No, signor Presidente, non è vero che lei capisce pienamente le nostre paure

Lettera aperta a Barack Obama – seconda parte

Di David Horovitz

David Horovitz, autore di questo articolo

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Sei anni fa avete ottenuto il congelamento degli insediamenti, nel 2013 avete ottenuto la scarcerazione di detenuti, ma che cosa avete strappato ad Abu Mazen? Ha fermato l’incitamento all’odio contro Israele? Ha moderato le sue posizioni sul “diritto al ritorno”? Lei, signor Presidente, non perde occasione di criticare Netanyahu per la sua pessimistica visione del mondo, ma avete forse castigato Abu Mazen per aver varato una collaborazione di governo che dà a Hamas il potere di veto sui suoi ministri? Gli ha forse detto “spiacenti, ma questo non ci sta bene”? No. Anzi, ha detto che avrebbe continuato a trattare con lui senza indugi.

Lei ha ripetutamente rimproverato Netanyahu per aver escluso, alla vigilia delle elezioni, la concerta possibilità di uno stato palestinese nei prossimi anni, ha respinto la sua successiva riaffermazione della soluzione a due stati dicendo che aveva “troppe clausole” per essere realistica, e ha avvertito che di conseguenza Israele sta perdendo credibilità a livello internazionale e che questo vi rende difficile difenderci sulla scena mondiale. Ma che si ami o si detesti Netanyahu, signor Presidente, le sue preoccupazioni sono molto convincenti. Hamas aveva davvero previsto di ridurre Israele in macerie, la scorsa estate, e solo la straordinaria prestazione del sistema anti-missilistico “Cupola di ferro” ha impedito che accadesse. Hamas cercherà di prendere il controllo della Cisgiordania, se noi ci ritiriamo, e di scavare i suoi tunnel al di sotto del confine e di lanciare i suoi razzi al di sopra del confine.

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Programma per bambini della TV dell’Autorità Palestinese, 29 maggio 2015: gli ebrei sono “la più malvagia delle creature, scimmie barbare”

Abu Mazen non ha fatto nulla per incoraggiare il suo popolo a interiorizzare la legittimità della sovranità ebraica in questa parte del mondo. E nei volti di tanti giovani palestinesi, insieme alla speranza in un futuro migliore che lei ha intravisto, c’è anche molto, molto odio. Pensi alle tossine che deve aver assorbito il 16enne palestinese che ha pugnalato a morte un soldato israeliano di 18 anni, Eden Atias, che dormiva accanto a lui su un autobus ad Afula, nel nord di Israele, nel novembre del 2013. Pensi alle sue figlie, che hanno circa quell’età, come io penso ai miei figli, e prenda atto di quanto sia lontano dai loro più elementari e decorosi istinti umani un atto come quello, e quanto debba essere sistematico e irrefrenabile il clima di ostilità anti-israeliana nella Cisgiordania controllata da Abu Mazen per aver prodotto quell’assassino e tanti altri come lui (quelli, ad esempio, che nel marzo 2011 massacrarono nel sonno la famiglia Fogel di Itamar, compresi tre bambini di 11 anni, 4 anni e 3 mesi, e che la tv di Abu Mazem esalta come modelli ed eroi).

L’ampliamento degli insediamenti scredita la posizione dei moderati israeliani e rende più facile il reclutamento da parte dei gruppi terroristici, ma non è quella la radice dell’odio, la radice del conflitto. Nella sua essenza il conflitto israelo-palestinese va sanguinosamente avanti perché la dirigenza palestinese si rifiuta di riconoscere alla nazione ebraica una qualunque legittimità in questa terra. E lei, signor Presidente, così pronto a criticarci per i nostri fallimenti, pronto persino, nella sua intervista, a citare gli insuccessi e gli errori degli americani e i valori perduti, non ha mai insistito per una analoga auto-riflessione, per un po’ di moralità, per l’affermazione dei valori umani da parte dei palestinesi e della loro dirigenza.

