Il fronte del rifiuto rifiutato

Il linguaggio usato contro l’accordo Israele-Emirati ricorda da vicino quello del 1977 contro l’Egitto, e il precedente non promette nulla di buono per i nuovi interpreti dell’intransigenza anti-israeliana

Di Ben Cohen

Ben Cohen, autore di questo articolo

Nel 1977, poco dopo lo storico discorso di Anwar Sadat alla Knesset di Gerusalemme in cui l’allora presidente egiziano delineò le sue proposte di pace con Israele, l’Olp e cinque paesi arabi formarono un blocco il cui unico scopo era rifiutare qualsiasi compromesso con lo stato ebraico.

Definendosi pomposamente il “Fronte della fermezza e dello scontro”, gli stati del rifiuto si erano organizzati attorno a un programma in sei punti. I loro obiettivi principali erano “opporsi a tutte le soluzioni provocatorie progettate dall’imperialismo, dal sionismo e dai loro strumenti arabi” e creare uno “stato nazionale palestinese indipendente su qualsiasi parte della terra palestinese, senza riconciliazione né riconoscimento o negoziati, come obiettivo transitorio della rivoluzione palestinese”. Quattro decenni dopo, mentre Israele ed Emirati Arabi Uniti annunciano un accordo di pace di importanza politica e commerciale ancora maggiore, può essere utile ricordare i rispettivi destini di ciascun membro di quel “Fronte della fermezza e dello scontro”.

Uno di loro non esiste più. Un satellite sovietico chiamato Repubblica Democratica Popolare dello Yemen e informalmente noto come Yemen del Sud, venne cancellato dalla mappa nel 1990 a seguito alla riunificazione dello Yemen settentrionale con lo Yemen meridionale. In altri due casi – Iraq e Libia – i regimi spietati che erano all’epoca al potere sono stati successivamente rovesciati. I due restanti paesi arabi – Algeria e Siria – hanno entrambi conosciuto sanguinosissime crisi interne con tanto di terrorismo islamista, guerra civile, crollo economico e brutale repressione dei movimenti interni di protesta, mentre l’Olp, dal canto suo, ha visto progressivamente eroso il suo potere e il suo peso politico a partire dalla guerra del Golfo del 1990-’91.

20 novembre 1977: il presidente egiziano Anwar Sadat parla alla Knesset, a Gerusalemme

Israele, nel frattempo, in termini strategici è diventato molto più forte e sicuro di sé di quanto non fosse alla fine degli anni ’70.

In effetti, già allora l’obiettivo principale degli stati arabi conservatori come l’Arabia Saudita e la Giordania era quello di mitigare l’impatto degli intransigenti, decisi a punire l’Egitto per aver teso la mano a Israele. E sebbene l’Egitto abbia certamente sofferto l’ostracismo nelle strutture politiche del mondo arabo, alla fine l’inflessibile boicottaggio economico e politico del Cairo decretato dagli intransigenti venne respinto. Nell’arco di una decina d’anni l’Egitto ripristinò le sue relazioni diplomatiche con quasi tutti i paesi arabi che le avevano interrotte per protesta contro l’iniziativa di pace di Sadat.

Tutto questo non promette nulla di buono per la nuova personificazione del “Fronte della fermezza e dello scontro” che si è frettolosamente coagulato in opposizione alla pace tra Israele ed Emirati Arabi Uniti. Tanto per cominciare è composta solo da tre membri, dei quali uno soltanto – l’Autorità Palestinese – può legittimamente dirsi parte del mondo arabo. Gli altri due – Iran e Turchia – sono paesi non arabi che cercano aggressivamente di rimodellare il Medio Oriente a propria immagine. Per i milioni di arabi, curdi, cristiani, ebrei e altri che compongono il mosaico di nazionalità e religioni che popola la regione, un tale esito equivarrebbe a una nuova forma di inferno.

