Giudice Barak: “Il Sudafrica ha cercato di imputare ad Abele il delitto di Caino”

Le opinioni dissenzienti dei due giudici della Corte dell’Aja per i quali l’accusa di genocidio a Israele era irricevibile perché assolutamente non plausibile

Il giudice Aharon Barak

Il giudice israeliano che fa parte del collegio della Corte Internazionale di Giustizia nella causa sull’accusa di genocidio a Gaza, ha espresso la sua opinione dissenziente sulla maggior parte delle decisioni della Corte.

Con la giudice ugandese Julia Sebutinde, Barak è stato uno dei due soli giudici a opporsi all’affermazione della Corte secondo cui alcune azioni israeliane nella guerra contro Hamas “potrebbero” configurare una violazione della Convenzione sul Genocidio, con la conseguente ingiunzione a Israele di assicurarsi che ciò non accada.

Barak ha votato a favore solo di due punti inclusi nella sentenza: la richiesta a Israele di fare “tutto ciò che è in suo potere per prevenire e punire casi di incitamento diretto e pubblico a commettere un genocidio nei confronti dei membri del gruppo palestinese nella striscia di Gaza”, e la richiesta di adottare “misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura di servizi di base e di assistenza umanitaria urgentemente necessari per le avverse condizioni di vita affrontate dai palestinesi nella striscia di Gaza”.

Nella sua opinione separata letta venerdì, Barak ha criticato il Sudafrica per essersi concentrato su Israele anziché su Hamas, responsabile dell’attacco terroristico del 7 ottobre che ha scatenato la guerra a Gaza. Il Sudafrica, ha detto Barak, “ha ingiustamente cercato di imputare ad Abele il crimine di Caino”.

Barak, sopravvissuto all’età di 5 anni allo sterminio sistematico del 95% degli ebrei del suo paese di nascita, la Lituania, perpetrato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale, ha anche fatto riferimento alla propria esperienza di sopravvissuto alla Shoà. “Per me – ha detto – genocidio è più di una semplice parola: rappresenta la distruzione calcolata, ed il comportamento umano nella sua forma peggiore. È l’accusa più grave possibile ed è profondamente intrecciata con la mia esperienza di vita personale. L’idea che Israele venga ora accusato di commettere un genocidio è molto pesante, per me personalmente in quanto sopravvissuto a un genocidio e profondamente consapevole dell’impegno di Israele nei confronti dello stato di diritto”.

Il giudice israeliano Aharon Barak legge la sua opinione dissenziente alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja

Barak ha sottolineato l’impegno di Israele nell’aderire al diritto internazionale durante le operazioni militari e ha sostenuto che la base su cui giudicare le azioni di Israele a Gaza è il diritto internazionale umanitario, non la Convenzione sul Genocidio. Invece la Corte, ha detto, ha accettato sulla base di “prove scarse” l’affermazione secondo cui sarebbe “plausibile” che i palestinesi “rischiano” di subire atti di genocidio.

Secondo Barak, ci sono ben poche basi fattuali per sostenere tale conclusione, basata apparentemente solo sul numero di morti e su dichiarazioni provocatorie di alcuni esponenti israeliani. “Sono fortemente in disaccordo con l’approccio della Corte riguardo alla plausibilità e, in particolare, non sono d’accordo sulla questione della intenzionalità” ha affermato Barak, sottolineando i numerosi e svariati sforzi compiuti da Israele per tutelare i non combattenti, sforzi che nessuno nega e che sono in evidente contraddizione con la presunta “intenzione genocida”.

Barak ha definito “sorprendente” il fatto che la Corte abbia preso atto delle misure adottate da Israele per alleviare le difficili condizioni umanitarie a Gaza, “ma poi non ha tratto conclusioni da questi fatti quando ha esaminato la questione dell’intenzionalità”. “Ancora più sorprendente – ha detto – è che la Corte non abbia considerato nessuna di queste misure e dichiarazioni sufficienti per escludere l’esistenza di un plausibile intento di commettere un genocidio”.

