La forza della democrazia israeliana

La stabilità delle istituzioni non è il solo dato incoraggiante.

Da un articolo di Anshel Pfeffer

image_1040Se c’è un raggio di speranza negli eventi di queste ultime ore attorno all’ospedale Hadassah di Gerusalemme, esso nasce dalla testimonianza di forza e vitalità della democrazia israeliana.
I sorprendenti successi del Kadima, il nuovo partito di Ariel Saron, perlomeno nei sondaggi, avevano suscitato il compressibile timore che il sistema politico israeliano stesse diventato eccessivamente dipendente da un uomo solo. I critici paventavano il possibile sviluppo di una forma di governo presidenzialista, con tendenze persino autocratiche. Anche alcuni sostenitori di Sharon esprimevano riserve sul modo in cui un intero partito, un intero governo e in fin dei conti un intero paese sembravano basarsi su un solo primo ministro enormemente popolare. Fino al primo, meno grave ictus di tre settimane fa, la questione dell’età di Sharon e della sua salute fisica veniva a mala pena accennata. Nessuno voleva prendere davvero in considerazione il terremoto che poteva derivare dalla sua eventuale scomparsa dalla scena pubblica.
Ora invece, nonostante il compito di vice primo ministro fino alla sera di mercoledì scorso fosse per lo più nominale, il trasferimento dei poteri è stato rapido ed efficiente. Gli unici inconvenienti li hanno subiti i vicini di casa di Ehud Olmert, in via Kaf-Tet Benovember a Gerusalemme, nelle prime ore di giovedì mattina quando la strada è stata presa in consegna dai servizi di sicurezza israeliani nel momento in cui Olmert assumeva la carica di primo ministro da interim.
Olmert non è mai stato un politico particolarmente popolare in Israele. Vanta una lunga lista di acerrimi rivali, molti dei quali in privato magari pensano che non avrebbe i titoli politici per assumere il comando. Ciò nondimeno, non c’è stato un solo politico di un partito rivale che abbia messo in discussione in queste ore l’autorità istituzionale di Olmert. Fatto ancora più significativo, non lo ha fatto nessuno dei suoi colleghi dentro Kadima, sebbene possa ben darsi che alcuni di loro siano convinti che saprebbero guidare il partito alle imminenti elezioni con migliori chance di successo.
La stabilità delle istituzioni non è il solo dato incoraggiante. In molti altri paesi, comprese diverse democrazie, una situazione di improvviso pericolo per la vita stessa della più importante carica dello stato verrebbe mantenuta sotto una fitta cortina di segretezza, il paziente verrebbe trasportato in tutta fretta in qualche irraggiungibile clinica privata, le strade attorno chiuse, i mass-media tenuti lontano. Nulla di tutto questo in Israele, un paese che è ancora formalmente in stato di guerra con molti vicini. Sharon è ricoverato in un grande ospedale pubblico, nelle stanze accanto alla sua vengono curati cittadini qualunque, nel cortile si accalcano decine di troupe televisive, alcune giunte sul posto persino prima dell’ambulanza di Sharon, e le autorità sanitarie diffondono regolari bollettini medici.
Giovedì mattina, in un crescendo di voci incontrollate attribuite alle solite “fonti attendibili”, si stava spargendo l’idea che Sharon fosse già morto. Poco dopo, tuttavia, i giornalisti si sono resi conto che in Israele nessuno oserebbe mentire o nascondere informazioni su un tale argomento, e hanno continuato ad aspettare con pazienza i successivi bollettini medici.
Non c’è stato nessun allarme delle Forze di Difesa né delle forze di sicurezza israeliane. Giovedì non si è visto neanche un poliziotto più del solito per le strade del paese, nessuna manifestazione o protesta. La maggior parte degli israeliani ha detto una qualche forma di preghiera, ha versato qualche lacrima per Ariel Sharon. Ma il paese si è dimostrato più forte di un uomo solo, e la vita del paese è andata avanti.

(Da: Jerusalem Post, 6.01.06)

Nella foto in alto: Erez Halfon (a destra) e Asi Shariv (a sinistra), collaboratori del pm Ariel Sharon, mentre aspettano notizie davanti all’ospedale Hadassah a Gerusalemme.