Insediamenti e Linea Verde: la questione giuridica e la questione politica

La pace non si può fondare sulla menzogna, né sull’illusione di poter delegittimare, isolare ed eliminare Israele

Di Talia Einhorn, Douglas J. Feith

Talia Einhorn

Scrive Talia Einhorn: La recente dichiarazione del Segretario di stato americano Mike Pompeo secondo cui gli insediamenti israeliani in Giudea e Samaria non sono in contrasto con il diritto internazionale è un passo importante verso la correzione di un errore storico perpetrato per ragioni puramente politiche.

La dichiarazione degli Stati Uniti conferma la posizione di Israele secondo cui l’area in questione (la Cisgiordania, ndr) non è “territorio occupato”. Il termine “occupazione” ha un significato molto preciso nel diritto internazionale. Giudea e Samaria sarebbero da considerare occupate se Israele le avesse conquistate da un’entità sovrana. Ma la Giordania, che ne ebbe il controllo tra il 1949 e il 1967, non era mai stata considerata sovrano legittimo su quelle aree. Pertanto, in base al diritto internazionale, l’area deve essere considerata “territorio conteso” o “territorio contestato”, privo di una sovranità riconosciuta. In realtà, per ragioni storiche, Israele vanta la rivendicazione più solida  d’esserne il legittimo sovrano.

Non c’è alcun disaccordo sul fatto che Giordania ed Egitto lanciarono un’invasione illegale della Palestina Mandataria, dopo aver respinto il piano di spartizione delle Nazioni Unite e la creazione dello stato d’Israele. Secondo il diritto internazionale, i paesi hanno diritto di iniziare una guerra solo per autodifesa. Ma l’invasione araba della Palestina Mandataria, e dello stato d’Israele che vi era stato fondato, fu un esplicito atto di aggressione. Il tentativo della Giordania di annettere la Cisgiordania nel 1950 non fu riconosciuto dalla comunità internazionale, con le uniche eccezioni del Pakistan e del Regno Unito (che tuttavia rifiutò di riconoscere la conquista giordana della parte est di Gerusalemme). Dal canto suo, l’Egitto non ha mai detto di essere il potere sovrano nella striscia di Gaza (che aveva occupato nel 1948, ndr).

Un tratto della “Linea Verde” a Gerusalemme negli anni dell’occupazione giordana della parte est della città

Anche l’affermazione che la Linea Verde sarebbe il confine internazionale di Israele è sbagliata. Un confine internazionale può essere stabilito solo con il consenso dei due paesi interessati, come è il caso dell’Egitto e della Giordania a seguito dei rispettivi trattati di pace firmati con Israele. Al contrario, gli accordi armistiziali del 1949 tra Israele e i paesi vicini dopo la guerra d’indipendenza del ’48 stabiliscono chiaramente che le linee di armistizio non sono confini. Pertanto, la Linea Verde non è un confine internazionale e non può essere utilizzata per determinare il destino di Giudea e Samaria.

Niente di tutto questo costituisce una novità. Subito dopo la guerra dei sei giorni del 1967, gli esperti di diritto internazionale convennero che Israele vantava una rivendicazione più legittima su Giudea, Samaria e striscia di Gaza rispetto ai suoi avversari. Tra questi esperti c’era il professor Stephen M. Schwebel, che in seguito divenne presidente della Corte Internazionale di Giustizia. Ma nel clima geopolitico odierno, chiunque prenda una posizione conforme a quello che sostiene da sempre Israele viene bandito dai forum internazionali. In questo modo, i vincoli politici impediscono un vero dibattito basato su storia e diritto.

Giudea e Samaria furono designate come parte della sede nazionale ebraica prevista dalla Società delle Nazioni quando essa creò il Mandato Britannico, riconoscendo e confermando l’antico legame del popolo ebraico con la sua terra. Ciò venne ribadito nella Carta delle Nazioni Unite.

Alcuni hanno affermato che la dichiarazione di Pompeo mina le possibilità di pace. Secondo questa logica, affermare la verità sullo status di Giudea e Samaria preclude un accordo di pace. Significa dunque che la pace deve dipendere da una menzogna?

(Da: jns.org, 26.11.19)

Douglas J. Feith

Scrive Douglas J. Feith: Il segretario di stato americano Mike Pompeo ha recentemente ribaltato un’opinione condivisa da molti e da molto tempo circa la legalità degli insediamenti israeliani in Cisgiordania. I critici dicono che Pompeo si è schierato contro il diritto, che ha stravolto in senso estremista la politica degli Stati Uniti e che sta minando la ricerca della pace. Questi critici hanno torto su tutti e tre i punti.

Pompeo ha espresso quattro concetti principali. In primo luogo, ha detto che gli insediamenti non sono “di per sé illegali”. In secondo luogo, che il destino della Cisgiordania deve essere determinato mediante negoziati. In terzo luogo, che il diritto internazionale “non impone un esito specifico” dei negoziati a favore di Israele o dei palestinesi. In quarto luogo, che il problema è di natura politica, e non legale, e che attaccare la legalità degli insediamenti “non ha fatto avanzare la causa della pace”.

Per 35 anni – ha riepilogato Pompeo – le amministrazioni statunitensi si sono astenute dal ripetere l’accusa di illegalità agli insediamenti israeliani mossa a suo tempo dal presidente Carter, fino a quando il presidente Obama, a fine mandato, ha interrotto questa politica assumendo la posizione di Carter alle Nazioni Unite. Il presidente Reagan aveva respinto la posizione di Carter. “Questa amministrazione – ha detto Pompeo – è d’accordo con il presidente Reagan”.