Barak riconosce che è “preoccupante il fatto che alcuni funzionari israeliani abbiano usato un linguaggio inappropriato e degradante”. Sono cose che “dovranno essere indagate dalle competenti autorità israeliane, ma chiaramente non è plausibile dedurre da quelle dichiarazioni, fatte sulla scia di attacchi orribili contro la popolazione israeliana, l’intenzione di commettere un genocidio”.

La Corte, ha detto Barak, “non ha fornito un resoconto completo della situazione che si è verificata a Gaza” dal 7 ottobre, con Hamas che “ha promesso di ripetere il 7 ottobre più e più volte: Hamas costituisce quindi una minaccia esistenziale per lo stato di Israele, una minaccia che Israele deve respingere”. Ma di questo la Corte non ha tenuto conto.

La giudice ugandese Julia Sebutinde

Ricordando che “lo stato d’Israele è stato portato davanti a questa Corte mentre la sua leadership, i suoi soldati, i suoi bambini sono ancora sotto lo shock e il trauma dell’attacco del 7 ottobre” e quando “un’intero paese ha tremato e, in un batter d’occhio, ha perso il suo più fondamentale senso di sicurezza”, Barak ha detto che “il contesto immediato in cui la richiesta del Sudafrica è stata portata alla Corte avrebbe dovuto svolgere un ruolo più centrale nel ragionamento della Corte”.

Barak ha anche messo in dubbio che il Sudafrica abbia portato avanti questa controversia “in buona fede”, sottolineando che quando il Sudafrica aveva espresso le sue preoccupazioni iniziali, “Israele aveva risposto con l’offerta di impegnarsi immediatamente in consultazioni. Il Sudafrica, invece di accettare quella proposta che avrebbe potuto portare a fruttuosi colloqui diplomatici, ha deciso di avviare un procedimento contro Israele davanti a questa Corte”.

Dal canto suo, nella sua dichiarazione dissenziente la giudice ugandese Sebutinde ha affermato che “il Sudafrica non ha dimostrato, nemmeno prima facie, che gli atti presumibilmente commessi da Israele e lamentati dal ricorrente siano stati commessi con il necessario intento genocida, e che di conseguenza possano rientrare nell’ambito di applicazione della Convenzione sul Genocidio”.

Sebutinde ha concesso che l’apparente impossibilità di arrivare a una soluzione politica del conflitto “potrebbe talvolta portare a ricorrere all’invocazione pretestuosa di trattati come la Convenzione sul Genocidio, nel disperato tentativo di forzare una causa per spingere verso una soluzione giudiziaria. A mio avviso – ha detto – la causa in esame rientra in questa categoria”.

Sebutinde ha tuttavia sottolineato che un attento esame della politica di guerra di Israele “dimostra l’assenza di un qualunque intento genocida”.

“Purtroppo – ha continuato la giudice – le dimensioni delle sofferenze e delle morti a Gaza sono aggravate non da un intento genocida, bensì da diversi fattori tra cui la tattica della stessa organizzazione Hamas che spesso comporta l’incorporamento delle sue forze tra la popolazione e le strutture civili, esponendole ad attacchi militari legittimi”.

Per quanto riguarda le dichiarazioni di esponenti israeliani che hanno usato un linguaggio provocatorio o hanno fatto commenti che sembravano sminuire la necessità di tutelare i civili, Sebutinde ha affermato che, prese nel loro contesto, “la stragrande maggioranza di quelle dichiarazioni si riferivano chiaramente alla distruzione di Hamas e non del popolo palestinese in quanto tale”, che “alcune dichiarazioni da parte di funzionari che non hanno l’incarico di decidere operazioni militari sono state successivamente criticate con forza dallo stesso governo israeliano” e che, “cosa ancora più importante, la politica di guerra ufficiale del governo israeliano, così come presentata alla Corte, non contiene nessuna indicazione di un intento genocida”.

