele.

Si veda anche: "Le condizioni che dovrebbe porre Israele", di David M. Weinberg

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“Prima di fare un solo passo verso il tavolo dei negoziati – ha spiegato l’ambasciatore Prosor – ogni volta la dirigenza palestinese esige che Israele faccia una serie di concessioni sostanziali”. In pratica, Israele deve “pagare” per il fatto che i palestinesi accettino di iniziare a negoziare. “Una volta che Israele si è impegnato, i palestinesi iniziano a puntare i piedi mettendo in atto ogni possibile tattica dilatoria. Infine, quando si avvicina la scadenza e con essa il momento in cui la dirigenza è chiamata a prendere decisioni coraggiose, Abu Mazen e la sua squadra abbandonano i colloqui”. Con un pretesto qualsiasi, e qualche volta senza nemmeno un pretesto (come avvenne nel 2008 di fronte alla proposta di pace di Ehud Olmert).

Stando a questo schema ripetitivo, ha continuato Prosor, “mentre Israele fa concessioni concrete per promuovere la pace, la dirigenza palestinese lascia sempre cadere ogni possibilità di compromesso. E questo ci porta al cuore del problema. I palestinesi si impegnano nel dialogo mentre contemporaneamente alimentano l’odio. Promettono tolleranza e reciproca accettazione, e intanto celebrano a gran voce spietati terroristi e attentatori ‘martiri’. E prendono impegni con la stessa velocità con cui li infrangono”.

Si veda anche: "Aspettando il Godot palestinese", di Ari Shavit

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“In questo stesso momento, mentre noi qui stiamo discutendo – ha concluso l’ambasciatore israeliano – milioni di dollari affluiscono nelle casse dell’Autorità Palestinese. Ora che i palestinesi hanno firmato un accordo di unità Fatah-Hamas, quei finanziamenti saranno a disposizione di Hamas, un’organizzazione riconosciuta a livello internazionale come terroristica. Mi domando come si sentiranno i contribuenti di Londra, Lussemburgo, Parigi o Roma sapendo che i loro soldi consentiranno a Hamas di lanciare altri razzi sulle città israeliane, di sequestrare e tenere in ostaggio altri cittadini israeliani, di addestrare, armare e mandare sui nostri autobus e nei nostri bar altri attentatori suicidi”.

(Da: Israel HaYom, 30.4.14)