La (mesta) affermazione dello stato di diritto

Israele si conferma uno stato dove nessuno è al di sopra della legge, ma le incriminazioni a carico di un primo ministro che non intende dimettersi mettono in tensione il sistema politico

Di Yaakov Katz

Yaakov Katz, autore di questo articolo

Giovedì 28 febbraio 2019 sarà ricordato come un giorno storico per Israele. Un primo ministro in carica è stato informato, in attesa di udienza, che sarà incriminato. Le accuse, è importante tener presente, riguardano reati che avrebbe commesso in quanto premier israeliano.

Il predecessore di Netanyahu, Ehud Olmert, si dimise da primo ministro e dall’attività politica nel 2009 dopo l’iniziale raccomandazione di incriminarlo da parte degli investigatori della polizia. Finì processato e incarcerato, ma a differenza di Netanyahu il reato per cui venne condannato (aver preso una tangente da 15.000 dollari) era avvenuto quando era sindaco di Gerusalemme, anni prima che diventasse primo ministro d’Israele. Le accuse a carico di Netanyahu si riferiscono invece a reati che è sospettato d’aver commesso in anni recenti, mentre era già primo ministro d’Israele.

Più che storico, però, lo scorso giovedì sarà ricordato come un giorno triste: non solo per coloro che sostengono Netanyahu e credono che sia innocente e vittima di persecuzioni politiche, ma anche per coloro che si oppongono a Netanyahu e alle politiche che ha guidato negli ultimi dieci anni come influente primo ministro d’Israele. Per tutti i cittadini israeliani, indipendentemente da dove si collochino sullo spettro politico, non è un giorno di cui essere fieri. Certo, dimostra – ancora una vota – che Israele è un autentico stato di diritto dove nessuno è al di sopra della legge. Ma avrà un impatto negativo a lungo termine sul paese e sul suo processo elettorale.

Sin da quando sono state indette le elezioni anticipate, il Procuratore generale Avichai Mandelblit si è trovato in una situazione impossibile. Da una parte, se avesse ritardato la sua decisione fino a dopo il 9 aprile avrebbe dato l’impressione di riservare un trattamento preferenziale a Netanyahu, per il quale ha lavorato in precedenza come segretario di gabinetto. Dall’altra, annunciando la sua decisione prima che Israele si rechi alle urne si espone all’accusa di interferire nel processo elettorale.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (a sinistra) e l’allora segretario di gabinetto Avichai Mandelblit, in una riunione di governo del febbraio 2014

Mandelblit argomenta che le indagini devono muoversi secondo una tempistica che sia, per quanto possibile, indipendente da qualsiasi influenza esterna. La ragione è semplice, e in sostanza l’abbiamo vista all’opera un paio di mesi fa: se i politici – primi ministri o altri importanti leader di partito – potessero contare sul fatto che una scadenza elettorale determina un ritardo delle indagini, potrebbero essere tentati di usare il loro potere politico per rovesciare i governi quando si sentissero minacciati da inchieste. Fondamentalmente è questo ciò che ha cercato di fare Netanyahu quando ha rotto la sua coalizione, lo scorso dicembre, e ha indetto elezioni anticipate. Un meccanismo di questo tipo comporterebbe conseguenze potenzialmente drammatiche per una democrazia.

E’ ancora troppo presto per dire quale sarà l’impatto che l’incriminazione annunciata da Mandelblit potrà avere sulle elezioni. I sondaggi iniziali mostrano una perdita di consensi per Netanyahu, ma nelle settimane seguenti potrebbe avvenire in realtà il contrario. Alcune persone che non avevano in mente di votare per Netanyahu potrebbero considerare l’annuncio di Mandelblit un’interferenza politica e fare quadrato attorno a un leader percepito come sotto attacco. Quello che è più probabile è che alcuni degli elettori più moderati del Likud abbandoneranno il partito e voteranno per uno dei partiti minori della destra come Yisrael Beytenu o Nuova Destra. Anche la lista centrista Blu e Bianco di Benny Gantz potrebbe guadagnare voti.

