Nellinteresse delle Nazioni Unite

Sapremo che lOnu ha imboccato la strada giusta quando inizierà ad applicare anche a Israele i valori della sua Carta.

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_475Giunte all’orlo della totale irrilevanza, le Nazioni Unite si stanno dando da fare per salvare se stesse. Data la loro consolidata antipatia per l’impresa sionista, c’è da chiedersi se Israele debba aiutarle a salvarsi o sperare che non ce la facciano. La risposta dovrebbe dipendere dalla possibilità o meno che i piani di radicale riforma dell’Onu presentati la settimana scorsa aprano potenzialmente un “nuovo corso” rispetto a Israele.
Quando gli israeliani pensano all’Onu, vengono loro alla mente immagini contrastanti. Ci fu la votazione dell’Assemblea Generale del 1947 per la spartizione della Palestina occidentale (allora sotto Mandato britannico) in due stati, uno ebraico e uno arabo. E ci fu la risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza nel 1967 che metteva l’accento su un ritiro israeliano, ma su “confini sicuri” e non da tutti i territori, in cambio della fine della belligeranza araba contro Israele.
Ma vengono i brividi a ripensare alla calorosa accoglienza riservata dall’Assemblea Generale nel 1974 a Yasser Arafat, che vi tenne un discorso tutto pieno di riferimenti alla “entità sionista”, o all’infame risoluzione dell’Assemblea Generale del 1975 (oggi abrogata) che equiparava il sionismo al razzismo, per non dire di tutta una serie incalcolabile di conferenze e decisioni spudoratamente prevenute contro Israele.
E tuttavia, se non ci fosse l’Onu o qualcosa del genere, l’arena internazionale sarebbe ancora più simile a una jungla di quanto già non sia. Né il mondo ebraico né Israele possono prosperare in un ambiente di totale anarchia politica.
Fortunatamente la crisi delle Nazioni Unite ha spinto il segretario generale Kofi Annan (per suo conto impegolato nello scandalo “oil-for-food”) a nominare un “Comitato di alto livello per lo studio delle minacce globali alla sicurezza e i necessari cambiamenti consigliabili”. Il gruppo di esperti, presieduto da Anand Panyarachum, ex primo ministro tailandese, e che comprendeva fra gli altri l’egiziano Amr Moussa, il russo Yevgeny Primakov e l’americano Brent Scowcroft, ha emesso la sua diagnosi. Sorprendentemente essa offre qualche motivo di cauto ottimismo.
Sul piano filosofico, il comitato “afferma il diritto degli stati a difendersi, anche in modo preventivo”, riconosce al Consiglio di Sicurezza il potere di autorizzare la “guerra preventiva”, e sostiene “l’idea di una responsabilità collettiva per la protezione dei civili dal genocidio”.
Sul piano semantico, il comitato finalmente dà una definizione di terrorismo come “qualunque azione… intesa a provocare la morte o gravi danni fisici a civili e non combattenti, quando lo scopo di tali atti, per la loro natura e il loro contesto, sia quello di impaurire la popolazione o costringere un governo o un ente internazionale a fare o non fare qualcosa”. Ancora più significativamente il comitato afferma che “non c’è nulla nel fatto di un’occupazione che giustifichi l’uccisone deliberata di civili”.
Sul piano strutturale, il piano proposto prevede di espandere il Consiglio di Sicurezza a 24 membri dagli attuali 15 (Stati Uniti, Francia, Cina Russia e Regno Unito membri permanenti con diritto di veto, più altri 10 a rotazione biennale). Per arrivare a 24, un’idea è che l’Assemblea Generale nomini sei altri membri permanenti (che sarebbero molto probabilmente Germania, Giappone, India, Brasile e, forse, Egitto e Nigeria), più tre paesi a rotazione biennale. Una seconda opzione è di nominare otto membri semi-permanenti i cui seggi sarebbero rinnovabili ogni quattro anni, più uno a rotazione biennale.
Quale che sia il piano prescelto, se le Nazioni Unite vogliono mostrare in modo convincente di essere all’inizio di una nuova stagione, l’Assemblea Generale dovrebbe nominare Israele come membro a rotazione biennale. Nessun altro paese alle Nazioni Unite è stato mai preso di mira in modo tanto meschino, costante e così a lungo come Israele. Nessun paese ha sofferto di più per la tirannia della maggioranza automatica alle Nazioni Unite, tempestato da innumerevoli risoluzioni faziose e condanne pregiudiziali. Intere agenzie internazionali connesse all’Onu sono state sequestrate e le loro attività permanentemente bloccate per dare addosso solo a Israele. Eleggere Israele per un turno al Consiglio di Sicurezza rappresenterebbe il segnale che la comunità delle nazioni respinge, de jure e definitivamente, la minaccia di cancellare Israele dalla mappa geografica. Allo stesso tempo, un voto esplicito in questo senso avrebbe il potere di rassicurare Israele sul fatto che le sue difficili concessioni (a Gaza, per esempio) vengono apprezzate dalla comunità internazionale.
Se la Palestina deve diventare il ventiduesimo stato arabo delle Nazioni Unite, dove già 58 stati sono allineati nel blocco islamico, Israele ha diritto di precedenza nella rotazione dei paesi temporaneamente membri del Consiglio di Sicurezza.
Lanciando Israele in prima linea (dopo averglielo impedito con cavilli procedurali fino a tempi molto recenti), L’Onu potrebbe iniziare a invertire la rotta rispetto a decenni di mancato adempimento dei più fondamentali principi della sua stessa Carta: il diritto di ogni nazione non solo all’auto-difesa, ma anche all’appoggio da parte della comunità internazionale nel respingere le aggressioni.
Riformare l’Onu non sarà compito facile. Sapremo se l’Onu ha imboccato la strada giusta quando inizierà ad applicare anche a Israele i valori universali della sua Carta.

(Da: Jerusalem Post, 7.12.04)