L’impasse della riforma giudiziaria in Israele

Entrambe le parti dell’incandescente dibattito sulla riforma della magistratura hanno alcune ragioni, ma entrambe sbagliano

Di Benjamin Kerstein

Benjamin Kerstein, autore di questo articolo

Israele è coinvolto in quella che potrebbe essere la controversia interna più intensa della breve storia dello stato. Lo scontro sulle riforme proposte dal governo per il sistema giudiziario, e in particolare la Corte Suprema, spinge nelle strade centinaia di migliaia di manifestanti, intensifica la retorica pubblica fino all’istigazione e suscita la reciproca accusa di mettere a repentaglio la democrazia israeliana.

Volendo dare un po’ di credito al campo pro-riforma, vi sono effettivamente degli aspetti dei poteri della Corte Suprema che possono essere legittimamente considerati eccessivi. Ad esempio, il diritto che la Corte si è attribuita negli anni di cancellare qualsiasi legge sulla base di un concetto piuttosto vago di “ragionevolezza”. Così come risulta effettivamente problematico il fatto che la Corte scelga essenzialmente la propria composizione attraverso un Comitato di nomina sul quale i giudici in carica esercitano de facto un diritto di veto, sottraendo così il ramo giudiziario, non elettivo, alla supervisione del ramo legislativo, che è elettivo. In questo senso, chiedere che la Corte rinunci all’indefinito criterio della “ragionevolezza” e basi le proprie decisioni su fondamenta costituzionali più solide non è necessariamente una cosa negativa. Come non è negativa l’idea che la nomina dei giudici sia soggetta a una qualche forma di supervisione del legislativo simile alla conferma dei giudici federali da parte del Senato prevista negli Stati Uniti.

Quella che è profondamente problematica, tuttavia, è la proposta che una maggioranza semplice della Knesset possa scavalcare le sentenze della Corte. Questo non è che riduca i poteri della Corte, questo li annulla. Significa, in sostanza, che la Corte non potrebbe far rispettare le proprie decisioni e la Knesset eserciterebbe un potere più o meno assoluto sulla magistratura (come è stato fatto notare, dato il sistema istituzionale israeliano, la coalizione di maggioranza – spesso a sua volta controllata da partiti minori – controllerebbe di fatto parlamento, governo e magistratura ndr).

Polizia e manifestanti anti-governativi, mercoledì a Tel Aviv

All’atto pratico, ovviamente, la maggioranza della Knesset potrebbe non essere in grado di annullare le decisioni della Corte a proprio piacimento. I parlamentari sono notoriamente difficili da disciplinare e vi sono molti, a destra, che guardano alla magistratura con grande rispetto. Non prenderebbero alla leggera un potenziale voto di rigetto di una sentenza della Corte. Tuttavia, non si può minimizzare la possibilità che questa specifica riforma, a differenza delle altre, possa costituire una seria minaccia per la democrazia israeliana. Come mi ha chiesto di recente un amico, cosa impedisce alla maggioranza della Knesset di votare per mantenere il governo al potere per dieci anni? Con il sistema attuale sarebbe impossibile, perché la Corte Suprema dichiarerebbe immediatamente incostituzionale tale mossa. Ma se una semplice maggioranza di 61 voti su 120 fosse abilitata a scavalcare la decisione della Corte, le cose cambierebbero. Le ripercussioni potrebbero essere enormi. Il Senato romano, ad esempio, esente da qualsiasi controllo sui suoi poteri legislativi, votò serenamente di nominare Giulio Cesare dittatore a vita, cosa che divenne la pietra tombale sulla repubblica. Un potere incontrollato concesso a qualsiasi ramo del potere è pericoloso per definizione, e un’assunzione di potere incontrollato da parte del legislativo non è meno pericolosa di un’assunzione di potere incontrollato da parte della magistratura.

Il percorso verso un compromesso sulle riforme proposte sembrerebbe chiaro: il campo contrario dovrebbe accettare alcune limitazioni al potere della Corte di annullare unilateralmente qualsiasi legge, nonché un maggiore coinvolgimento del legislativo nella selezione dei giudici. In cambio, il campo pro-riforma dovrebbe abbandonare la l’idea della prevalenza della Knesset sulla Corte. Così si potrebbe avere un’autentica riforma e al contempo un’autentica tutela della democrazia israeliana.

Sfortunatamente questo compromesso sembra molto improbabile, principalmente perché entrambe le parti ritengono che la parte avversa agisca in malafede. Il campo anti-riforma è convinto che la riforma giudiziaria non sia altro che un tentativo della destra di insediare una quasi dittatura, sostenuta da fazioni ultra-nazionaliste e ultra-ortodosse che detestano la Corte per quella che percepiscono come una faziosa volontà di ostacolare le loro politiche e le loro ambizioni. Dall’altra parte, il campo pro-riforma vede i suoi oppositori come null’altro che degli sconfitti, infuriati e pieni di rancore, che non possono accettare d’aver perso le elezioni e cercano di rovesciare il governo con mezzi extraparlamentari, il che è di per sé una minaccia alla democrazia israeliana. Nella parte più estrema, la destra sostiene che l’intero movimento anti-riforma è semplicemente un tentativo delle élite laiche e di sinistra di preservare il loro ingiustificato dominio su interi settori dell’establishment del paese attraverso i quali imporrebbero la propria volontà indipendentemente dai risultati elettorali.

Sbagliano entrambi. La destra cerca di affrontare problemi reali del sistema giudiziario israeliano, ma si rende responsabile di gravi e pericolosi eccessi. La sinistra agisce in buona fede, sinceramente preoccupata per il possibile svuotamento della democrazia israeliana, ma la sua retorica è andata fuori controllo, e dovrebbe riconoscere che alcune delle riforme proposte sono giustificabili.

Il presidente Isaac Herzog ha esortato entrambe le parti a negoziare un compromesso. Questa sarebbe senza dubbio la strada giusta da prendere, ma nessuna delle due parti è granché incentivata a imboccarla. La coalizione di governo ha i voti per approvare tutte le riforme che vuole. L’opposizione è determinata a usare ogni forma di protesta possibile come ultima ridotta nella difesa della democrazia. Nessuno può sapere dove andremo da qui, ma di certo non sarà divertente.

(Da: jns.org, 27.2.23)