A Gaza, Hamas prepara la “marcia del ritorno” dei (finti) profughi

Ovviamente Israele non potrà tollerare violazioni o sfondamenti del confine, ma i capi terroristi puntano al bagno di sangue

Di Khaled Abu Toameh e al.

Khaled Abu Toameh, autore di questo articolo

I palestinesi non “rinunceranno mai a un solo centimetro della Palestina”. Lo ha dichiarato lunedì Mahmoud al-Zahar, importante esponete del gruppo terroristico Hamas che controlla la striscia di Gaza. Zahar ha poi avvertito Israele di non pensare di poter ostacolare i partecipanti all’adunata di massa che il suo gruppo e altre fazioni palestinesi stanno pianificando per le prossime settimane al confine tra Gaza e Israele. L’adunata si terrà all’insegna dello slogan “la marcia del ritorno”, in riferimento alla pretesa che Israele permetta ad alcune migliaia di profughi palestinesi e alcuni milioni di loro discendenti di insediarsi all’interno di Israele. Zahar ha detto che i raduni saranno “pacifici”, salvo avvertire subito che qualsiasi tentativo da parte di Israele di fermare la marcia susciterà una “risposta appropriata” da parte di Hamas e delle altre fazioni armate palestinesi.

Il messaggio della “marcia del ritorno”, ha detto Zahar, è che i palestinesi non “abbandoneranno mai un solo centimetro della Palestina neanche dopo settanta, settecento o settemila anni”, e ha aggiunto che Israele è giustamente “preoccupato” per la marcia perché “sa che i suoi risultati saranno disastrosi”.

Mahmoud al-Zahar

Riferendosi al sistema di difesa anti-razzi israeliano “Cupola di ferro”, Zahar ha detto: “Niente può fermare la liberazione di tutta la Palestina. Quand’anche tutte le armi del mondo fossero riunite in Israele, non sarebbero in grado di impedire alla nostra lotta di raggiungere i propri obiettivi”.

Zahar ha fatto queste dichiarazioni durante una sessione del Consiglio Legislativo Palestinese tenuta vicino al confine con Israele. I rappresentanti di Hamas hanno detto che l’ubicazione della sessione aveva lo scopo di inviare un messaggio “di sfida” a Israele in vista della “marcia di ritorno”, che dovrebbe essere avviata venerdì. La sessione si è svolta all’insegna degli slogan “Sì al diritto di ritorno” e “No alle decisioni di Trump” (in riferimento alla decisione del presidente degli Stati Uniti di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele e spostarvi l’ambasciata, nonché al piano di pace per il Medio Oriente più volte annunciato da Trump, già respinto da Hamas e dall’Autorità Palestinese prima ancora che venga messo a punto e reso noto). L’esponente di Hamas Ahmed Bahr, che ha partecipato alla sessione del Consiglio Legislativo Palestinese, ha dichiarato che è stato convocato vicino al confine con Israele “per poter raggiungere le terre occupate palestinesi del 1948” (cioè il territorio israeliano). La sessione, ha aggiunto Bahr, aveva anche lo scopo di dare sostegno alla “marcia del ritorno” e al “sacro diritto di cinque milioni [sic] di palestinesi di tornare alle case da cui furono espulsi nel 1948”. (In realtà, i profughi palestinesi del 1948 furono circa 700mila e di questi quelli ancora oggi viventi sono stimati fra i 30 e 40mila). L’adunata indetta per venerdì, ha spiegato Bahr, prevede di creare una grande tendopoli a ridosso del confine con Israele. Bahr ha concluso con il consueto avvertimento che qualunque palestinese che rinunci o scenda a compromessi sul “diritto al ritorno” commette “un crimine di alto tradimento”.

In tutte le trattative del passato i palestinesi, oltre alla sovranità, hanno sempre chiesto di esercitare il “diritto” di insediarsi all’interno di Israele non solo per i profughi palestinesi ancora viventi che abbandonarono le loro case durante la guerra del 1948 (stimati in poche decine di migliaia), ma anche per tutti i loro discendenti, stimati in diversi milioni: una richiesta che non ha eguali nel mondo, e che nessun governo israeliano potrebbe mai accettare pena la fine stessa dello stato d’Israele. La posizione di Israele è che i profughi palestinesi e i loro discendenti potranno diventare cittadini dello stato palestinese che sorgerà a conclusione di un processo di pace negoziato con Israele, così come gli ebrei mediorientali costretti ad abbandonare le loro case da governi arabi ostili diventarono cittadini di Israele. (Da: Times of Israel, israele.net, 26.3.18)

“Non abbiamo altra scelta che marciare sul confine”

Scrive Judah Ari Gross: All’inizio di questo mese, varie fazioni palestinesi hanno annunciato la preparazione della cosiddetta “marcia del ritorno”, un’adunata della durata di sei settimane che prevede la costruzione, di fronte alla recinzione di sicurezza al confine fra Gaza e Israele, di una tendopoli di “profughi” (che nella stragrande maggioranza non saranno in alcun senso profughi giacché non solo personalmente non hanno mai abbandonato le loro case, ma vivono in territorio palestinese e sotto controllo palestinese). L’iniziativa potrebbe persino prevedere la decisione di spingere decine di migliaia di palestinesi a varcare il confine per entrare in Israele, con conseguenze potenzialmente pericolosissime.

