Forse dovremmo ringraziare Hamas per la “marcia del ritorno”

Ci dicevano: ritiratevi sulle linee del ’67 così cesseranno gli attacchi e il mondo riconoscerà il vostro pieno diritto a difendervi. Si è visto...

Di Boaz Haetzni,Zalman Shoval

Boaz Haetzni, autore di questo articolo

Israele si è ritirato dalla striscia di Gaza nel 2005, demolendo 21 fiorenti comunità ebraiche e sgomberando a forza 8.000 ebrei dalle case in cui vivevano. Israele ha persino riesumato i resti dei defunti ebrei dalle loro tombe, attuando in questo modo la disgustosa intimazione del celebrato poeta palestinese Mahmoud Darwish: “Andatevene, e portatevi via i vostri morti”.

L’idea era quella di “disimpegnarsi”. I pacifisti garantivano pubblicamente che d’ora in avanti avremmo visto riconosciuta dal mondo la nostra piena legittimità di reagire al terrorismo, come si farebbe con il terrorismo proveniente da un paese confinante. In effetti la comunità internazionale ci applaudì per un’intera decina di cinque minuti prima di tornare a ripetere le sue solite accuse e condanne. I bombardamenti da Gaza sulla popolazione d’Israele iniziarono immediatamente dopo il ritiro, le nostre comunità di confine finirono subito sotto la minaccia di attacchi e sequestri, la macchina del terrore che era stata fino ad allora tenuta sotto controllo dalla presenza israeliana si trasformò in un mostro. Non era passato nemmeno un anno dal ritiro israeliano quando i terroristi, penetrati da Gaza in Israele attraverso un tunnel di 3 km scavato fra Rafah e Kerem Shalom, uccisero due soldati e ne sequestrarono un terzo, Gilad Shalit. Dopo il ritiro, nel giro di alcuni anni buona parte del Negev israeliano e della piana costiera d’Israele fino a Tel Aviv e addirittura fino a Haifa è finita nel raggio della gittata dei razzi di Hamas. Con il ritiro israeliano, la striscia di Gaza è diventata zona di guerra aperta. In questi tredici anni ci sono stati ben cinque round di combattimenti, tre dei quali particolarmente ampi, costati la vita a centinaia di soldati e civili e decine di miliardi di shekel ai contribuenti israeliani. Alla faccia del “disimpegno”.

Come tutta la pubblicistica irredentista palestinese, anche nei poster per la “marcia del ritorno” compare l’immancabile mappa delle rivendicazioni palestinesi: Israele è cancellato dalla carta geografica. “Ritirarsi sulle linee del ’67 non eliminerà le minacce di attacchi e terrorismo e non attenuerà le pressioni e le condanne internazionali”

Questi risultati hanno insegnato agli israeliani una lezione duratura circa le vere intenzioni dei loro nemici arabi. E hanno insegnato loro che ritirarsi sulle famose linee del ’67 non eliminerà le minacce di attacchi e terrorismo e non attenuerà le pressioni e le condanne internazionali. Benché Israele abbia ceduto fino all’ultimo centimetro la striscia di Gaza, la guerra da Gaza non è cessata né diminuita, e il mondo non ha affatto riconosciuto a Israele il legittimo diritto di colpire gli elementi terroristi che operano da Gaza. Anzi, dopo l’operazione anti-Hamas del 2009 la Commissione Goldstone concluse in sostanza che Israele non aveva il diritto di difendersi. Tant’è vero che per buona parte dell’operazione anti-Hamas dell’estate 2014 tutto quello che Israele ha potuto fare è stato cercare di intercettare in tempo i razzi palestinesi che piovevano dal cielo. Non appena ha reagito mandando i soldati dentro la striscia Gaza, insieme ai razzi sono piovute le condanne. Guai a chi fa concessioni e si ritira.

La “marcia del ritorno” sponsorizzata da Hamas non è altro che un tentativo furbetto di violare il confine (il “sacro” confine del ’67) e riversare migliaia di arabi da Gaza dentro Israele. Il ritiro da Gaza del 2005 non fece altro che attuare la prima fase del piano in 10 punti adottato dall’Olp nel 1974: “impiegare ogni mezzo, e in primo luogo la lotta armata, per liberare il territorio palestinese e stabilire un’autorità nazionale combattente su ogni parte del territorio liberato”. Alla seconda fase – lasciar intendere d’aver accettato i “confini” del ’67 suscitando il plauso di pacifisti e mondo intero – seguirà la successiva: “una volta stabilita, l’autorità nazionale combattente palestinese si adopererà per conseguire l’obiettivo di completare la liberazione di tutto il territorio palestinese e la completa unità della nazione araba”. Questa volta i soldati israeliani schierati al confine hanno impedito alla marea jihadista di irrompere in Israele ed entrare nei villaggi, nei kibbutz e nelle città, con le conseguenze che non è difficile immaginare. Ma quando impareremo?

(Da: Israel HaYom, 4.4.18)

Zalman Shoval

Scrive Zalman Shoval: Forse dovremmo ringraziare Hamas per la “marcia del ritorno” di queste settimane. Dal punto di vista di Israele, infatti, la lezione principale da trarre dagli eventi a Gaza è che essi vanno considerati un modello e un’anteprima di ciò che potrebbe accadere in futuro se, date le attuali circostanze, dovesse nascere uno stato palestinese indipendente al confine orientale d’Israele. Nessuna barriera di sicurezza potrebbe fermare un tentativo organizzato di massa di violare il confine israeliano su un fronte estremamente più ampio e frastagliato del semplice confine fra Israele e striscia di Gaza, a meno che le forze di difesa israeliane non mantenessero un controllo di sicurezza non solo ai confini di Giudea e Samaria, ma anche dentro quei territori. Il che solleva interrogativi circa l’idea convenzionale della soluzione “a due stati”. Secondo i fautori di tale soluzione, il “diritto al ritorno” per i “profughi” palestinesi (in realtà, i loro discendenti) verrà esercitato solo nello stato palestinese (come nello stato ebraico si esercita il diritto al ritorno degli ebrei), il che dovrebbe tranquillizzare gli israeliani escludendo il pericolo che il loro piccolo paese venga invaso da milioni di “rientranti” ostili. L’ovvia conclusione è che qualsiasi credibile accordo di pace dovrà porre fine alla finzione dei “profughi” palestinesi (in realtà, i loro discendenti) che l’Onu, per ragioni politiche, continua a tenere in vita, e alla chimera del loro “ritorno”. Ai “profughi” dovrà essere garantita la residenza permanente nei luoghi in cui vivono da più generazioni, o nel futuro stato palestinese. Ma non è questo ciò che ci dice la “marcia del ritorno” lanciata da Hamas contro il confine di Israele, e forse dovremmo ringraziare Hamas per questa lezione di chiarezza. (Da: Israel HaYom, 4.4.18)