Sono stato consigliere del presidente Reagan sull’argomento. Ecco alcuni elementi di contesto.

Il presidente Carter ebbe un rapporto notoriamente teso con l’allora primo ministro israeliano Menachem Begin. Carter premeva perché Begin facesse concessioni ai palestinesi. Tra queste, la condanna degli insediamenti israeliani come illegali, supportata da una lettera di cinque pagine datata 21 aprile 1978 e firmata dal consigliere legale del Dipartimento di Stato, Herbert Hansell. Si trattava di un documento di scarso livello, che trattava solo dell’autorità che Israele acquisì in quanto vittorioso nella guerra del 1967. Ignorava completamente i diritti degli ebrei ai sensi del Mandato della Società delle Nazioni sulla Palestina del 1922 che prevedeva “un denso insediamento di ebrei nel paese”. Come potevano essersi estinti quei diritti in forza dell’attacco illegale della Giordania a Israele del 1948 o della presunta annessione della Giordania dell’aprile 1950, che gli Stati Uniti non hanno mai riconosciuto? Dai tempi antichi fino al 1949 gli ebrei hanno potuto vivere legalmente in Cisgiordania. Il signor Hansell non spiegava quando esattamente questo diritto sarebbe cessato, sebbene riconoscesse che la Giordania non era stata il legittimo sovrano in Cisgiordania tra il 1949 e il 1967.

Le linee armistiziali (“linea verde”) del periodo 1949-1967, con l’occupazione illegale della Cisgiordania (Giudea, Samaria e Gerusalemme est) da parte della Giordania (clicca per ingrandire)

Vedendo che Carter invocava il diritto semplicemente come un randello per colpire Israele, Reagan si schierò a difesa di Israele dichiarando di non essere d’accordo con Carter. Essendo io uno dei tre specialisti di Medio Oriente nello staff del Consiglio di Sicurezza Nazionale, mi venne chiesto di stendere per il presidente una breve nota sull’argomento. Richiamando l’affermazione di Reagan del febbraio 1981 secondo cui gli insediamenti non sono illegali, ne convenni e affermai: “La questione è di natura prettamente politica, e non una questione giuridica”. Il governo degli Stati Uniti “non ha riconosciuto la sovranità di nessun paese sulla Cisgiordania poiché la Gran Bretagna controllava l’area in base al Mandato sulla Palestina”. La questione della sovranità “rimane aperta e non sarà chiusa fino a quando le parti effettive del conflitto non sottoscriveranno formalmente un accordo di pace”. Nel frattempo “non esiste nessuna legge che vieti agli ebrei di stabilirsi in Cisgiordania” e a nessuno dovrebbe essere impedito di vivere nell’area “semplicemente per la sua nazionalità o religione”.

Non c’è nulla di estremista nella decisione di Pompeo di rimettere in vigore la politica di Reagan. Ciò che era estremista, e che ha impedito progressi diplomatici, è stato il ritorno dell’amministrazione Obama alle critiche legalistiche di Carter contro Israele. Carter abbracciava la visione convenzionale secondo cui il conflitto arabo-israeliano riguarda essenzialmente gli insediamenti. I funzionari dell’amministrazione Trump la vedono diversamente. All’evidenza, il loro punto di vista è che il conflitto riflette l’aspettativa dei nemici di Israele di poter indebolire lo stato ebraico, separarlo dal suo alleato americano e alla fine distruggerlo. Ciò che alimenta il conflitto è l’idea che Israele sia una presenza aliena e vulnerabile priva di radici, di legittimità e di qualità morali.

Per anni, la propaganda anti-israeliana si è concentrata con tanta veemenza nell’attaccare gli insediamenti come illegali perché questa argomentazione scava più in profondità di una semplice critica politica: mira a mettere in discussione la legittimità stessa di Israele. Come sanno bene i maggiori nemici di Israele, affermare che gli ebrei non hanno diritto di vivere in Cisgiordania, che è una parte importante dell’antica patria ebraica, significa mettere in discussione il diritto stesso degli ebrei ad aver creato lo stato di Israele. In entrambi i casi quel diritto riguarda il Mandato sulla Palestina, che collegava la legittimità sionista al “legame storico tra il popolo ebraico e la Palestina”. Non a caso il primo premier israeliano, David Ben-Gurion, evocò proprio il Mandato sulla Palestina nella Dichiarazione d’Indipendenza dello stato.

La questione dei diritti è separata e distinta dalla discussione se sia o meno una politica ragionevole, per Israele, costruire o espandere gli insediamenti in Cisgiordania. Discussione a sua volta distinta dalla questione se e come Israele debba accettare di suddividere la Cisgiordania in un futuro accordo di pace, se e quando i dirigenti palestinesi saranno davvero disposti a porre fine al conflitto mediante un compromesso.

Pompeo ha tracciato la linea con prudenza. Ha sconfessato la sterile politica di Carter-Obama respingendo l’accusa di illegalità. Ha rafforzato la legittimità di Israele. E ha lasciato aperta la questione di come le parti debbano dividere la Cisgiordania in un accordo di pace, limitandosi a dire che dovrebbero farlo mediante un mutuo accordo.

L’amministrazione Trump sta rafforzando i legami fra Stati Uniti e Israele, contraddicendo sistematicamente coloro che auspicano che Israele venga isolato ed eliminato. Nella disperazione degli eliminazionisti risiede la migliore speranza per una pace negoziata.

(Da: nationalreview.com, 22.11.19)