(Da: Times of Israel, 26.1.24)

David Horovitz

Commenta David Horovitz: Sul piano morale, le decisioni lette venerdì all’Aja dalla presidente della Corte Internazionale di Giustizia, la giudice statunitense Joan Donoghue, erano racchiuse fra due dichiarazioni che lascerebbero intendere una comprensione un po’ più lucida delle cose. Ha esordito ricordando l’attacco di Hamas del 7 ottobre con l’uccisione di 1.200 persone nel sud di Israele e il rapimento di oltre 240 persone, e ha concluso chiedendo il “rilascio immediato e incondizionato” dei restanti ostaggi trattenuti a Gaza.

Ma in mezzo a queste frasi poste all’inizio e alla fine della sentenza, la Corte ha sostanzialmente accettato la falsa rappresentazione fatta dagli avvocati sudafricani della natura della guerra a Gaza: un territorio pienamente controllato da quasi vent’anni da un’organizzazione terroristica che, dopo aver massacrato cittadini israeliani in Israele il 7 ottobre e dopo aver esplicitamente promesso che continuerà a farlo fino alla distruzione dello stato ebraico, da allora in poi ha cercato di uccidere e respingere le truppe israeliane facendosi scudo della popolazione civile di Gaza: dentro, intorno e sotto le case, le scuole, le moschee, gli ospedali della striscia.

Le misure provvisorie disposte della Corte sono indirizzate alla parte sbagliata. E’ da Hamas, non da Israele, che gli innocenti non combattenti di Gaza devono essere protetti con misure internazionali.

Se non fosse per Hamas, i civili a Gaza non correrebbero alcun pericolo.

Se non fosse per Hamas, non sarebbe in corso nessuna guerra a Gaza.

Se non fosse per Hamas, ovviamente Israele non starebbe piangendo i suoi morti e non starebbe cercando disperatamente di ottenere la liberazione degli ostaggi. E decine di migliaia di israeliani non sarebbero profughi interni, sfollati dalle loro comunità a causa dei fanatici sanguinari di Hamas – un altro dettaglio della realtà che i giudici dell’Aja hanno trascurato.

Dovrebbe essere del tutto ovvio, ma evidentemente non lo è, che se Israele avesse avuto davvero l’intenzione di commettere un genocidio contro i palestinesi di Gaza, nulla gli avrebbe impedito di bombardare Gaza fino a cancellarla. Israele dispone di una delle forze aeree più potenti del mondo e ha supremazia aerea assoluta sulla striscia di Gaza.

Solo che non voleva farlo, non avrebbe mai potuto fare e non avrebbe mai fatto nulla del genere. La leadership d’Israele non avrebbe mai ordinato un simile attacco, e i piloti d’Israele si sarebbero rifiutati di eseguirlo se mai gli fosse stato ordinato.

Giungendo alla vigilia della Giornata internazionale della memoria della Shoà, e in relazione alle conseguenze di un 7 ottobre in cui sono stati trucidati più ebrei che in qualsiasi altro giorno dopo la Shoà, il momento stesso in cui si è pronunciata la Corte dell’Aia evidenzia un nuovo record di bassezza toccato dopo la seconda guerra mondiale dai sedicenti difensori dell’umanità e dalla loro incapacità di distinguere tra giusto e sbagliato, tra aggressori e aggrediti.

Un sentenza arrivata anche pochi giorni dopo che Khaled Mashal, importante esponente storico di Hamas, aveva dichiarato che il successo dell’attacco del 7 ottobre contro Israele ha riacceso la speranza di liberare la Palestina “dal fiume Giordano al mar Mediterraneo”, vale a dire tutto il territorio che, oltre a Cisgiordania e Gaza, comprende l’intero stato di Israele. Un altro dettaglio sfuggito alla Corte dell’Aja.
(Da; Times of Israel, 26.1.24)