Fra attentati terroristici e lanci di razzi, la guerra civile israeliana può aspettare

Prima di cambiare la natura del paese, bisogna assicurarsi che ci sia ancora un paese da cambiare

Di David Brinn

David Brinn, autore di questo articolo

Uno dei commenti più sarcastici che hanno fatto il giro dei social network durante i recenti attacchi missilistici su Israele da Gaza e dal Libano diceva: “A quanto pare dovremo rimandare per un po’ la nostra guerra civile”. Questo humour nero, tipico di una sensibilità sviluppata come un meccanismo di difesa in un paese che deve subire da sempre una serie di attacchi e attentati che sembra senza fine, contiene nella sua essenza un briciolo di verità.

Se c’è qualcosa che ha trovato conferma nelle violenze innescate dai palestinesi sul Monte del Tempio, nelle raffiche di razzi lanciati da Gaza durante la Pasqua ebraica e dal Libano contro le comunità israeliane del nord, nello spietato attentato terroristico di venerdì nella Valle del Giordano che ha ucciso due sorelle e ridotto in fin di vita la madre (nonché l’attentato a Tel Aviv che ha ucciso un turista italiano, dopo la pubblicazione di questo articolo ndr), se c’è una cosa confermata da tutto questo è che possiamo batterci fra di noi quanto vogliamo, ma alla fine il vero nemico è alle nostre porte, non dentro casa nostra.

Con il paese sotto attacco da nord, da sud e da est, non c’è momento migliore perché il governo faccia un completo reset di tutto ciò che è accaduto da quando si è insediato, circa tre mesi fa.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu dovrebbe scusarsi con il ministro della difesa Yoav Gallant per averlo destituito per il semplice fatto che aveva detto la verità sulle minacce che il paese deve fronteggiare e sulla difficoltà per l’establishment della difesa a farvi fronte finché non si placano le proteste per la revisione giudiziaria promossa a spron battuto dal governo (lunedì sera Netanyahu ha annunciato che il ministro della difesa Gallant rimarrà al suo posto, dicendo: “Avevamo delle divergenze anche gravi, ma ho deciso di lasciarci alle spalle le discussioni” ndr).

Diciotto persone assassinate da terroristi arabi palestinesi in meno di tre mesi. Ad esse si è aggiunta lunedì Lucy Dee, la madre delle sorelle Maia e Rina che non è sopravvissuta alle ferite riportate nell’attentato di venerdì scorso che aveva ucciso sul colpo le due figlie

Il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir dovrebbe iniziare a comportarsi come un ministro e non come un estremista fanatico che soffia sul fuoco invece di spegnerlo. E se non è in grado di farlo, dovrebbe dimettersi o essere – lui sì – destituito.

Il ministro della giustizia Yariv Levin e il presidente della Commissione costituzionale della Knesset, Simcha Rothman, dovrebbero accantonare la loro proposta di riforma estremista che ha lacerato il paese e negoziare seriamente con l’opposizione, sotto gli auspici del presidente Isaac Herzog, per avviare cambiamenti in modo graduale e responsabile con l’obiettivo di rafforzare il paese e le sua fondamenta democratiche. Prima di cambiare la natura del paese, bisogna assicurarsi che ci sia ancora un paese da cambiare.

I riservisti delle Forze di Difesa israeliane dovrebbero revocare la loro minaccia di rifiutarsi di presentarsi ai richiami per l’addestramento e il servizio volontario, e gli imprenditori dovrebbero smettere di minacciare di portare i loro capitali fuori dal paese.

Come abbiamo visto durante la Pasqua ebraica, le nostre lacerazioni interne non fanno che imbaldanzire Hamas, Iran, Hezbollah e terroristi palestinesi vari che aspettano solo di poter approfittare di qualsiasi segnale di debolezza e di discordia fra di noi.

Nessuno ha chiesto agli abitanti di Shlomi, rintanati nei rifugi antiaerei, se sono favorevoli o meno alla riforma giudiziaria. Né è stato chiesto alle comunità israeliane al confine con Gaza, i cui residenti hanno celebrato il Seder pasquale con la colonna sonora delle detonazioni in arrivo da oltreconfine. E sicuramente nessuno sa o si preoccupa di sapere cosa pensasse la famiglia Dee, sterminata nell’attentato di venerdì scorso, circa le proteste in corso o il disegno di legge temporaneamente sospeso.

Il primo punto sul tappeto, d’ora in poi, deve essere la salvaguardia dei cittadini del paese e la messa in campo di concreti fattori deterrenti che dissuadano i nemici del paese dal lanciare razzi e istigare attentati terroristici. Abbiamo ancora la possibilità di dimostrare che le cose che ci uniscono prevalgono su quelle che ci separano. La guerra civile può aspettare.

(Da: Jerusalem Post, 8.4.23)