Condannato per diffamazione il falso documentario “Jenin, Jenin”

Il regista Bakri dovrà risarcire un ufficiale israeliano, che devolverà i soldi alle famiglie dei soldati caduti nella battaglia del 2002 contro i terroristi nel campo palestinese

Il Tribunale distrettuale di Lod ha stabilito lunedì che in Israele è vietata la distribuzione e la proiezione del film Jenin, Jenin. La Corte ha anche deciso che tutte le copie devono essere sequestrate e ha ordinato che il regista e attore arabo-israeliano Mohammad Bakri, autore del documentario incentrato sulle operazioni delle Forze di Difesa israeliane nella battaglia di Jenin, dovrà versare al tenente colonnello israeliano Nissim Meganji 175.000 shekel (55.000 dollari) come risarcimento danni per diffamazione, oltre a 50.000 shekel (15.500 dollari) per spese legali.

La battaglia di Jenin ebbe luogo nell’aprile 2002 quando le Forze di Difesa israeliane, in piena seconda intifada (l’intifada delle stragi suicide), entrarono nel campo palestinese della città cisgiordana per scoprire e neutralizzare le cellule terroristiche che stavano compiendo continui attentati terroristici in Israele causando la morte di centinaia di civili israeliani. Durante undici giorni di duri scontri casa per casa rimasero uccisi 23 soldati israeliani e 52 palestinesi, dei quali 48 combattimenti.

“In ultima analisi e dopo attento esame – ha scritto la giudice Halit Silash nella sentenza – ci troviamo di fronte a un imputato che ha ritenuto di produrre un film che pretende di essere un documentario basato su una serie di interviste a persone che si presume siano residenti del campo profughi di Jenin, ma le prove dimostrano che ha scelto consapevolmente di non condurre nessuna verifica, neanche minima o preliminare, delle accuse e dei fatti espressi in dette interviste, e ha scelto di presentarli come parte di un film che sostiene di riflettere la realtà dei fatti”. L’incriminazione sottolinea anche che Bakri non ha presentato alcuna prova a sostegno delle affermazioni fatte nel suo film.

Il regista e attore arabo-israeliano Mohammad Bakri, autore del documentario “Jenin, Jenin”

Nel 2003 il Consiglio israeliano di revisione dei film aveva vietato in Israele la circolazione del documentario di 53 minuti che sostiene falsamente che a Jenin le forze israeliane avrebbero perpetrato un massacro di civili. Si era scoperto che Bakri ha fatto un uso distorto dei tagli delle sequenze per dare a intendere che vi siano state uccisioni deliberate di civili, che erano mai avvenute. In particolare, in una scena si fa credere che un corazzato per trasporto truppe (erroneamente indicato nel film come un carro armato) avesse deliberatamente investito un certo numero di prigionieri palestinesi distesi per terra: cosa che non è mai avvenuta, come in seguito ebbe ad ammettere lo stesso Bakri in tribunale. Il regista ha anche tradotto male l’arabo, in modo che i sottotitoli includessero parole come “genocidio” e “massacro” che non sono mai state effettivamente pronunciate dagli intervistati. Naturalmente, nessun militare o rappresentate israeliano venne intervistato per fornire al film un punto di vista diverso. Ciononostante la Corte Suprema annullò la decisione del Coniglio israeliano di revisione dei film.

Nel 2007 il film è finito di nuovo in tribunale quando cinque ex soldati israeliani citarono Bakri per diffamazione affermando che nel film venivano descritti come criminali di guerra. All’epoca la richiesta venne respinta dalla Corte Suprema secondo la quale, sebbene il documentario fosse “effettivamente pieno di cose non vere” e diffamasse le Forze di Difesa israeliane, tuttavia i querelanti non erano individualmente identificabili nel film e quindi non potevano sostenere d’essere stati personalmente diffamati.

Fermo-immagine dal falso documentario di Bakri: “Il tank sta per schiacciarli”

Questa volta, invece, il Tribunale di Lod ha stabilito che il tenente colonnello Meganji, che svolse un ruolo attivo nell’operazione Scudo Difensivo del 2002 a Jenin, può essere chiaramente riconosciuto nelle immagini usate da Bakri. “Il querelante, un privato cittadino richiamato in servizio militare dallo stato d’Israele durante l’operazione Scudo Difensivo, si ritrova presentato nel film in questione come qualcuno che minaccia e ruba l’intera proprietà di un’altra persona, un anziano indifeso, nel quadro di una realtà ‘alternativa’ che è interamente il prodotto dell’immaginazione dell’imputato”, ha affermato la giudice Halit Silash. Nella sua querela contro Bakri, Meganji ha detto che “il suo buon nome è stato colpito, il suo onore è stato infranto e la sua identità di soldato morale ed etico è stata macchiata”.

“La libertà di espressione è un valore centrale in uno stato democratico, ma non consente di inventare falsi complotti e diffondere calunnie”, ha commentato il ministro israeliano della cultura e dello sport Chili Tropper (del partito Blu-Bianco).

Meganji aveva già annunciato che avrebbe devoluto la maggior parte del risarcimento ai veterani dell’operazione del 2002 a Jenin e alle famiglie dei soldati caduti.

(Da: Jerusalem Post, Times of Israel, 12.1.21)