Cè bomba e bomba

Porre Israele e Iran sullo stesso piano è un atteggiamento incompetente, iniquo e prevenuto.

Da un articolo di Avner Cohen

image_1086Il tentativo, ogni volta che emerge la questione del nucleare iraniano, di porre Israele e Iran sullo stesso piano, o persino di creare un nesso politico concreto fra i due, è un atteggiamento incompetente, iniquo e prevenuto.
In primo luogo, sul piano del diritto internazionale. Mentre l’Iran è un paese firmatario del Trattato di Non Proliferazione delle Armi Nucleari e si è impegnato a rispettarlo, Israele, come India e Pakistan, non è ha firmato il Trattato di Non Proliferazione e dunque non è tenuto ad attenervisi. Mentre l’Iran è stato colto in flagrante violazione degli impegni internazionali che aveva volontariamente sottoscritto, Israele non ha violato alcun impegno. In altre parole, così come gli altri sette paesi nucleari (Usa, Russia, Francia, Gran Bretagna, Cina, India, Pakistan), Israele a differenza dell’Iran non ha mai rinunciato al proprio diritto di sviluppare armi nucleari.
Va infatti ricordato che c’è una precisa differenza storica fra la posizione di Israele e quella dell’Iran. Israele avviò il suo programma nucleare in un mondo nel quale non esisteva ancora nessuna norma esplicita internazionale contro il possesso di armi atomiche. Quando, intorno al 1966 – stando a quanto riporta la stampa internazionale specializzata – Israele completò la prima fase di ricerche e sviluppo della sua attività nucleare, il Trattato di Non Proliferazione non era stato ancora concluso. Se Israele avesse deciso a quell’epoca di realizzare il suo potenziale nucleare, anziché optare – come fece – per una politica di voluta ambiguità nucleare, oggi il suo status di potenza nucleare non sarebbe diverso da quello delle altre cinque potenze nucleari riconosciute.
Al di là di queste distinzioni, vi è poi una profonda differenza fra i due paesi sul piano sostanziale. Sempre stando alla stampa internazionale specializzata, Israele iniziò a sviluppare la sua “opzione Sansone” negli anni ’50, mentre stava edificando uno stato per una popolazione che viveva ancora sotto l’incombere della deflagrazione, in un ambiente geopolitico estremamente ostile che si opponeva alla sua stessa esistenza. Israele si trovò nella necessità di dotarsi di una polizza d’assicurazione all’interno degli angusti confini pre-’67, senza alcuna garanzia esterna che garantisse la sua sopravvivenza. Nel clima politico di quel momento, a solo dieci anni dalla Shoà, Israele era depositario probabilmente della giustificazione morale e strategica più forte di tutti per fare ricorso all’opzione nucleare, certamente più forte di quelle di Francia e Cina che pure si lanciarono nell’avventura atomica in quello stesso periodo.
L’Iran non solo non vive sotto alcuna minaccia alla sua esistenza. Ma anzi, proprio le sue aspirazioni nucleari costituiscono una questione che lo mette in rotta di collisione con il resto del mondo.
Persino i capi della Corea del Nord non arrivano al punto di dichiarare apertamente la volontà di spazzare via altri paesi dalla carta geografica, come ha fatto invece il presidente dell’Iran nei confronti di Israele.
(…)

(Da: Ha’aretz, 7.02.06)

Nella foto in alto: Missile balistico iraniano Shahab-3