Sì, siamo forti qui in Israele, siamo una forza militare che non si può sottovalutare, siamo una potenza economica, e loro sono i poveri palestinesi, che all’apparenza cercano solo di ottenere la loro indipendenza. Ma basta fare un passo indietro per vedere che noi siamo una piccola striscia di terra, larga nove miglia nel suo punto più stretto, sull’orlo di un intero continente pieno di centinaia di milioni di persone in gran parte ostili al fatto stesso della nostra esistenza. Se i nostri nemici in questo momento deponessero le armi, signor Presidente, ci sarebbe la pace. Se noi deponessimo le armi, il nostro paese verrebbe annientato. E dunque, signor Presidente, ci sarà bisogno di molto di più di qualche rassicurazione e di qualche pacca sulle spalle prima che oseremo tornare a sperare.

"Siamo sull’orlo di un intero continente pieno di centinaia di milioni di persone in gran parte ostili al fatto stesso della nostra esistenza. Se i nostri nemici deponessero le armi, ci sarebbe la pace. Se noi deponessimo le armi, il nostro paese verrebbe annientato".

“Siamo sull’orlo di un intero continente pieno di centinaia di milioni di persone in gran parte ostili al fatto stesso della nostra esistenza. Se i nostri nemici deponessero le armi, ci sarebbe la pace. Se noi deponessimo le armi, il nostro paese verrebbe annientato”.

Lei può ancora contribuire in questo senso. Davvero, lei può. Inizi esigendo la fine dell’istigazione all’odio contro Israele nelle scuole palestinesi, nei mass-media palestinesi e da parte dei capi spirituali palestinesi. Per inciso, domandi pure iniziative analoghe da parte israeliana, senza problemi. Dica ad Abu Mazen che una alleanza di governo con Hamas è inaccettabile. Gli dica di smetterla di dare addosso ad Israele in ogni possibile sede internazionale, di accusarci di “genocidio” alle Nazioni Unite, di perseguire il nostro isolamento e la nostra rovina economica. Di nuovo, chieda pure le stesse cose a Israele, senza problemi. Esorti pure Netanyahu a fermare le costruzioni negli insediamenti che anche lui non prevede di conservare nel quadro del futuro accordo definitivo, e a facilitare i movimenti dei palestinesi in Cisgiordania quando farlo non compromette la sicurezza. Incoraggi Netanyahu nella sua recente apertura verso un rilancio dell’iniziativa di pace saudita come base per uno sforzo di pace regionale.

Suggerisca, solleciti, interceda. Ma non incoraggi i nostri nemici attribuendoci pubblicamente in modo così sproporzionato ogni colpa per il fallimento dei vostri sforzi di pace. Non dia l’idea che gli Stati Uniti potrebbe ridurre o cessare il loro sostegno a Israele di fronte alle risoluzioni, spesso demenziali, delle Nazioni Unite. Non rafforzi ulteriormente la crescente convinzione palestinese che la comunità internazionale ci imporrà uno stato palestinese senza che loro debbano negoziare modalità tali da garantirci a lungo termine. Spinga i palestinesi verso il compromesso, non sia indulgente e non approvi la loro ostinata intransigenza. Si adoperi per uno stato palestinese che sia veramente in pace con Israele. Ci dia più motivi per fare quello che lei vuole che facciamo, che lei ritiene che sia nel nostro interesse fare, che è a favore della speranza rispetto alla paura.

“Non possiamo farci guidare soltanto dalla sensazione che ci sono pericoli: ci sono anche opportunità”, lei ha detto nell’intervista. Ebbene, agisca per ridurre il nostro senso di pericolo, signor Presidente, e ci troverà pronti e decisi a cogliere e promuovere ogni reale opportunità per un futuro migliore.

Lei vorrebbe che fossimo il miglior Israele che possiamo essere? Anche noi, signor Presidente, anche noi. Lei dice di vedere il suo compito come quello di “alimentare la speranza” e “non solo la paura”. Bene, signor Presidente, io la prego di non accontentarsi di darci la colpa per aver ceduto alle nostre preoccupazioni e alle nostre paure. Contribuisca a ridurle, piuttosto. Contribuisca ad alleviarle. Ci dia prove concrete, non solo belle parole, su cui ricostruire la nostra speranza.

(seconda di due parti – fine. Vai alla prima parte)

(Da: Times of Israel, 3.6.2015)