Natale 2006 a Betlemme

C'è ancora qualcuno che dice che Gesù era palestinese?

Da un articolo di Bradley Burston

image_1522Se credete nel valore religioso del Natale, Betlemme non è il posto che fa per voi. Questa cittadina, sin dall’antichità capitale morale della cristianità, sta inesorabilmente diventando una città priva di cristiani: una città che nel 1948 era all’80% cristiana e oggi è all’85% musulmana.
Fino a poco tempo fa, Betlemme era la città di Cisgiordania che apparteneva al mondo. Ora appartiene a Hamas. Un fatto che dovrebbe impensierire Hamas almeno quanto i cristiani, che trovano sempre più difficile mantenere la loro presenza in quello che è letteralmente il luogo natale della cristianità. Nel momento in cui cerca di convincere l’occidente a togliere l’embargo sui finanziamenti al governo dell’Autorità Palestinese, l’ultima cosa di cui Hamas ha bisogno è di fare la figura di chi manca di rispetto a Betlemme e alla cristianità stessa. E così in quest’ultimo mese il governo Hamas ha stanziato 50.000 $ delle sue magre casse per agghindare Betlemme. “Auguriamo ai nostri fratelli cristiani buone feste – ha detto Samir Abu Eisha, facente funzione di ministro delle finanze palestinese – Essi sono parte integrante della società palestinese”.
Parte integrante non è esattamente la parola che userebbe la maggior parte dei cristiani di qui. L’ondata generale di islamizzazione ha prodotto effetti vistosi a Betlemme. Vi sono segnali espliciti, come le parole “Jihad Islamica” vergate nei graffiti sotto la guglia della chiesa luterana. E vi sono segnali impliciti, come la riluttanza degli abitanti e dei funzionari ad esprimere apertamente i loro timori per il carattere cristiano della città e per l’influenza che può avere sulla vita quotidiana un governo dichiaratamente islamico.
Vi sono segnali quantitativi. Le ansie per l’islamizzazione hanno aggiunto oggi un nuovo potente incentivo all’esodo dei residenti cristiani, un fenomeno già indotto dall’occupazione giordana prima ed israeliana poi, e accelerato dalle violenze e dalle agitazioni legate alla seconda intifada.
E vi sono segnali globali, che trasmettono a qualunque cristiano palestinese un forte senso di marginalità, come ad esempio le ripetute dichiarazioni di Hamas secondo cui ogni centimetro del suolo della Terra Santa è suolo islamico. In un discorso durante la recente visita in Iran, il primo ministro palestinese Ismail Haniyeh ha dichiarato, a nome del governo palestinese guidato da Hamas: “Noi siano i fedeli protettori della terra islamica di Palestina”. Poco dopo, durante colloqui con la suprema guida iraniana Ali Khamenei, Haniyeh ha irriso i tentativi fatti in passato di distinguere tra questione palestinese e islam. E ha ribadito che la causa palestinese “è islamica” e che la Palestina è terra islamica. “Per questo – ha detto – nessun individuo e nessun governo in Palestina ha il diritto di lasciarsi sfuggire anche la più piccola porzione di quella terra”.
Era solo una decina d’anni fa che Yasser Arafat faceva di fatto di Betlemme un vero e proprio simbolo della Palestina scegliendo la Chiesa della Natività come il luogo per dichiarare che Gesù era palestinese. “Questo è il luogo di nascita del nostro Signore Messia, il palestinese”, diceva Arafat.
In una Terra Santa dove storia e simboli sono spesso inseparabili, il senso della commedia di Arafat alla Natività era chiaro: non solo Gesù veniva dichiarato (arabo) palestinese (defraudandolo della sua ebraicità), ma i palestinesi come popolo venivano equiparati a Gesù. Essi dovevano impersonare Gesù con le sue sofferenze, le sue intenzioni pure, il suo essere profugo e perseguitato, torturato con indicibile crudeltà da una potenza estranea occupante. In questa sacra rappresentazione stravolta della Natività di Gesù come palestinese, ai soldati israeliani toccava la parte dei soldati di Erode e di Roma, agli ebrei israeliani la parte degli ebrei di allora che rifiutarono di riconoscere la divinità del messaggio di Gesù.
Nei giorni di Arafat era molto più facile credere che i palestinesi cristiani fossero visti dai musulmani come fratelli e sorelle di una causa comune. Erano i tempi in cui Arafat, quando parlava in pubblico della riconquista di Gerusalemme, ripeteva che la bandiere palestinesi avrebbero sventolato “sulle chiese e sulle moschee”.
Poi le cose sono cambiate. Un enorme cambiamento si è avuto durante l’intifada al-Aqsa, che non a caso prende il nome da una moschea, unita alla montante ondata di islamizzazione globale. Per Betlemme, i giochi si chiudevano inesorabilmente. I giovani miliziani di Fatah abbracciavano il fondamentalismo religioso e il massimalismo ideologico dei loro compatrioti di Hamas e Jihad Islamica.
Se il movimento nazionale palestinese si è fatto islamico, lo stesso è avvenuto della sua narrazione. L’ammirata figura di Gesù è stata rimpiazzata dagli improperi contro i crociati e il Papa. Certo, per i cristiani di Betlemme la Natività sta cambiando, forse per sempre. La stella cometa è impallidita, i re magi non si fanno più vedere e cresce la sensazione che presto per loro non vi sarà più un posto libero dove alloggiare. È il Natale 2006. Il posto della cristiani in Palestina è oggi esile come fu in epoche antiche. Natale 2006: c’è ancora qualcuno che dice che Gesù era palestinese?

(Da:Ha’aretz, 21.12.06)