La “marcia del ritorno” dovrebbe iniziare venerdì 30 marzo, tradizionalmente celebrato dai palestinesi con proteste, spesso violenze, come la “Giornata della terra” contro “le espropriazioni” da parte israeliana. Quest’anno la “Giornata della terra” coincide con la vigilia della settimana di Pesach, la pasqua ebraica, un’altra ricorrenza spesso accompagnata da violenze a carattere anti-ebraico. La “marcia” dovrebbe continuare fino al 15 maggio, il giorno dopo l’anniversario della fondazione dello stato di Israele che i palestinesi indicano come la Nakba (la catastrofe).

Le Forze di Difesa israeliane devono prepararsi ad ogni eventualità, sulla base innanzitutto del dovere di difendere la sovranità e i confini del paese. Sin da dicembre si verificano a scadenza settimanale a ridosso del confine manifestazioni di protesta che generalmente vedono all’opera giovani palestinesi che bruciano pneumatici e lanciano molotov e pietre verso i soldati in servizio dall’altra parte della recinzione. Queste manifestazioni sono state più volte usate come copertura da gruppi terroristici per piazzare ordigni esplosivi lungo il confine. In un caso, l’esplosione di un ordigno mascherato da una bandiera ha ferito gravemente quattro soldati israeliani.

Recenti scontri durante una manifestazione palestinese al confine fra Gaza e Israele

Varie unità dell’esercito e della polizia di frontiera saranno schierate venerdì lungo il confine di Gaza con il compito di impedire sconfinamenti e violenze. Altre squadre di militari pattuglieranno le comunità israeliane più vicine al confine. Inoltre, è probabile che le forze di sicurezza israeliane impiegheranno droni e altri sistemi di sorveglianza e controllo. Ai soldati è stato dato l’ordine di esercitare il massimo auto-controllo in modo da ridurre al minimo il numero di eventuali vittime. Le regole di ingaggio rimarranno comunque quelle già in vigore: chiunque cerchi di attraversare il confine sarà soggetto al “protocollo di arresto di un sospetto” (colpi in aria e poi alle gambe), mentre chiunque tenti di colpire soldati o civili israeliani potrà essere a sua volta colpito. Lunedì l’inviato Onu per il Medio Oriente Nickolay Mladenov ha esortato tutti alla moderazione esprimendo preoccupazione all’idea che civili, e in particolare i bambini, vengano messi in pericolo durante le previste proteste vicino al confine tra Gaza e Israele.

Proteste anti-israeliane più o meno violente in occasione della Giornata della terra (30 marzo) e della Giornata della Nakba (15 maggio) si tengono ogni anno, ma quest’anno l’establishment della difesa israeliana si aspetta maggiori problemi non tanto per il fatto che ricorre il 70esimo anniversario della nascita di Israele, quanto per le crescenti tensioni tra Autorità Palestinese in Cisgiordania e Hamas nella striscia di Gaza, una situazione che tipicamente i capi palestinesi tendono a “risolvere” aumentando la propaganda e la mobilitazione contro Israele. A tutto questo si aggiunge l’intenzione americana di trasferire l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme il 15 maggio e l’inizio, sempre il 15 maggio, del mese santo musulmano del Ramadan, un’altra ricorrenza che vede regolarmente un aumento delle violenze da parte islamica. Questa convergenza di scadenze sta determinando una “accentuata instabilità” sul fronte palestinese, ha detto domenica il capo dei servizi di intelligence militare Herzl Halevi. Halevi e altri ufficiali sono convinti che Hamas intenda sfruttare la frustrazione dei residenti di Gaza per mandarli al confine a inscenare le dimostrazioni. Ma i recenti sforzi di Hamas per “gettarsi nelle braccia dell’Iran” e i suoi appelli per azioni più violente lungo la recinzione di confine, ha detto Halevi, “non farebbero che rendere peggiore la situazione degli abitanti di Gaza”.

(Da: Times of Israel, YnetNews, Ha’aretz, 26-27. 3.18)

Scrive Elior Levy: L’esperienza passata dimostra che quando Hamas registra crescenti disordini civili a Gaza, che potrebbero condurre a forme di disobbedienza e opposizione, tende a deviare il fuoco verso Israele. Ciò potrebbe accadere sotto forma di una nuova escalation o di un tentativo di sorprendere Israele con un attentato importante o, in alternativa, spingendo migliaia di abitanti di Gaza a marciare verso il confine, con il risultato di mettere le Forze di Difesa israeliane in una posizione estremamente difficile nella quale qualsiasi tipo di risposta si ritorcerebbe contro Israele. Una tale marcia è già in preparazione e dovrebbe svolgersi tra la Giornata della terra e la Giornata della Nakba. (Da: YnetNews, 27.3.18)