In breve, da giovedì, Netanyahu si sta spingendo con baldanza dove nessun primo ministro israeliano si era mai spinto prima. Come andrà a finire, resta tutto da vedere. Non si dimentichi che queste incriminazioni avrebbero potuto essere evitate. L’estate scorsa, il corrispondente legale del Jerusalem Post Yonah Jeremy Bob ha sottolineato che Mandelblit era pronto a chiudere le cause contro Netanyahu se il primo ministro avesse accettato di dimettersi dalla vita politica. Era un’offerta simile a quella che venne fatta e accettata dall’ex presidente Ezer Weizman quando, alla fine degli anni ’90, emersero accuse secondo cui aveva accettato sovvenzioni illegali da uomini d’affari prima di diventare presidente. Invece di trascinarsi in una lunga indagine, Weizman lasciò l’ufficio, tornò a casa e il caso venne chiuso (per prescrizione). Netanyahu ha respinto questa opzione con la famosa dichiarazione: “Non verrà fuori nulla, perché non c’è nulla”. Oggi non potrà più ripeterlo con la stessa sicurezza. Sebbene sia un politico e uno statista forte, è anche un essere umano normale e ricorda quello che accadde a Olmert, così come a un cospicuo numero di altri potenti politici israeliani prima di lui che sono stati incriminati, condannati e incarcerati. L’idea che possa accadere a lui la stessa cosa non può non avergli attraversato la sua mente.

Questo non significa che non debba battersi per dimostrare la propria innocenza. Se crede di poterla dimostrare, fa bene a farlo. Ma dobbiamo anche ricordare che c’è in ballo un paese che è più grande di qualsiasi suo leader. Israele non dipende da nessuna singola persona, e il sistema giudiziario deve essere preservato qualunque cosa accada. Sarebbe male che i cittadini si sentissero privati del loro diritto di scelta elettorale a causa della decisione di Mandelblit, ma sarebbe anche peggio se i cittadini perdessero la fiducia nel sistema giudiziario con l’impressione che sia stato sopraffatto dalla politica.

In termini più immediati, a partire da giovedì la campagna elettorale in Israele rischia di veder aumentare il tasso di negatività. Gli avversari di Netanyahu giocheranno la carta delle accuse per corruzione ancora prima che vi sia una sentenza, e lui le dovrà respingere contrattaccando in ogni modo. Ricordiamo che mancano ancora 40 giorni alle elezioni. A prescindere da dove ci si collochi sullo spettro politico, prima di tutto deve venire Israele: uno stato che ha appena compiuto 70 anni dopo che gli ebrei lo hanno attesto per quasi duemila anni. Un patrimonio troppo prezioso per non essere gelosamente protetto.

(Da: Jerusalem Post, 3.3.19)

I precedenti, in un sistema giudiziario che non guarda in faccia a nessuno

Moshe Katsav. Dimissionario da presidente nel giugno 2007. Condannato nel dicembre 2010 per violenza sessuale e ostruzione della giustizia.

Arye Deri. Dimissionario da ministro degli interni nel settembre 2003. Condannato nel 1999 per aver preso 155.000 dollari in tangenti mentre era ministro degli interni.

Tzachi Hanegbi. Dimissionario dalla Knesset nel dicembre 2010 per una condanna per falsa testimonianza del luglio 2010, benché scagionato da accuse di corruzione e frode circa nomine politiche come ministro dell’ambiente.

Avigdor Liberman. Condannato nel settembre 2001 per minacce e aggressione ai danni di un 12enne che aveva colpito suo figlio.

Ehud Olmert. Dimesso da primo ministro nel settembre 2008. Condannato nel luglio 2012 per violazione della fiducia nell’affare Talansky e nel marzo 2015 per corruzione nello scandalo Holyland.

Avraham Hirschson. Dimesso da ministro delle finanze nel luglio 2007. Condannato nel giugno 2009 per appropriazione indebita di circa 2 milioni di shekel della Federazione Nazionale del Lavoro, che presiedeva.

Shlomo Benizri. Dimesso da membro del gabinetto nel luglio 2000. Condannato nell’aprile 2008 per corruzione e frode per aver accettato favori da un appaltatore in cambio di informazioni privilegiate riservate.

Ezer Weizman. Dimesso dalla presidenza nel luglio 2000 a causa dell’accusa d’aver accettato somme di denaro da uomini d’affari prima di diventare presidente. Non processato per i termini di prescrizione.

(Da: Jerusalem Post, 1.3.19)