Il peso esatto dell’immoralità

Rispondendo a un lettore, Sergio Romano ci conferma che Israele non ha diritto alle più elementari definizioni e distinzioni giuridiche e morali

di Marco Paganoni, ottobre 2011

Dall’alto: Aziz Salha nella celebre foto che lo ritrae mentre esibisce le mani col sangue dei due riservisti israeliani linciati dalla folla palestinese in una postazione della polizia di Ramallah nell’ottobre 2000. Anche Aziz Salha è fra i detenuti scarcerati martedì scorso da Israele in cambio della liberazione dell’ostaggio Gilad Shalit. Sotto: bambini palestinesi indotti a reinterpretare il linciaggio di Ramallah

Rispondendo (sul Corriere della Sera del 20.10.11) a uno sprovveduto lettore (che spera addirittura che lo scambio Shalit/terroristi possa “disincentivare ulteriori rapimenti e incarcerazioni”, quando tutti capiscono che semmai è vero il contrario), Sergio Romano sottoscrive pienamente l’equiparazione fra il soldato israeliano usato come ostaggio e i detenuti palestinesi processati e condannati per reati penali – tutti etichettati nella categoria “prigionieri per motivi politici” – sino al punto di citare una vignetta di dubbio gusto del New York Times in cui un detenuto liberato dice a un altro: «Ho fatto i conti e sono arrivato alla conclusione che valgo quanto 70 grammi del soldato israeliano».
Ma cosa significa “prigionieri per motivi politici”? In Italia nessuno dubita che sarebbero “terroristi”, e non “prigionieri politici”, coloro che fecero saltare per aria inermi cittadini comuni in una banca di piazza Fontana, durante un comizio sindacale in piazza della Loggia, in una sala d’aspetto della stazione di Bologna. E nessuno, in Italia, si sarebbe sognato di definire “prigionieri per motivi politici” Fabrizio Quattrocchi, Giuliana Sgrena o Simona Pari e Simona Torretta quando vennero presi in ostaggio in Iraq. E nessuno avrebbe definito “prigionieri per motivi politici” nemmeno i due piloti Gianmarco Bellini e Maurizio Cocciolone quando caddero nelle mani degli iracheni nel 1991. Tutto chiaro.
Ma se si tratta di Israele, no. Se si tratta di Israele, il soldato catturato in territorio israeliano con un agguato a freddo, e usato per cinque anni e mezzo come arma di ricatto in violazione di tutte le norme internazionali sui prigionieri di guerra, non è un “ostaggio” bensì un “prigioniero per motivi politici”. Se si tratta di Israele, i responsabili della strage di cittadini nella pizzeria Sbarro di Gerusalemme, del massacro di ragazzini alla discoteca Dolphinarium di Tel Aviv, della carneficina di famiglie durante la cena pasquale al Park Hotel di Netanya non sono “terroristi” condannati e detenuti per reati penali, bensì “prigionieri per motivi politici”.
Solo se si tratta di Israele ci troviamo di fronte a questa totale cecità morale, e solo da una totale cecità morale può nascere la vignetta che Sergio Romano cita compiaciuto e divertito. La mia maestra delle elementari mi ripeteva che non si possono sottrarre mele a patate. Devo pensare che il New York Times e Sergio Romano hanno avuto una maestra molto diversa: altrimenti dovrei supporre che fingono di non capire la differenza che passa fra un innocente e un assassino. O mille assassini.
Dia retta, il lettore del Corriere: la terrorista che, coi suoi complici, attirò il 16enne israeliano Ofir Rahum in una trappola mortale con le sue proposte sessuali via internet, anch’essa scarcerata martedì scorso da Israele, non vale nemmeno “70 grammi del soldato israeliano”.

 

 

Si veda anche:

Il grado zero dell’etica e della civiltà

Prigionieri, detenuti, ostaggi. Le parole sono pietre: per questo noi di www.israele.net le usiamo con cognizione di causa