Non si festeggi troppo presto l’idillio tra il governo d’Israele e il partito Ra’am

L’esperienza insegna che tutti i movimenti islamisti si muovono in due fasi, e la seconda può riservare pessime sorprese

Di Eyal Zisser

Eyal Zisser, autore di questo articolo

Nel febbraio 1989 accadde qualcosa di notevole nella piazza araba d’Israele. Alle elezioni municipali di quell’anno il partito comunista Maki (che poi divenne Hadash) perse lo status di leader in diverse città e villaggi arabi. Particolarmente pungente fu la sconfitta dei comunisti a Umm al-Fahm, che passò al Movimento Islamico d’Israele e al suo leader, Raed Salah, che venne anche eletto sindaco.

Maki era guidato all’epoca da Meir Vilner, un firmatario della Dichiarazione di Indipendenza del 1948. Ma il partito era giustamente percepito dall’opinione pubblica israeliana come un campione dell’identità nazionale araba e persino dell’identità palestinese tra i cittadini arabi del paese, e dunque non sorprende che la sua sconfitta venne accolta con soddisfazione. Molti vi lessero un punto di svolta positivo nel rapporto fra lo stato d’Israele e i suoi cittadini arabi. Solo l’allora ministro degli interni Aryeh Deri, che per inciso detiene anche oggi lo stesso portafoglio, avvertì che alla fine avremmo rimpianto i comunisti. In effetti Salah e la sua coorte divennero poi sobillatori della seconda intifada (l’intifada della stragi suicide), aizzando incessantemente le violenze contro Israele da loro accusato di profanare e colpire i luoghi santi musulmani a Gerusalemme. Raed Salah alla fine si è ritrovato in un carcere israeliano e il suo movimento, il Ramo Settentrionale del movimento islamico, è finito fuori legge.

Anche in Giudea, Samaria e Gaza, dove Israele era alle prese con il terrorismo dell’Olp, all’inizio gli israeliani spararono che il Movimento Islamico, che aveva iniziato a operare in quelle aree, rappresentasse un cambiamento positivo. A differenza dell’Olp, gli attivisti del Movimento Islamico evitavano di scontrarsi con Israele, concentrandosi piuttosto su attività sociali e religiose. Incanalavano le loro energie nella lotta con i loro nemici dentro casa, l’Olp, e nel dare fuoco alle sale cinematografiche accusate di proiettare film scostumati o distruggere i bar che vendevano alcolici. Nel 1987, tuttavia, il lupo islamico cambiò il pelo dando vita all’organizzazione terroristica Hamas, che lanciò una jihad contro Israele e da allora ha condotto innumerevoli attentati, suicidi e non.

22.9.19: i rappresentanti della Lista (araba) Congiunta si recano dal presidente d’Israele Reuven Rivlin per le consultazioni sulla formazione del governo. Da sinistra: Osama Saadi, Ayman Odeh, Ahmad Tibi e Mansour Abbas

Si può capire perché Israele abbia sottovalutato il movimento islamico nelle sue prime fasi. I movimenti islamici operano ovunque in due tempi. Nel primo, puntano ai cuori e alle menti con i loro sermoni e concentrandosi sull’azione sociale e assistenziale. Solo più tardi passano alla seconda fase, che prevede la guerra santa violenta (jihad). Ergo, è prudente approcciare qualsiasi accenno di islam politico con diffidenza e cautela, anche se all’inizio il suo tragitto appare del tutto innocuo. Nella maggior parte dei paesi arabi, va notato en passant, è vietata qualsiasi forma di organizzazione politica basata sull’islamismo e i governanti di quei paesi perseguitano tali movimenti come una minaccia alla loro stabilità.

Nel frattempo, a differenza del Ramo Settentrionale del movimento islamico d’Israele, il Ramo Meridionale, rappresentato alla Knesset dal partito Ra’am guidato da Mansour Abbas, si presenta come moderato e rifugge da ogni istigazione alla violenza. La recente disponibilità di questo partito a cooperare con il governo indica un approccio pragmatico, che lo distingue dagli altri partiti che compongono la Lista (araba) Congiunta, i quali continuano a dare massima priorità alla questione ideologica palestinese rispetto alla soluzione dei problemi concreti con cui devono fare i conti cittadini arabi d’Israele. La destra israeliana si compiace di questo nuovo affiatamento in quanto offre all’elettorato arabo una sorta di by-pass verso l’integrazione. Ma così facendo la destra ignora elegantemente, a dispetto di tutto ciò che ha sostenuto in passato, le possibili implicazioni di un abbraccio con un movimento islamico che, al momento, mostra moderazione malgrado la sua ambizione di permeare di islam le piazze arabe d’Israele. Invece non si deve smettere di aspirare a un movimento civile che migliori la vita degli arabi israeliani non solo sul piano dei rapporti con lo stato, ma anche all’interno della stessa società araba in tutte le sue componenti.

(Da: Israel HaYom, 8.12.20)