Quando si mette un carro senza ruote davanti a buoi zoppi

Mai sottovalutare la propensione dei palestinesi a tirarsi la zappa sui piedi

di Zalman Shoval

image_2669Mai sottovalutare la propensione dei palestinesi a tirarsi la zappa sui piedi, vale a dire, la situazione in cui si è infilato il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) riguardo al processo di pace. È vero che può non essere tutta colpa sua: segnali contraddittori dall’estero hanno fatto la loro parte. Ma Abu Mazen sembra deciso a fare di tutto per infilarsi in un buco ancora più profondo, adottando posizioni ancora più intransigenti. E poi c’è stato il suo zigzagare sul rapporto Golstone, dopo che lui per primo aveva chiesto a Israele di “schiacciare” Hamas, durante la campagna nella striscia di Gaza.
Ora qualcuno se n’è venuto fuori con l’idea di dichiarare unilateralmente l’indipendenza palestinese. Inizialmente il primo ministro palestinese Salaam Fayad ha avanzato l’idea di costruire una governance palestinese, concetto di per sé del tutto accettabile. Ma ciò che ora intendono gli esponenti palestinesi vicini ad Abu Mazen è qualcosa di completamente diverso, qualcosa che equivale a mettere un carro senza ruote davanti a buoi zoppi.
Ci avevano già provato. Già nel 1999 Yasser Arafat, tornato nel paese grazie agli Accordi di Oslo, aveva annunciato che i palestinesi avrebbero immediatamente dichiarato la loro indipendenza, giusto per disilludersi rapidamente quando gli Stati Uniti e la maggior parte degli europei gli chiarirono che tale dichiarazione non sarebbe stata riconosciuta dalla comunità internazionale.
Nel caso attuale si avrà probabilmente una replica di quello scenario, essendovi già indicazioni che né gli Usa né i membri dell’Unione Europea ed altri intenderebbero legittimare una dichiarazione unilaterale, accordandole il loro riconoscimento. Resta in dubbio persino il sostegno di Russia e Cina, dato che la prima non ha riconosciuto la dichiarazione di indipendenza unilaterale del Kossovo e la seconda deve fare i conti nel suo stesso cortile di casa con la minaccia di un’eventuale dichiarazione di indipendenza da parte della comunità islamica Xinjiang.
Qualcuno deve aver pur spiegato ad Abu Mazen che il suo piano, in effetti, annullerebbe gli accordi precedenti, compresi quelli che hanno conferito legittimità all’Autorità Palestinese nel quadro degli Accordi di Oslo. Inoltre, qualunque atto unilaterale circa lo status giuridico di confini e territorio potrebbe immediatamente innescare concomitanti annessioni nei territori da parte dello Stato di Israele. In sostanza, una dichiarazione unilaterale di indipendenza costituirebbe una violazione del diritto internazionale e potrebbe essere considerato un atto di aggressione, dando addirittura a Israele il diritto di reagire con azioni sul piano militare o in altro modo.
Dunque, perché mai la leadership ufficiale palestinese minaccia ancora di andare avanti con un atto che è così evidentemente contrario ai loro stessi interessi? Forse per aprire la strada a una nuova ondata di violenze, come Arafat progettò e fece dopo il fallimento del vertice di Camp David (luglio 2000). Ma può esservi anche un’altra, più immediata ragione, e cioè quella di causare la soppressione della risoluzione 242 (1967) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Quella risoluzione – che a tutt’oggi rappresenta l’unica base pattuita per tutti gli accordi e le iniziative volte a perseguire una composizione del conflitto fra Israele e i suoi vicini, palestinesi compresi (e compresa la Siria, naturalmente) – stabilisce fra l’altro che Israele non è tenuto a ritirarsi da tutti i territori caduti sotto il suo controllo in conseguenza della guerra con cui ha respinto l’aggressione araba del 1967; e stabilisce che i futuri confini dovranno essere basati su considerazioni legate alla sicurezza (difendibilità). In altre parole, la linea di divisione fra il futuro Stato palestinese e Israele non dovrà necessariamente coincidere con l’ex linea provvisoria armistiziale chiamata “linea verde” (in vigore dal 1949 al 1967 fra Israele e i vicini Stati di Siria, Giordania ed Egitto), ma deve essere piuttosto oggetto di negoziato.
Ecco allora, come ha confermato l’esponente di Olp e Fatah Yasser Abd Rabbo, qual è il loro vero e immediato obiettivo: ottenere che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu adotti una risoluzione che affermi che il futuro confine palestinese debba essere la “linea verde”, sostituendo di fatto la risoluzione 242 che ne risulterebbe annullata.
La diplomazia israeliana ha dunque un compito preciso per i prossimi mesi, ma c’è da sperare che anche Stati Uniti e altri paesi si rendano conto degli stratagemmi dei palestinesi, e che non si prestino a un’iniziativa che esacerberebbe in modo grave la situazione politica in Medio Oriente, rispedendo alla casella di partenza ogni chance di pace.

(Da: Jerusalem Post, 18.11.09)

Nella foto in alto: Zalman Shoval, autore di questo articolo