Evitare ricette vanamente grandiose

La coincidenza di interessi israelo-saudita apra un processo visibile, ma senza le illusioni del passato

Da un articolo di Gerald M. Steinberg

image_1636Il riavvicinamento fra Israele e Arabia Saudita e il rilancio dell’iniziativa saudita e della Lega Araba del 2002 non sono il risultato di un improvviso scoppio di comprensione reciproca, del dialogo inter-religioso, o del diligente lavoro degli inviati speciali in Medio Oriente. La causa sta piuttosto in un calcolo razionale dei rispettivi interessi, merce già di per sé rara in Medio Oriente.
La monarchia saudita, in concerto con Egitto, Giordania e altri regimi arabi sunniti, vede la peggiore minaccia alla propria sopravvivenza nel potere sciita, guidato dal trionfante governo rivoluzionario iraniano che cerca di acquisire armi nucleari. L’insurrezione che sta smembrando l’Iraq, il tentativo di Hezbollah di prendere il controllo in Libano, la forza della Fratellanza Musulmana un po’ dappertutto minacciano di travolgere le elite arabe. In queste circostanze, una rafforzata relazione strategica con gli Stati Uniti e un’alleanza meramente tattica con Israele contro l’Iran risultano fattori vitali per l’Arabia Saudita e per i regimi arabi cosiddetti “moderati”.
Indipendentemente dalla retorica ufficiale sulla soluzione del conflitto arabo-israeliano e sulla fine delle “sofferenze palestinesi”, questi temi appaiono in realtà del tutto secondari nella nuova coalizione di interessi. I palestinesi sono divisi come sempre, senza una leadership effettiva, e ci si può aspettare che contribuiscano ben poco alla stabilità regionale. L’aspetto più importante dell’accordo raggiunto fra i leader di Hamas e di Fatah sta nel suo nome – accordo della Mecca – che rispecchia l’influenza e il potere dei sauditi. Le manovre sui dettagli del governo di unità nazionale palestinese appaiono interminabili, ma anche all’indomani dell’annuncio di un’intesa, il caos, le violenze intestine e gli sforzi del terrorismo anti-israeliano sono probabilmente destinati a continuare. Tuttavia per i sauditi e gli altri membri dell’alleanza anti-Iran e anti-estremisti, sono sufficienti le photo-opportunity ,comprese quelle degli incontri fra il primo ministro israeliano Ehud Olmert e il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen).
Per Olmert e il suo governo, la rivitalizzata iniziativa saudita rappresenta un’utile occasione per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica israeliana dagli scandali interni e dalle indagini in corso sulla gestione della guerra in Libano. Il rumore di fondo generato dalle notizie relative a colloqui con i sauditi cambiano i titoli dei giornali e rimettono Olmert al centro dell’attenzione regionale e persino internazionale. Entro pochi mesi, quando l’opposizione guidata da Binyamin Netanyahu, farà le sue mosse per affossare Olmert e quel che resta del partito Kadima, l’impeto di quest’ennesimo “processo di pace” si rivelerà la carta migliore nelle mani del governo.
Sull’onda dell’emozione e dell’ottimismo per i contatti israelo-sauditi e delle rinnovate speranze in un piano della Lega Araba basato su riconoscimento e rapporti reciproci con Israele, è importante vedere con chiarezza i limiti realistici di questi sviluppi. In passato, politici troppo entusiasti e grandiosi piani di pace impraticabili hanno spinto altre aperture ben oltre l’arte del possibile, conducendo a tragici fallimenti.
Nel marzo 2002 l’originaria iniziativa di pace saudita e della Lega Araba venne presentata in risposta agli attacchi dell’11 settembre contro gli Stati Uniti, nel quadro di una massiccia campagna di pubbliche relazioni volta a limitare i danni all’immagine dell’Arabia Saudita presso gli americani. Una volta che la campagna raggiunse i suoi obiettivi, l’iniziativa scomparve. Sul terreno, le risoluzioni adottate dal summit della Lega Araba non cambiarono in nulla gli attacchi del terrorismo palestinese né la pervasiva opera di istigazione anti-Israele e anti-Usa condotta anche con fondi sauditi.
Similmente, nel 1977 il tentativo dell’allora presidente Jimmy Carter di forzare una soluzione della questione palestinese, e dare all’Unione Sovietica un ruolo maggiore nel processo, spinse Anwar Sadat e Menachem Begin ad aggirare Washington. Quei due leader erano spinti da interessi e necessità rispettivamente egiziane e israeliane, cosa che con tutta evidenza non contemplava la necessità di conferire legittimazione e potere ai terroristi dell’Olp di Yasser Arafat. Più tardi, nel processo negoziale e nel summit di Camp David del 1978, Carter tentò più volte di imporre a Begin i suoi piani per uno stato palestinese guidato dall’Olp, arrivando quasi a distruggere i fragili rapporti con l’Egitto.
Sebbene l’attuale amministrazione americana sia ben più esperta e meglio informata di quella di Carter, la tentazione di perseguire una grandiosa soluzione rimane, rafforzata dall’Europa. Ma le questioni di fondo che hanno alimentato il conflitto per decenni, come l’intransigenza palestinese e le rivendicazioni dei profughi che vorrebbero sopraffare la popolazione ebraica d’Israele, non troveranno soluzione in pochi mesi e nemmeno in pochi anni.
Anche il rifiuto arabo di riconoscere la necessità e la legittimità di una significativa presenza ebraica nella Città Vecchia di Gerusalemme (e che non sia alla mercé della buona volontà altrui) è troppo fortemente radicato per poter essere modificato in breve tempo. Come in passato, proposte semplicistiche che vorrebbero offrire soluzioni istantanee a questi ostacoli basilari finiranno col danneggiare e forse distruggere i frutti del nuovo canale israelo-saudita, in termini di gestione del conflitto e di stabilità.
D’altra parte, le specifiche opportunità offerte dalla rinata iniziativa saudita, sotto ombrello americano, non devono essere sprecate. Al di là delle preoccupazioni strategiche immediate e condivise circa la crescente influenza e gli obiettivi egemonici dell’Iran, il nuovo canale diplomatico può essere usato per abbassare il livello di sfiducia e ignoranza. Sarebbe davvero ora che i leader sauditi – politici e religiosi – la finissero di sostenere l’istigazione all’odio contro Israele e contro gli ebrei. Se a Israele viene chiesto di prendere sul serio il piano saudita, il promesso movimento verso la normalizzazione deve essere ben visibile, e non nascosto dietro porte chiuse.

(Da: Jerusalem Post,. 14.03.07)