Il linguaggio usato da tutti e tre gli interpreti dell’odierno rifiuto per condannare l’annuncio Israele-Emirati Arabi Uniti ricorda da vicino quello del 1977. “La nazione oppressa di Palestina, così come altri popoli che cercano la libertà in tutto il mondo, non perdonerà mai il peccato della normalizzazione dei rapporti con il regime d’Israele occupante e sanguinario, né l’atto di coloro che approvano e collaborano coi suoi crimini – ha tuonato il Ministero degli esteri iraniano – La Repubblica Islamica dell’Iran considera pericoloso l’atto di Abu Dhabi di normalizzare i rapporti con il fittizio, illegittimo e disumano regime d’Israele, e mette in guardia il regime sionista contro qualsiasi tipo di ingerenza nelle equazioni della regione del Golfo Persico”. [L’1 settembre la Guida Suprema dell’Iran, Ali Khamenei, ha postato un tweet in cui definisce il patto Israele-Emirati “un’estrema crudeltà contro gli interessi del mondo dell’islam” e lo attribuisce “agli sporchi agenti sionisti degli Stati Uniti, come il membro ebreo della famiglia di Trump” ndr]

La mappa del nuovo Medio Oriente, nella vignetta di Shlomo Cohen su Israel HaYom

Per il dittatore turco Recep Tayyip Erdoğan, “la mossa contro la Palestina è un passo che non può essere digerito”. Parlando ai giornalisti il 14 agosto, Erdoğan ha avvertito che la Turchia “potrebbe fare la scelta di sospendere le relazioni diplomatiche con gli Emirati Arabi Uniti o richiamare il nostro ambasciatore da Abu Dhabi”.

Per quanto riguarda il capo dell’Autorità Palestinese Abu Mazen, la sua reazione è stata quella di fare ciò che fa sempre: gridare al “complotto”. Il suo portavoce, Nabil Abu Rdeneh, ha definito l’accordo “un tradimento”, dicendo che “la dirigenza palestinese rifiuta e condanna l’inusitato annuncio trilaterale di Emirati, Israele e Stati Uniti”. [“L’accordo tripartito Israele-Usa-Emirati è l’ultimo pugnale avvelenato con cui ci hanno accoltellato: oggi ci incontriamo per fronteggiare tutti questi complotti” ha detto il 3 settembre Abu Mazen, durante una riunione in videoconferenza con i capi di 14 fazioni palestinesi, tra i quali il capo di Hamas, Ismail Haniyeh, e il capo della Jihad Islamica palestinese, Ziyad al-Nakhalah ndr]

In mezzo a tutte queste condanne, tuttavia, quello che più colpisce è il senso di impotenza che esse comunicano. L’Iran sa di non essere in grado di prendere misure economiche serie contro una potenza globale come gli Emirati Arabi Uniti, né di potersi appoggiarsi agli stati arabi perché recidano i loro legami con gli Emirati, e tanto meno di poterli convincere a unirsi a una guerra per l’eliminazione di Israele. Lo stesso vale per la Turchia, il cui revanscismo ottomano è largamente vituperato nel mondo arabo.

Quanto ai movimenti palestinesi, sono probabilmente più deboli ora di quanto siano mai stati. Negli anni ’70 era impensabile che gli arabi considerassero la Palestina come qualcosa di diverso da una questione militare e politica. Ma oggi, nel 2020, stanno rielaborando la questione come una faccenda innanzitutto economica e umanitaria. Se la dirigenza dell’Olp vuole preservare quello che resta della volontà politica araba di arrivare alla creazione di uno stato palestinese in Cisgiordania, deve rendersi conto che accodarsi a Iran e Turchia nel vicolo cieco del rifiuto è un’opzione un tantino insensata.

In un anno, questo 2020, che tutti ricorderemo per le sofferenze globali, l’accordo tra Israele ed Emirati Arabi Uniti serve piuttosto a ricordare che gli esseri umani sono anche capaci di risolvere i conflitti, e non solo di scatenarli. Sostenere la pace non è mai facile, ma oggi nelle relazioni tra Israele e mondo arabo siamo arrivati a una fase in cui, nonostante tutto il chiasso che ancora fanno, gli intransigenti dell’eterno rifiuto vengono rifiutati.

(Da: jns.org, 14.8.20)